Il ministro Raffaele Fitto, imputato di corruzione e per
giunta scampato all’arresto grazie all’immunità parlamentare (che per le
manette esiste ancora), può capire Al Tappone meglio di chiunque altro.
Tra imputati ci s’intende. Ieri dichiarava alla Stampa: «I magistrati ti
rispettano solo se fai il lupo e non l’agnello». Ecco: se sei imputato devi
aggredire, minacciare, sbranare il tuo giudice. Così si spaventa e
magari ti assolve anche se sei colpevole. O trova il modo di salvarti
(attenuanti, prescrizione, insufficienza di prove) per salvare se stesso. In
termine tecnico, si chiama estorsione. Nel Sud la praticano
le mafie. Ma di nascosto, con lettere o telefonate anonime: «Ma che bei
bambini, signor giudice, che bella moglie…».
Il Cainano e la sua fairy band stan facendo la stessa cosa, ma non si
devono nascondere. Né ricorrere agli avvertimenti anonimi. Al Tappone
minaccia ogni giorno i giudici a reti unificate, con la bandana o col panama o
col bitume in testa, in Europa o alla Fao o in chiesa o alla Confindustria o
alla Confesercenti (a proposito: anche i commercianti si sono già rotti di
sentirgli parlare dei fatti suoi e l’hanno fischiato). Negli Usa,
dove non c’è immunità né per le alte cariche né per le basse,
l’avrebbero arrestato già per oltraggio alla Corte. Perché lì
attaccare il proprio giudice è reato grave. In Italia è la linea difensiva
della classe politica. Gl’insulti di certi Ds a Clementina Forleo
e quelli italoforzuti a Nicoletta Gandus sarebbero
puniti in ogni democrazia del mondo. In Italia vengono punite Forleo e Gandus:
l’estorsione come linea difensiva paga.
Funziona così. Al Tappone ha 4 processi e vuol farli sparire.
Allora fa una legge che toglie ai magistrati il primo arnese del mestiere:
le intercettazioni. Come vietare il bisturi ai chirurghi. La
morte delle indagini. Poi ne fa un’altra per ammazzare i processi:
quelli in corso per reati commessi fino al 2002 e puniti sotto i 10 anni (100
mila, a occhio e croce) si sospendono; ma non per sempre: solo per un
anno. Così si impiega più tempo a rinviarli e poi e a rimetterli in
ruolo, con relative notifiche, che a celebrarli subito. Risultato:
paralisi dei tribunali. Le toghe, con la pistola puntata alla tempia,
il coltello alla gola e il cappio al collo, implorano pietà. A quel punto si
presentano i riscossori del pizzo, che offrono adeguata
protezione con tariffe modiche. In Sicilia, Calabria e Campania si chiamano
estorsori. In politica, «dialoganti».
Il sottosegretario Castelli propone «una tregua»: Lodo
Schifani in cambio del ritiro del blocca-processi. La stessa cosa fa dire il
giornalista-estintore D’Avanzo al presidente dell’Anm Cascini:
sì al Lodo salva-Silvio se ci lasciano processare almeno gli altri. Tanto Al
Tappone dei processi degli altri se ne infischia: si accontenta di bloccare i
suoi. E infatti s’avanza il duo Disgrazia & Ingiustizia: il
ministro ad personam Angelino Jolie, nei panni del poliziotto
buono, e il suo badante personale Nosferatu Ghedini,il poliziotto cattivo.
Hanno pronto il nuovo Lodo cotto e mangiato: «Sarà breve, razionale,
inattaccabile, in linea con le norme europee», annuncia Angelino Jolie senza
sapere quel che dice, tanto poi qualcuno glielo spiega. Non sa che non
esiste «norma europea» che garantisca l’immunità a un premier.
Ma anche la signora Finocchiaro abbocca, farfugliando di
imprecisati «altri paesi europei». Poteva mancare una buona parola del
pompiere-capo Antonio Maccanico? Sul Corriere le dà tutte
vinte al Cainano («per superare questa crisi»), ma con l’aria di imporgli
condizioni giugulatorie. Queste: 1) «immunità rinunciabile»; 2) «sospensione
della prescrizione»; 3) «divieto di ripresentarsi alle elezioni finchè non s’è
celebrato il processo». Condizioni ridicole. 1) L’immunità
sarà pure rinunciabile, ma Al Tappone non è mica scemo e non rinuncia. 2) La
prescrizione è sospesa, ma se nel 2013 Al Tappone salta da Palazzo
Chigi al Quirinale, il processo non si farà mai più, anche perché
quando lui scenderà dal Colle avrà 84 anni e intanto i suoi giudici saranno
defunti o in pensione. 3) Il divieto di ricandidarsi non serve a nulla, perché
si può fare il presidente del Consiglio o della Repubblica (con scudo
spaziale incorporato) anche se non si è parlamentari. Anzichè
arzigogolare, tanto varrebbe ammetterlo: «Signori, ce la facciamo
sotto. Quello mena». Almeno qualcuno capirebbe.
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