Cosa fa la magistratura associata con i magistrati integerrimi e coraggiosi
quando questi vengono assassinati si sa benissimo: si appropria dei loro meriti,
dando luogo all’abuso per il quale quando qualcuno si permette di chiedere conto
“alla Magistratura” di qualcosa di cui debba vergognarsi, essa invoca
la memoria dei suoi martiri, dicendo che “la Magistratura ha pagato a caro
prezzo il suo eroismo”.
Ma non è la verità, perché non è “la Magistratura” ad essere o essere
stata “eroica” e men che meno ad aver pagato prezzo alcuno per nulla; a
farlo sono stati alcuni singoli magistrati, che prima di essere assassinati
erano stati clamorosamente e rumorosamente isolati dai loro colleghi. Per tutti,
basti citare qui le vicende del Procuratore di Palermo Gaetano Costa, lasciato
solo a firmare dei fermi particolarmente “impegnativi”, e del
Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, che lasciò un diario con le prove del suo
isolamento da parte dei vertici degli uffici giudiziari di Palermo. Ma certo è
significativa anche la storia del Sostituto Procuratore Giangiacomo Ciaccio
Montalto: all’indomani del suo assassinio un collega del suo stesso ufficio è
stato arrestato perché a casa gli sono stati trovati un’arma con la matricola
abrasa e un mucchio di soldi incartati in un giornale. E il Procuratore Capo, vi
chiederete? Promosso Presidente di Sezione in Cassazione! E in Cassazione, come
Sostituto Procuratore Generale, è andato anche il Procuratore di Palermo
Giammanco, che faceva fare anticamera a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Dunque, si sa benissimo cosa fa “la Magistratura” con i magistrati
integerrimi DOPO che sono morti.
Non sempre si riflette su cosa aveva fatto prima dell’omicidio e su cosa fa
quando l’omicidio non accade.
La vicenda di Luigi De Magistris è un occasione per riflettere su questo.
La persecuzione disciplinare
Ho già esposto analiticamente proprio qui, su Micromega (nel numero 2/2008), le
ragioni per le quali la sentenza disciplinare che ha condannato Luigi De
Magistris e che contiene tutti gli addebiti che sono riusciti a immaginare a suo
carico non convince per nulla e appare tecnicamente infondata.
Una sentenza, per di più, emessa al termine di un processo dall’esito
preannunziato (il Consigliere del C.S.M. Letizia Vacca che annuncia
trionfalmente alla stampa che Luigi De Magistris è «un cattivo magistrato»
e «va colpito» (!?)) e dalle dinamiche peculiari (sorprendente rapidità
del tutto; rifiuto di attendere l’esito delle indagini in corso a Salerno, ben
note allo stesso C.S.M. per averne acquisito alcuni atti; il Vicepresidente
Mancino che rivela il segreto della camera di consiglio, informando la stampa
che la decisione è stata presa all’unanimità).
La richiesta di archiviazione di Salerno
Su tutto questo interviene adesso la Procura di Salerno che chiede
l’archiviazione delle accuse a carico di Luigi De Magistris
con un provvedimento di poco meno di mille pagine che, analizzando
minutamente ogni cosa, non lascia scampo a chi aveva giocato tutto sul frastuono
e le invettive.
Da quel provvedimento emerge fra l’altro che:
1) Il contesto ambientale nel quale Luigi de Magistris ha svolto per anni la
propria attività di P.M. era oltremodo “difficile”, caratterizzato da
pesanti intrecci tra magistrati di punta degli uffici calabresi (ivi compresi
gli stessi vertici degli uffici requirenti di Catanzaro) e persone sottoposte ad
indagini da parte dello stesso Luigi (ivi compresi altri magistrati, soprattutto
lucani).
2) Da quel medesimo contesto è scaturita una vasta, articolata e provata (sì,
provata!) attività di aggressione e delegittimazione di De Magistris e del suo
operato, attuata con denunce ed esposti diretti non solo alla Procura di
Salerno, non solo agli organi disciplinari, ma a chiunque, ivi comprese le più
alte cariche dello Stato (è davvero impressionante la lettura, nel primo
capitolo della richiesta di archiviazione, della quantità di esposti, denunce,
interrogazioni, querele etc. che hanno investito il collega in un arco di tempo
relativamente breve).
