Nel giorno in cui un ordigno è esploso al passaggio di un
convoglio di mezzi militari italiani nella provincia di Farah, nell'Afghanistan
occidentale (segnale inequivocabile che il clima, nella regione, sta cambiando
in peggio), al Senato il dibattito politico alla vigilia del voto sul
rifinanziamento di tutte le missioni militari all’estero, prima tra tutte
proprio quella in Afghanistan, sta facendo emergere divisioni e contrapposizioni
che non promettono nulla di buono a prescindere dall’esito finale del voto.
Il quadro è infatti frammentato, fatto salvo che a nessuno, in questo momento,
preme davvero una bocciatura del governo sul fronte caldo della politica estera.
E la sopravvivenza di Prodi, in questo caso, è solo un problema secondario.Un
“no” al rifinanziamento delle missioni provocherebbe infatti un immediato ritiro
di tutte le truppe italiane sui fronti caldi, con conseguenze pesanti a livello
di alleanze ed equilibri internazionali.
C’è quindi da credere che il decreto passerà: nessuna forza politica, neppure i
rappresentanti più iracondi della sinistra massimalista o quelli più ottusi
della destra, vogliono vedersi piovere addosso la responsabilità politica di
“isolare” l’Italia dal contesto di alleanze internazionali in cui si è collocata
dal dopoguerra ad oggi. Ma è il “come” e il “cosa”, alla fine, uscirà fuori in
questo decreto da Palazzo Madama a rappresentare il vero problema politico che
il nostro paese si troverà ad affrontare nei prossimi mesi, quando il piatto
forte sarà la legge elettorale, il cantiere del Pd e le elezioni politiche a
distanza sempre più ravvicinata.
E’ questo il problema politico per eccellenza che si muove sottotraccia alle
dichiarazioni di scena dei rappresentanti politici di maggioranza e opposizione.
Ciò che è chiaro è che la mutata situazione afgana ha convinto Casini (ma anche
Marini, Mastella e lo stesso Fassino) a riflettere sull’opportunità di rivedere
le attuali regole d’ingaggio delle nostre truppe. L'Udc, prendendo le distanze
dagli altri alleati della Cdl, ha infatti fatto il primo passo, confermando
l’intenzione di esprimere il proprio voto favorevole, ma chiedendo nel contempo
un rafforzamento degli equipaggiamenti dei soldati in Afghanistan per consentire
loro di potersi meglio difendere in caso di attacchi o situazioni di pericolo.
Una richiesta che, si sarebbe detto, sarebbe stata destinata a non trovare
sponda nell'Unione, dove la sinistra radicale preme per il mantenimento
dell'attuale organico del contingente e per una caratterizzazione sempre più
pacifista della missione. Invece no. A sorpresa, ieri il segretario Ds Fassino
ha detto il contrario, ovvero che forse qualche ritocco è possibile. Parole
ardite, che non tengono conto in alcun modo del fatto che le regole sono state
stabilite su mandato Onu e in virtù di accordi presi in ambito Nato. Ma è, in
verità, un balletto di veti e controveti che ha fatto emergere ancora altro,
prima di tutto la fragilità del governo, e non certo guardando solo al suo
fronte più radicale. E’ il ragionamento, questo, che trova consensi nell’attuale
dibattito politico interno; ormai, nei conciliaboli parlamentari, si prescinde
addirittura dai numeri, nonostante il premier faccia dipendere proprio da questi
ultimi il sicuro assenso del ramo nobile del Parlamento al rifinanziamento della
missione: “Non sono preoccupato per il voto di martedì – ha ribadito ieri Prodi
- ci sono stati 560 voti alla Camera e da allora non è cambiato un singolo punto
del provvedimento, come si può giustificare quindi una soluzione diversa al
Senato?”. Non è questo il genere di lungimiranza che ci si sarebbe aspettati dal
premier in questa delicata fase politica.
Martedì prossimo, lo scenario che si potrebbe presentare al Senato non dovrebbe
mettere in forse la sopravvivenza del governo. Distinguo del momento a parte, a
votare a favore della missione ci saranno i Verdi e il Pdci, Follini e De
Gregorio, i senatori a vita al gran completo e forse anche l’Udc di Casini,
ormai entrato nell’ottica del completo affrancamento dal resto della Cdl e dal
ricatti di Berlusconi che passano anche dal possibile “sì” del ministro
Gentiloni a rimettere per sempre nel cassetto la nuova legge sulle tv. Ma il
problema politico resta. Perchè Rifondazione, obblighi di scuderia a parte, non
accetterà mai una richiesta di revisione in prospettiva delle regole d’ingaggio
in un’ottica contraria ad una missione di pace e al progressivo ritiro delle
truppe dalla regione. Il favore di Fassino a questa eventualità ha reso di fatto
molto più aspro il dibattito a sinistra; le conseguenze di questa scelta le si
vivranno tutte durante il voto delle mozioni nel prossimo congresso Ds di
aprile. Ammesso che il congresso li veda ancora al governo.
Elena G. Polidori
altrenotizie.org
26 marzo 2007
Archivio Guerra Terrorismo
|