In Italia, a 65 anni si va in pensione. Ma non in politica. Quando la
quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, quella politica raggiunge
l’apice: se ne va un presidente del Consiglio di quasi 70 anni e ne subentra uno
di 67. Carlo Azeglio Ciampi termina il suo mandato di Presidente della
Repubblica a 86 anni e Giorgio Napolitano inizia il proprio a 81 anni.
Meglio non soffermarsi sul fatto che una metà del Senato della Repubblica ha
tentato di instaurare, in ruolo delicato e logorante come quello di presidente,
un senatore di 87 anni.
Giovani alla meta
Questa peculiarità è ancora più evidente se ci si confronta con il resto d’Europa.
Tra i presidenti del Consiglio, in Francia, Villepin fu nominato nel 2005 a 51
anni; anche Angela Merkel (Germania) ha 51 anni. Persson (Svezia), Socrates
(Portogallo), Karamanlis (Grecia), e Vanhanen (Finlandia) furono eletti a 47
anni. Balkenende (Olanda) e Verhofstadt (Belgio) entrarono in carica a 46 anni.
Stoltenberg (Norvegia) fu eletto a 45 anni e Zapatero (Spagna) a 44. In
Inghilterra, Blair iniziò il suo lungo mandato nel 1997, a 43 anni di età. Alla
Repubblica Ceca spetta il primato del primo ministro più giovane:nelle penultime
elezioni, tenutesi nel 2004, Stanislav Gross fu eletto a 35 anni.
La differenza di età tra il nostro primo ministro e quello "mediano"
europeo è scioccante: venti anni, quasi una generazione. Da una rapida occhiata
agli archivi appare un altro dato piuttosto sconcertante. In Italia, l’ultimo
presidente del Consiglio di 47 anni, a parte la fugace apparizione di Giovanni
Goria, fu Aldo Moro nel 1963.
Il gap anagrafico con il resto d’Europa è simile per il presidente della
Repubblica. Silva, presidente del Portogallo fu eletto a 66 anni; Chirac
(Francia) assunse l’incarico nel 1995 a 63 anni, e Kohler (Germania) fu nominato
nel 2004 a 61 anni; Klaus, presidente della Repubblica Ceca iniziò il suo
mandato a 62 anni; Tarja Halonen, finlandese, fu eletta nel 2000, all’età di 57
anni. E così via.
La politica come la bocciofila
È opportuno chiedersi quali siano le radici storiche di questo fenomeno, ma
non è questa la sede per un’analisi approfondita, che lasciamo ai politologi. Ci
limitiamo a due semplici osservazioni.
Primo, nell’ultima campagna elettorale, si sono confrontati gli stessi
candidati di dieci anni fa, un’eccezione assoluta nel panorama politico
europeo. Secondo, negli anni di Tangentopoli, ci fu un profondo ricambio della
classe politica. Nuovi protagonisti, come lo stesso Silvio Berlusconi da una
parte, e Antonio Di Pietro dall’altra, emersero sul palcoscenico politico. Però,
al pari del ricambio, non sembra esserci stato uno svecchiamento della classe
dirigente.
È importante, invece, soffermarsi sulle possibili implicazioni del
primato della terza età nella politica italiana. La prima, e più ovvia,
questione è quella della "rappresentanza".
Per capirci, in Italia meno di un quinto della popolazione ha più di 65 anni. Si
parla tanto di "quote rosa" e dell’importanza di avere donne che ricoprano
alcuni posti chiave della politica. Ma la "questione anagrafica" è
sistematicamente ignorata. Se prendiamo i cinque Ministeri chiave, Interni,
Esteri, Economia, Giustizia e Difesa, l'eta' media e' 63 anni. Una squadra di
sessantenni al vertice della classe politica di certo non promuove il
coinvolgimento dei giovani nella vita politica attiva. Semmai, li allontana
ulteriormente, rischiando di far apparire la carriera politica come un’attività
in mano a un’altra generazione. Un po’ come le bocce.
Poi c’è la questione delle competenze. Una visione ottimistica può far
concludere che i politici italiani abbiano più "esperienza" dei loro colleghi
europei, quindi commettano meno errori. È possibile. Ma è anche possibile che la
nostra classe dirigente abbia conoscenze più datate, e perciò sia meno adatta a
"gestire" e interpretare i rapidi processi di cambiamento della società
contemporanea.
La politica è un’attività produttiva. E purtroppo, il mondo politico italiano è
lo specchio fedele del mondo del lavoro. In Italia, la mobilità sociale è
bassissima, e il merito è premiato troppo poco. La carriera professionale si
sviluppa soprattutto per anzianità, aspettando pazientemente il proprio turno
per la promozione, e la politica non sembra essere un’eccezione.
Sarebbe ingiusto, però, dipingere i giovani solo come "vittime del sistema".
Come potrebbe, chi sceglie di vivere a casa di mamma e papà sino a 35 anni,
diventare presidente del Consiglio a 45?
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