Le prescrizioni di politica economica sono sempre fondate, implicitamente o
esplicitamente, su di una scala di valori incorporata in una funzione di
benessere sociale da massimizzare in presenza di vincoli di tempo, risorse
(monetarie e non) e tecnologia.
In genere, tali funzioni di benessere si propongono di rendere più elevata
possibile l’utilità/felicità dei cittadini ponderando in diversa maniera le
utilità/felicità individuali.
Dunque, elemento decisivo per la definizione della politica economica, al di là
della questione dei pesi, è l’identificazione corretta di ciò che rende felici i
singoli cittadini. Sbagliare può avere conseguenze molto negative per una classe
dirigente: conduce al risultato paradossale di un’efficienza nell’utilizzo dei
mezzi a disposizione per perseguire i fini stabiliti, associata a una perdita
di consenso elettorale perché gli obiettivi sono stati definiti sulla base
di criteri di felicità non corrispondenti alle reali preferenze degli individui.
Nuovi dati empirici
Sino a poco tempo fa, gli economisti, in mancanza di
osservazioni empiriche affidabili, hanno definito a priori le preferenze
degli individui sulla base di una loro visione antropologica. La
significativa novità è oggi che abbiamo a disposizione una sempre più ampia
informazione sulla felicità dichiarata degli individui e sulle sue determinanti.
Ciò ha rilanciato gli studi sulla felicità, che hanno sempre avuto un
ruolo importante nella storia del pensiero economico. (1)
Parafrasando un noto detto, l’economista applicato percorre una lunga strada
buia, illuminata solo in un breve tratto dalla fioca luce di un lampione; per
causa di forza maggiore ha dovuto sviluppare le sue indagini in quel breve
tratto (occupandosi solo di quelle questioni per le quali esistevano dati
disponibili). Il chiarore che appare oggi all’orizzonte (le nuove basi dati) gli
consente di estendere la sua analisi a tratti di strada precedentemente
inesplorati.
L’estrema rilevanza degli studi sulle determinanti della felicità nell’economia
e nella politica economica (e la presenza dei nuovi dati individuali sulla
felicità dichiarata), non consente di per sé di esprimere un giudizio
necessariamente positivo sulla fattibilità di tali studi.
Una delle critiche principali a questo filone di indagine è che la felicità
dichiarata è priva di rilevanza per l’analisi empirica perché non misurabile in
maniera oggettiva. Ma Frey e Stuzter, e prima ancora Sen, argomentano (2)
che sono ormai molti i campi dell’economia nei quali si effettuano analisi su
variabili non oggettivamente misurabili. (3)
Mentre altri (4) ricordano come gli studi di psicologia medica
evidenzino una correlazione molto significativa tra felicità dichiarata e stadi
di superiore salute psicofisica misurati in termini di attitudine al sorriso,
reazioni della pressione arteriosa allo stress e assenza di propensione al
suicidio. (5)
Istruzione e salute per essere felici
I recenti lavori empirici sulla felicità dichiarata
sorprendono per la costanza di alcuni risultati in periodi e in paesi
diversi. Pressoché unanime l’impatto positivo e significativo dell’istruzione,
al netto del reddito: una conferma del contributo positivo alla felicità
individuale che essa dà, al di là dei "rendimenti della scolarizzazione", ovvero
dei suoi effetti sulla produttività degli individui. Altrettanto costanti il
ruolo fondamentale della salute e dei beni relazionali (tempo speso con gli
amici, successo dei rapporti affettivi) e del grado di democrazia.
Inflazione e disoccupazione hanno invece effetti negativi.
Singolare, ma confermato da molti studi, il rapporto positivo tra età e
felicità, a parità di condizioni di salute. Gli psicologi lo spiegano col fatto
che con gli anni gli individui sviluppano un processo di apprendimento che
consente loro di gestire meglio le emozioni, con effetti positivi sul benessere
psicofisico.
Dal punto di vista economico, uno degli ambiti di ricerca più rilevanti e
interessanti è il rapporto tra felicità e reddito. Gli studi evidenziano
una relazione molto più complessa di quella generalmente definita nelle funzioni
di utilità dei modelli standard. Dimostrano infatti che, sulla mera correlazione
positiva via via decrescente, solitamente postulata dagli economisti, si
innestano almeno altre due componenti, una di carattere psicologico e l’altra di
carattere sociologico.
Secondo la prima, esiste una rincorsa tra aspirazioni e realizzazioni: una volta
raggiunta una meta in termini di reddito, gli individui alzano progressivamente
l’asticella dei loro traguardi successivi, riducendo il grado di soddisfazione
per quanto già raggiunto. Per la seconda, nel rapporto tra reddito personale e
felicità è fondamentale il confronto con il livello di reddito del gruppo di
riferimento, l’insieme di persone con il quale l’individuo si rapporta
solitamente. Dunque, il reddito relativo ha effetti molto superiori a quelli del
reddito assoluto. In particolare, redditi al di sopra (al di sotto) della
mediana tendono a determinare effetti positivi (negativi) sulla felicità
individuale.