3) In tale contesto, De Magistris si è trovato nella singolare condizione di non
poter fare affidamento – all’infuori della P.G. che lo coadiuvava nelle indagini
– praticamente su nessuno, stanti gli acclarati rapporti dei suoi superiori
gerarchici con soggetti sottoposti a indagini, “colorati” da episodi forse
interpretabili anche come interferenze nelle indagini stesse.
4) Sotto tale profilo, il provvedimento dei P.M. salernitani contiene un
passaggio significativo che lascia intendere che la storia non è finita e
potrebbero esserci ulteriori sviluppi (solo pochi giorni fa i giornali hanno
dato conto dell’iscrizione nel registro degli indagati del dr Dolcino Favi,
autore dell’avocazione che un autorevole collega ha definito “impensabile”).
5) Tutto ciò premesso, pur nella condizione di delegittimazione e isolamento in
cui ha operato, non è emerso che Luigi De Magistris si sia reso responsabile non
solo e non tanto dei reati a lui addebitati, ma neanche di mere
“irregolarità” o violazioni di norme processuali o deontologiche: insomma,
il giudizio complessivo sul suo comportamento è di estrema correttezza e
scrupolosità.
6) Sul punto i P.M. di Salerno hanno approfondito alcune delle vicende per le
quali Luigi è stato condannato in sede disciplinare, evidenziando come quel
giudizio fosse in realtà fondato non su una valutazione parametrata al rispetto
delle regole processuali e ordinamentali, ma piuttosto su una generica (nonché a
volte pregiudiziale e apodittica) valutazione negativa proprio del merito della
sua attività giurisdizionale, in contrasto con uno dei capisaldi teorici in tema
di limiti al sindacato disciplinare sull’attività dei magistrati.
7) Ancora, con riferimento ad alcune vicende particolarmente sbandierate da
“media” e commentatori con la litania sui “cattivi magistrati” (mi
riferisco alla nota vicenda dei fermi non convalidati o a quella ancor più
famosa della perquisizione asseritamente “ipermotivata”, ma gli esempi
possono moltiplicarsi), si è sottolineato, talora anche con l’autorevole avallo
della Cassazione, come grossolani errori e macroscopiche illegittimità, semmai,
si rinvengono negli atti posti in essere da quei magistrati che in alcuni casi
hanno sconfessato le ipotesi investigative e gli atti di Luigi (ma di questi
nessuno ha detto se sono “buoni” o “cattivi magistrati” …).
8) Anche quanto alle famose “fughe di notizie”, non solo è stata
ribadita l’estraneità ad esse di De Magistris (ma ciò era già riconosciuto dallo
stesso C.S.M.), ma ne è stato correttamente sottolineato il carattere di
oggettivo pregiudizio alle indagini da lui svolte, specie quando intervenivano
in momenti “caldi” dell’attività investigativa: con buona pace, anche
in questo caso, di chi ha accusato Luigi di “protagonismo”.
9) Sono emersi contatti quanto meno ineleganti tra persone sottoposte a indagini
da parte di Luigi e magistrati del C.S.M., ivi compreso forse anche l’estensore
della sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso Luigi.
10) Alla luce di tutto ciò, si sarebbe tentati di attribuire un significato
sinistro alla fretta con cui il C.S.M. ha voluto aprire e chiudere il giudizio
disciplinare a carico di Luigi De Magistris, comprimendone gli spazi di difesa
al punto da non voler neanche attendere questi pochi mesi, che oggi avrebbero
consentito un giudizio più completo, che tenesse conto delle circostanze sopra
indicate (peraltro ben note al C.S.M., essendo state rappresentate sia da Luigi
che dai magistrati di Salerno, auditi nel corso del processo disciplinare e le
cui dichiarazioni il P.G. D’Ambrosio, di cui dirò più avanti, ha cercato di non
fare ammettere agli atti).
