“La
tregua non serve”. Così la Livni ha risposto alla
richiesta di tregua avanzata dalla Ue. Sembrava che
quarantotto ore bastassero a evitare la catastrofe di Gaza
quando Kouchner, nell’abito del vertice UE, aveva ammonito
Barak sulla necessità di portare aiuti nella Striscia. Uno
spiraglio s’era aperto: in serata, il Ministro della
Difesa israeliano aveva annunciato la disponibilità ad un
tregua di quarantotto ore. E invece niente. Israele ha
respinto la proposta avanzata dalla Francia. Secondo la
radio militare israeliana, questa decisione sarebbe emersa
al termine di una lunga consultazione fra il premier Ehud
Olmert, il Ministro degli Esteri Tzipi Livni e il Ministro
della Difesa Ehud Barak. Ad inasprire la posizione di
Israele sarebbero stati i continui lanci di razzi
palestinesi contro la città di Beer Sheva, che avrebbero
dimostrato come gli obiettivi dell’operazione”piombo fuso”
non siano stati ancora raggiunti. Intanto Fawzi Barhum, un
dirigente di Hamas a Gaza, in un comunicato alza il tiro e
dichiara che posta vera nel gioco diplomatico
internazionale dev’essere “ la fine dell’aggressione
israeliana”.
Intanto Gaza brucia e urla vendetta. Uno dei principali
leader di Hamas, Nizar Rayan, è rimasto ucciso in un raid
lanciato ieri da Israele. Ad oggi, i morti sono più di
quattrocecento e 2000 i feriti. Il grido di dolore della
città si condensa nell’immagine di centinaia di giovani
che in queste ore si stanno arruolando nelle file di Hamas.
E’ la reazione compatta di una popolazione stremata da
mesi di assedio. Ma se Israele da tempo non rispetta le
condizioni della tregua - valichi bloccati, niente fine
dell’embargo a Gaza, niente medicine - stringendo la
Striscia nella morsa di un assedio senza fine, c’è da
credere che la guerra fosse da tempo preparata come mossa,
non solo elettorale, nei piani alti del sionismo: in piena
continuità con quella strategia della pulizia etnica di
cui questa guerra di sterminio dello Stato ebraico è la
perfetta rappresentazione.
Infatti l’angelo nero dell’attacco ad Hamas, l’ex agente
del Mossad, Tzipi Livni, ha abilmente strumentalizzato la
crisi politica in Palestina per legittimare l’attacco a
Gaza come una necessità in risposta alle incursioni del
partito islamico: ha incontrato capi di stato e mosso la
sua diplomazia giorno dopo giorno al fine di creare il
consenso internazionale all’operazione. Livni, a Parigi
per un incontro con il Presidente Nicolas Sarkozy, ha
detto che “non c’è bisogno di una tregua umanitaria perchè
non c’è a Gaza una crisi umanitaria”.
La Livni, con arroganza pari a faccia tosta, ha spiegato
che nelle sue operazioni Israele “distingue la guerra
contro il terrorismo, contro Hamas, dalla popolazione
civile” e che il governo israeliano deciderà “quando sarà
il momento” di cessare le sue operazioni militari. C’è da
dire però che la Livni ha disarticolato il quadro politico
palestinese - anche oggi privo di unitarismo in piena
guerra - per trovare degli argomenti a favore
dell’intervento. L’eliminazione di Hamas è per la Ministra
degli Esteri l’obiettivo primario per riavviare il solito
teatrino dei vari tavolini della pace nei quali,
frammentato e diviso l’asse nucleare della scena politica
palestinese, lo spartito delle danze continuerà a suonare
pressoché la stessa musica. Non è infatti proprio il
ripetuto, continuo fallimento del processo di pace a fare
da sfondo a questa guerra?
In un altro senso, l’invasione di Gaza è l’espressione più
certa dell’ortodossia di Kadima. E’ lo sbocco logico della
politica della convergenza di Sharon di cui la Livni si è
fatta magistrale interprete. La nuova guerra di Israele è
l’atto certo di una vera e propria”soluzione finale”. Il
terrorismo di Stato di Sharon e dei suoi eredi ha colto
l’occasione offerta dall’isolamento mondiale del governo
di Hamas a Gaza per realizzare il sionista di una
Palestina tutta Eretz Israel, Grande Terra
d’Israele. Che nessuno dica di non saperne nulla: la
Striscia di Gaza da lager diventerà un mucchio di macerie.
La guerra d’Israele è l’emblema stesso del sionismo:
un’ideologia aggressiva e razzista che ha bisogno di
provocare la violenza per legittimare operazioni militari
in chiave difensiva.
Come Salma, nel toccante “Il giardino dei limoni” del
regista Riklis, alla quale sono rimaste altro che infinite
lacrime davanti al suo giardino raso al suolo per volere
del Ministro della difesa israeliano, a Gaza
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Archivio Gaza, Palestina, Natale 2008
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