Si tratta di un risultato assolutamente ragionevole che spiega perché il
significativo aumento di reddito dall’età della pietra a oggi non abbia
determinato un progresso lineare e costante della felicità.
È poi importante distinguere tra reddito personale e reddito nazionale.
Il secondo ha sicuramente un impatto superiore al primo sulla felicità: non
presenta le problematiche di reddito relativo e presumibilmente, consente di
migliorare accesso e qualità della sanità e dell’istruzione, due fattori che
incidono positivamente sulla felicità individuale.
Lo "schiavo felice" di Sen
Le indagini sulla felicità ripropongono l’antica discussione
sull’utilizzo di criteri oggettivi o soggettivi di benessere per le scelte di
politica economica. La critica di Amartia Sen all’approccio della felicità è
fondata sull’ipotesi dello "schiavo felice": possono esistere individui talmente
soggiogati dalla privazione dei diritti più elementari da non essere neanche in
grado di concepire condizioni di vita migliori, dunque, felici della loro
condizione di assenza di diritti. (6)
I fautori di questo approccio rispondono che esso è l’unico a non poter essere
accusato di paternalismo, l’unico nel quale non esiste qualcuno al di fuori del
soggetto destinatario della politica economica, che stabilisce cosa è bene per
lui. Un’ulteriore risposta è che lo "schiavo felice" rappresenta un caso
individuale fuori dalla media e dunque non è in grado di influenzare i risultati
degli studi empirici che stabiliscono nessi di correlazione tra variabili sulla
base di campioni molto ampi.
Una possibile sintesi della controversia è nella definizione di
indicatori misti che includono componenti di tipo oggettivo e soggettivo (ad
esempio, gli anni di vita felice) capaci di coniugare elementi oggettivi, quali
l’aspettativa media di vita, con elementi soggettivi, come la felicità
dichiarata.
Per saperne di più
Easterlin, R.A., (1974) ‘Does empirical growth improve the
human lot? Some empirical evidence’, in P.A. David and M.W. Reder (eds.),
Nations and Households in Economic Growth (Academic Press, New York), pp.
89–125; (2001), ‘Income and happiness: Towards a unified theory’, The Economic
Journal 111, pp. 465–484; (2004), "Per una migliore teoria del benessere", Bruni
L. Porta P.L., (eds.), Guerini associati, Milano
Kahneman D., 2000, Experienced Utility and Objective
Happiness: A Moment-Based Approach in D. Kahneman and A. Tversky (Eds.)
Choices, Values and Frames New York: Cambridge University Press and the
Russell Sage Foundation, Princeton University.
(1) Si veda Malthus T.R., 1966, An essay on the
principle of population, Macmillian London (ed. or. 1798); Marshall. A,
1945, Principles of Economics, Macmillian London (ed. or. 1890); Veblen,
T., 1934, The Theory of leisure Class, Modern Library, New York (ed. or.
1899); Smith, A., 1984, The theory of moral sentiments, London (ed. Or.
1759); Dusemberry J., 1949, Income, saving and the theory of consumer
behaviour, Harvard University Press, Cambridge Mass; Hirsch, F., 1976,
Social limits of growth, University Press, Cambridge Mass.
(2) Frey, Bruno S. e Alois Stutzer (2002). "What can Economists learn
from happiness research?" Journal of Economic Literature 40(2): 402-435.
(3) Si considerino, ad esempio, gli studi sulle emozioni di J. Elster ("Emotions
and economic theory", Journal of Economic Literature, 26, 47-74, 1988) e G.
Lowenstein ( "Because It Is There: The Challenge of Mountaineering…for Utility
Theory," Kyklos 52(3) (1999), pp. 315-44) e quelli sul ruolo dello status
di R. Frank, ("The demand for unobservable and other nonpositional goods",
American Economic Journal, 75, 101-116, 1985).
(4) Alesina, Alberto, Rafael Di Tella e Robert MacCulloch (2001) "Inequality
and Happiness: Are Europeans and Americans Different? Nber Working Paper No.
8198. Cambridge, MA: National Bureau of Economic Research.
(5) Vedi rispettivamente Pavot, W., 1991, "Further validation of the
satisfaction with life scale: evidence for the convergence of well-being
measures", Journal of Personality assessment, 57, 149-161. Ekman, P. Davidson,
R. and Friesen W., 1990, "The Duchenne smile: emotional expression and brain
physiology" II, Journal of Personality and Social Psycology, 58, 342.53. Shedler,
J., Mayman, M., & Manis, M. (1993). "The illusion of mental health", American
Psychologist, 48, 1117-1131. H. Koivumaa-Honkanen, R. Honkanen, H. Viinamäki, K.
Heikkilä, J. Kaprio e M. Koskenvuo "Self-reported Life Satisfaction and 20-Year
Mortality in Healthy Finnish Adults" American Journal of Epidemiology Vol. 152,
No. 10: 983-991.
(6) Sen, A. K, 1993, Capability and Well-being, in The Quality
of Life (edited by Nussbaum, M. and Sen, A. K.), pp. 31-53. Oxford:
Clarendon Press.
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