Ho tratto questa sintesi del provvedimento di Salerno da una mail del collega
Raffaele Greco che si concludeva con un interrogativo: perché – scriveva su una
mailing list di magistrati – oggi, mentre è in corso il congresso dell’A.N.M. e
mentre si torna a discutere delle criticità del nuovo ordinamento giudiziario,
specie con riguardo all’assetto delle Procure, solo pochissimi magistrati (che
si contano sulle dita di una mano) si sentono di intervenire in maniera chiara
su questa vicenda?
L’interrogativo non ha avuto NESSUNA RISPOSTA.
Il cancro che consuma la magistratura dall’interno
Alla ineludibile domanda sul perché la magistratura associata tutta taccia sul
“caso De Magistris”, sopportando l’enorme prezzo che ciò le fa pagare
in termini di totale discredito interno (presso i magistrati della “base”)
ed esterno (presso l’opinione pubblica), la risposta è che vi è costretta.
L’A.N.M., le sue correnti, i maggiorenti del potere interno alla magistratura
non possono parlare, perché troppi legami con gli ambienti – ancora una volta
interni ed esterni al “caso” – glielo impediscono.
Si va al Consiglio Superiore della Magistratura mediante elezioni. Il consenso
elettorale è gestito da gruppi – detti “correnti” – che rappresentavano
molti anni fa aree culturali e ideologiche e si sono ridotti oggi quasi
esclusivamente a collettori di voti.
Le correnti legittimano se stesse agli occhi dell’opinione pubblica mantenendo
in vita – con un autentico accanimento terapeutico – l’Associazione Nazionale
Magistrati, che oggi ormai non è altro che un involucro che serve solo a dare
copertura alle correnti, unica realtà esistente.
L’A.N.M. è talmente cannibalizzata dalle correnti che da anni qualunque sia
l’esito delle elezioni interne per i suoi organi direttivi, le correnti si
spartiscono con un numero uguale di seggi la sua Giunta Esecutiva Centrale.
Con l’alibi dell’“unità associativa”, infatti, per moltissimi anni
l’A.N.M. è stata governata da giunte unitarie, nelle quali ciascuna corrente
aveva lo stesso numero di componenti indipendentemente dai voti ottenuti dalla
base. In sostanza, le elezioni erano “per finta”.
La giunta attualmente in carica costituisce una novità, ma una novità
“zoppa”: la Giunta dell’A.N.M., infatti, per la prima volta dopo molti anni
non è unitaria, ma è comunque composta alla pari da tre correnti su quattro.
La circostanza che alle ultime elezioni del C.D.C. due delle quattro correnti
abbiano subito una flessione di voti del 24% è rimasta sostanzialmente
irrilevante e le due correnti in questione compongono ugualmente con lo stesso
numero di componenti la Giunta.
Le correnti designano i candidati al C.S.M. e ne ottengono l’elezione.
Accade nella magistratura una cosa assai simile a ciò che accade in Parlamento:
gli eletti più che eletti sono “designati”.
La programmazione del consenso, anche con appositi cartelli elettorali fra
distretti, e la gestione delle liste elettorali è tale che le correnti offrono
al voto un numero di candidati molto vicino a quello che pronosticano di potere
fare eleggere e veicolano il consenso nel modo per loro più utile.
Gli eletti al C.S.M. sono poi talmente legati al gruppo che li ha fatti eleggere
che:
- ormai nel C.S.M. non ci sono il Consigliere Tizio e il Consigliere Caio, ma,
paradossalmente, scimmiottando il Parlamento, i “gruppi consiliari”;
- ormai i resoconti del Consiglio sono scritti con riferimento ai gruppi
correntizi e non ai singoli consiglieri: “E’ stata approvata la tal
delibera: ha votato a favore MD e contro Unicost”.
Per mantenere e incrementare il consenso della base ciascuna corrente
“sponsorizza” i propri soci in tutti i concorsi interni, dai più rilevanti
ai meno.
Così che quasi l’intero organigramma della magistratura risulta lottizzato
correntiziamente.
Alcuni casi clamorosi
Perché le mie non sembrino accuse gratuite, citerò alcuni clamorosi casi
recenti.
Il TAR Lazio, con la sentenza n. 3526 del 2008, ha annullato la delibera con la
quale sono stati coperti 23 posti al Massimario della Corte di Cassazione
(ufficio assai importante per molte ragioni), denunciando come essa fosse
affetta da eccesso di potere, sviamento di potere, travisamento dei fatti,
illogicità della motivazione.
