Patrick De
Wilde, Ad altezza d’uomo, L’ippocampo Edizioni, Genova 2006.
Sguardi e volti catturati dall’obiettivo
che parlano di umanità oltre la standardizzazione e il mondo
occidentale: un’opera di fotografie e brani filosofici per interrogarsi
su ciò che accomuna e differenzia ogni uomo.
L’autore ha messo insieme i volti
raccolti in 25 anni di viaggi in ogni angolo del mondo, dal Guatemala
alla Cina, dal Perù alla Mongolia, dalla Thailandia al Brasile. E’ lo
sguardo che parla. Per le foto non vi è sfondo, nessun artificio o
filtro: ogni persona emerge dal buio, dal nero più scuro. Un gioco di
colori alla ricerca di similitudini e diversità che tentano di
riassumere tutto il genere umano. Questa è la premessa che si legge in
prima pagina in una citazione di Saint-Exupéry: “Se sono diverso da te,
invece di sminuirti, ti accresco”. Mondialità e particolarismi si
riaffermano andando contro l’apparenza e l’omologazione che oggigiorno
spadroneggiano nella società che si definisce “emancipata” o
“sviluppata”. Ogni immagine va ben oltre ciò che l’occhio coglie: “Con
il sentimento ho cercato di trovare la via più diretta che ci sia verso
la comprensione dell’altro” commenta De Wilde. Dietro ogni differenza (e
in ogni foto) c’è carattere, tradizione e vita: la standardizzazione
nuoce all’uomo, tanto che l’autore arriva a metter in discussione la
positività dello sviluppo economico capace di creare confusione tra
qualità di vita e livello di vita e che “non ha nulla a che vedere con
la gioia di vivere”.
Il viaggio corre attraverso i Paesi più poveri del mondo: “Ho avuto
l’impressione di cogliere nelle persone più semplici e povere sguardi
curiosamente carichi di una saggezza penetrante, misto di bontà e di
sapere, che conferiva loro una presenza notevole, rinvenibile ormai di
rado in Occidente”. La chiave di lettura è data dalle somiglianze
invisibili e dalle differenze manifeste. Cosa ci accomuna? Occhi di
uomini che esprimono timidezza, curiosità, gioia e tristezza che non
hanno né tempo né età. Il buon fotografo, per definizione, si pone allo
stesso tempo dentro e fuori la relazione e il frutto del suo lavoro gli
sopravvive: “Le foto continuano la loro vita… sfuggendo agli autori come
al soggetto, esse acquistano poco a poco un significato distinto per
vivere presto da sole”.
Molte immagini sono accompagnate da brevi didascalie di stampo
filosofico: si susseguono le voci di ricercatori e antropologi come
Michel Leiris, Yves Coppens, Claude Lévi-Strauss, Pascal Picq, Amin
Maalouf, Tzvetan Todorov… Lo studio delle origini dell’uomo e delle
diverse razze ha sempre attirato numerosi studiosi ma non vi sono
assiomi che possono essere confermati né è possibile concordare su una
definizione dell’umano. “Anche se possiede il patrimonio genetico comune
della specie, ogni individuo è unico” (André Langenet). L’originalità è
alla base dell’esistenza di ogni uomo e delle relazioni umane: “La
grande lezione della genetica è che gli individui, tutti diversi, non
possono essere classificati, valutati, ordinati: la definizione di
‘razze’ non può essere che arbitraria e imprecisa” (Albert Jacquard).
“Ad altezza d’uomo” è un libro che vuole condurre il lettore oltre i
luoghi comuni e l’obsoleto, talvolta denigratorio, concetto di
“primitivo”: l’uomo è frutto del tempo e della cultura.
Copricapo colorati con pendagli e piume di uccelli variopinti tra i
capelli, occhi a mandorla e labbra carnose, lunghe barbe grigie e terra
dorata sulle guance, grandi anelli di avorio alle orecchie e collane di
pietre rosse al collo… Un uomo non è solo ciò che appare alla vista, né
tanto meno è definibile “perché non ha nessuna identità specifica, se
non quella di potersi riconoscere” (Giorgio Agamben). Alcune domande
resteranno senza risposta (certa). Il tempo scorre e tutto si tramanda,
dall’uomo nascono altri uomini che si arricchiranno inconsapevolmente di
ciò che è stato e di tante storie incontrate: così è la vita, in
continuo divenire.
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