In un intervento che si può leggere anche su internet, il Presidente della
commissione del C.S.M., Mario Fresa, ha scritto fra l’altro: «Il monito
proveniente dal Capo dello Stato, seguito con convinzione dall’ex Vicepresidente
del CSM Rognoni e poi dal neo eletto Vicepresidente Mancino, secondo cui ancora
oggi esiste un forte potere delle correnti dell’ANM che condiziona e rallenta le
scelte consiliari per piegarle agli interessi localistici e dei gruppi
organizzati, va pertanto condiviso in quanto espressione di un disagio
dell’opinione pubblica e dello stesso corpus della magistratura».
E proprio con riferimento al concorso per il Massimario, ha aggiunto:
«Invero, quando ho iniziato a leggere gli atti del procedimento, ho verificato
che i fascicoli di più della metà degli aspiranti non erano ancora stati
esaminati (…). Poiché le voci che giungevano negli uffici giudiziari
riguardavano scontri su possibili nomi, è parso evidente che le divisioni
riguardavano schieramenti precostituiti, a prescindere dall’esame dei profili
professionali in forza dei quali quelle scelte dovevano essere effettuate. Il
metodo operativo che veniva seguito (che non rappresentava una novità, attesa la
mia pregressa conoscenza degli “interna corporis”) era quello della spartizione
correntizia».
Nel luglio 2007 sono stati coperti nove posti alla Procura Generale della
Cassazione e ben sei dei nove erano consiglieri uscenti del C.S.M. (divisi per
correnti), la cui vittoria nel concorso è stata ottenuta con un metodo talmente
increscioso che uno dei designati – il consigliere Francesco Menditto di MD – ha
ritenuto deontologicamente doveroso non accettare quella nomina.
Altro caso particolarmente scandaloso, la designazione – in palese violazione di
una legge che lo vietava espressamente – di un consigliere uscente del C.S.M. a
Presidente di Sezione della Corte di Appello di Genova.
Il TAR ha annullato anche questa delibera, sottolineando l’evidente violazione
di legge. Il C.S.M., sorprendentemente, pur di “non darla vinta” al
magistrato danneggiato dalla delibera illegittima, non ha ottemperato alla
decisione del TAR impugnandola dinanzi al Consiglio di Stato, che, ovviamente,
ha respinto il ricorso con ulteriore perdita di prestigio e credibilità
dell’organo di autogoverno, più incline (almeno in questo caso) a difendere
interessi correntizi invece che la legge.
Nei giorni scorsi tre componenti uscenti del Comitato scientifico per la
formazione dei magistrati sono stati rimpiazzati al termine del loro mandato.
Erano uno di MD, uno di MI e uno di Unicost. I loro rimpiazzi sono, guarda caso,
uno di MD, uno di MI e uno di Unicost.
Dunque, per quanto appaia paradossale, anche il “Comitato scientifico”
è lottizzato.
In un contesto come questo, non stupisce che una delle telefonate intercettate
riportate nella richiesta di archiviazione della Procura di Salerno sia quella
fra uno dei magistrati inquisiti da De Magistris e un consigliere del C.S.M. al
quale ella dà indicazioni e pone condizioni.
Il magistrato in questione – la dr Felicia Genovese – è stata poi, comunque,
trasferita dalla Sezione Disciplinare del C.S.M..
Poiché è stata trasferita al Tribunale di Roma, sede ambitissima, alla quale
moltissimi magistrati chiedono infruttuosamente di potere andare, un collega
giorni fa, su una mailing list di magistrati, osservava sarcasticamente come la
via più breve per un posto ambito possa essere anche farcisi trasferire
punitivamente dal C.S.M..
Relazioni pericolose
In un contesto come questo, le “relazioni” interne fra capi degli
uffici nominati correntiziamente e “grandi elettori” delle varie
correnti e i vertici dell’A.N.M. e del C.S.M. sono talmente intrecciate e
complesse da esservi troppe persone che possono esigere coperture o almeno
neutralità.
E vi è poi il vastissimo capitolo delle “relazioni esterne”.
Il potere politico “interloquisce” con i vertici delle correnti.
Meno di ventiquattro ore dopo la sua nomina il Ministro Mastella ha incontrato i
capi di tutte le correnti e ventiquattro ore dopo quell’incontro ha coperto i
più importanti uffici apicali del suo ministero guarda caso con magistrati dai
consolidati e risalenti legami alle correnti incontrate il giorno prima.
Capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria è divenuto addirittura un
magistrato che fino a poco tempo prima era il Segretario generale di
Magistratura Democratica.
I radicali hanno denunciato questa cosa, definendola suggestivamente come il
progetto della “Pax Mastelliana”.
Quando ho invitato i miei colleghi a discutere di questa cosa, un magistrato che
oggi ricopre una delle cariche di vertice dell’A.N.M. mi ha espressamente
minacciato di querela, sostenendo che la sua corrente non aveva segnalato
nessuno e che il Ministro Mastella i capi dei suoi uffici se li era scelti da sé
(pensa le coincidenze).
E’ chiaro che in queste condizioni non si pone un problema di buona o mala fede
dei singoli. E’ il sistema che produce inevitabilmente un conflitto di interessi
e poi una cancrena.
Se il Ministro della Giustizia mi convoca perché sono il capo di una corrente e
se enne capicorrente prima di me “hanno fatto carriera”, come potrò io,
fossi anche santo, non pormi il problema di gestire i miei rapporti con il
Ministro in un modo che mi renda, se non “gradevole”, almeno “non
sgradevole” per lui?
E così dopo la “confusione” fra i ruoli interni si ha anche quella con
i ruoli esterni.
Che dà luogo a situazioni paradossali che ritengo si commentino da sé.
Cito le due più recenti e significative.
Il collega Vito D’Ambrosio, che è stato in passato consigliere del C.S.M., si è
dato alla politica e per dieci anni – fino al 2005 – è stato Presidente della
regione Marche.
Dopo di che è rientrato in servizio nei nostri ruoli.
Cosa ovviamente più che legittima.
Sembrano ovvie, però, esigenze di opportunità che avrebbero suggerito di
occuparlo in ruoli “discreti” (un ufficio collegiale, per esempio).
Invece viene assegnato alla Procura Generale della Cassazione e incaricato di
sostenere l’accusa contro Luigi De Magistris al C.S.M. e, parallelamente, viene
fatto eleggere al Comitato Direttivo Centrale dell’A.N.M.. Così che si trova ad
essere il Presidente della sessione del C.D.C. nella quale il Presidente
dell’A.N.M. Luerti si dimette – per ragioni ancora mai del tutto chiarite –
dalla sua carica per sue relazioni (verosimilmente legittime, per carità) con
uno dei principali indagati proprio delle inchieste di De Magistris.
Insomma, un corto circuito di relazioni veramente surreale.
La corrente di “appartenenza” di Vito D’Ambrosio è il Movimento per la
Giustizia nato poco più di vent’anni fa per porre rimedio a questo stato di
cose, nel quale si è invece perfettamente integrato.
Mentre il collega Massimo Russo fa la seguente “carriera”: pubblico
ministero della D.D.A. di Palermo e Presidente della Sezione Palermitana dell’A.N.M.;
da lì a vicecapodipartimento nel Ministero Mastella; da lì ad Assessore
regionale alla Sanità nel nuovo governo regionale siciliano.
Un altro corto circuito impensabile.
Anche lui del Movimento per la Giustizia.
Il gravissimo deterioramento del contesto di riferimento e la degenerazione del
potere hanno reso sempre più deplorevoli le relazioni pericolose fra magistrati
e detentori di potere politico ed economico.
Il gravissimo deterioramento delle condizioni dell’amministrazione della
giustizia, la sua sempre maggiore inefficienza, la sempre maggiore afflittività
delle condizioni di lavoro dei giudici peones rendono ormai insostenibile e
inaccettabile un sistema di gestione del potere interno che quelle inefficienze
non solo non combatte, ma addirittura produce: se i capi degli uffici giudiziari
vengono scelti secondo logiche di spartizione correntizia e non di attitudini e
merito, come potrà mai invertirsi la deriva che sta portando al collasso gli
uffici giudiziari?
Con alcuni colleghi abbiamo proposto un rimedio minimo all’intreccio di
interessi – personali e corporativi – di cui ho detto: la previsione di radicali
incompatibilità fra i diversi ruoli del “potere interno”.
A nostro modesto parere, a chi si candida o comunque assume cariche
nell’associazione devono essere preclusi per sempre incarichi nel governo –
“interno” ed “esterno” – e viceversa.
E chi si candida o comunque assume cariche in questo o in quel fronte del
“potere interno” non deve continuare ad avere – come accade oggi –
condizioni di favore per “carriere parallele”, che contrappongono
magistrati curvi per decenni su quintali di fascicoli polverosi ad altri che
passano da una Direzione generale a una commissione di concorso, da un
assessorato a un posto di sottogoverno.
Queste proposte sono state respinte rabbiosamente dall’intero establishment
correntizio e noi siamo stati accusati di “sfascismo”, “grillismo”,
“qualunquismo”.
Nel concreto contesto contemporaneo, poi, credo che si imporrebbe una regola per
la quale chi va a fare politica non possa poi tornare nei ruoli della
magistratura.
Intanto, tutta l’Italia assiste al paradosso per il quale, mentre Falcone e
Borsellino, morti, possono essere “usurpati” della loro storia,
ottenendo che non si ricordi più che essi furono isolati e osteggiati dalla
“magistratura”, De Magistris, vivo e innocente, costituisce uno scandalo
insanabile che disonora la corporazione, rendendo ridicolo qualunque tentativo
di recupero di credibilità con il solo ormai stantio espediente della dialettica
“ANM/governo”.
Anche sotto questo profilo la situazione complessiva del sistema costituisce una
novità non compresa e non prevista dai capicorrente.
In passato casi come quello di De Magistris (perché ce ne sono stati tanti)
venivano risolti “spazzando via” il magistrato “scomodo”. Lo
si bollava con una sentenza disciplinare adatta alla bisogna, lo si trasferiva e
si attendeva che, in breve tempo, venisse dimenticato (Carlo Palermo fu mandato
da Trento a Trapani e neppure dopo scampato a una strage terribile venne mai
“riabilitato” e se ne andò via dalla magistratura nella disattenzione
generale).
Stavolta la cosa non ha funzionato.
I cittadini calabresi avevano sopportato troppo. Gli amici della
“magistratura” “disturbati” da De Magistris ne avevano fatte di troppo
sfacciate. E così c’è stata una ribellione popolare.
Internet, poi, ha consentito di diffondere documenti e analisi del processo
disciplinare che, per la prima volta, è stato criticato apertamente anche da
magistrati, che, a prezzo di ostracismi e anatemi, hanno deciso di violare il
tabù per il quale “i panni sporchi si lavano in famiglia”, ritenendo
che la critica delle dinamiche dell’autogoverno non può oggi fare alla
magistratura più danno di quanto gliene fanno i suoi vertici con le loro prassi
distorte.
E così inesorabilmente il re è rimasto nudo e non rassegnandosi alla
destituzione si aggrappa a soluzioni impossibili, come, da ultimo, dare della
“pazza” a Clementina Forleo, scavalcando “a destra” la
proposta di Berlusconi sui test psicoattitudinali.
Non so come finirà. Ma mi sento certo che questa classe dirigente della
“magistratura” è arrivata al capolinea. Non solo perché, come era chiaro da
tempo, rappresenta ormai solo se stessa e celebra congressi deserti e tristi. Ma
perché si è svelato l’artificio. E molto difficilmente troverà qualcuno disposto
a crederle quando si spaccerà per l’ennesima volta come tutrice dei sacri valori
della giurisdizione.
Speriamo che in qualche luogo e in qualche tempo – alla fine di quest’epoca buia
di illegalità al potere, di intercettazioni vietate, di indulti e sanatorie, di
tolleranza zero con i morti di fame e complicità con i faccendieri di stato – la
società civile torni a reclamare spazi di vera indipendenza per i giudici. Non
per la “magistratura” come corporazione, ma per i singoli giudici come
addetti a una funzione costituzionale.
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