In attesa di abrogare il Codice penale per tutti, onde
evitare che lo applichino a lui, Al Tappone ha, nell’indifferenza generale,
abolito la logica. È la sua unica, vera riforma istituzionale in 30 anni di tv
commerciale e in 15 anni di politica. Con buona pace di Aristotele, se A è
uguale a B e B è uguale a C, tutto è possibile: anche che A sia diversa da C
perchè C è comunista e fa un uso politico dell’alfabeto.
Decide lui, di volta in volta. E tutti gli altri dietro. «Se ne può discutere.
Pacatamente. Siamo disposti a rinunciare ad A, o a C, in nome del
dialogo. A può essere uguale a C, ma anche no».
Fa un pacchetto sicurezza per punire furti, scippi, rapine,
sfruttamenti della prostituzione, immigrazioni clandestine e altri delitti che
definisce, a capriccio, «di grave allarme sociale». Poi, nello stesso
pacchetto, blocca i processi già in corso (anche alla vigilia
della sentenza) per gli stessi delitti di «grave allarme sociale» commessi
entro il giugno 2002 (la data l’ha decisa lui).
Intanto per gli stessi delitti abolisce pure le intercettazioni,
rendendo molto difficile scoprirli e/o punirli. Come fare un «pacchetto
anti-incendi» e inserirci l’abrogazione degli estintori o un «pacchetto
chirurgia» con il divieto di bisturi. La destra e la sinistra, lo «scontro fra
politica e giustizia», il «dialogo sulle riforme» non c’entrano nulla.
Ma di tutto questo, a parte il Csm, l’Anm e Di Pietro, nessuno parla.
Se i magistrati fanno notare che nel 1999 lo stesso Al Tappone, in compagnia
dell’Ulivo, infilò nella Costituzione l’articolo 111 sul «giusto
processo» che ne impone la «ragionevole durata», e ora ne allunga di
anni la già irragionevole durata, dunque la legge è incostituzionale,
apriti cielo. Nessuno va a vedere se è vero che la Costituzione dice una cosa
e la legge dice il contrario. Se il Csm dà un parere sgradito al governo,
allora è un «attacco al governo». E se qualche consigliere anticipa alla
stampa che la blocca-processi va contro l’art. 111, si scatena il finimondo:
«fuga di notizie», ovviamente «per fini di lotta politica». Come se la
Costituzione fosse coperta dal segreto istruttorio, o di Stato. Dal
Colle il solito disco rotto invita al «riserbo» e al
«dialogo», mentre il governo chiede la testa del vicepresidente
Mancino, reo di non aver bloccato la «fuga di notizie», e Mancino se
la prende coi consiglieri che «parlano con la stampa», come se qualche legge
vietasse di discutere di un tema pubblico, e pure un po’ vecchiotto, come la
Costituzione.
Il punto è che tutti sanno che la legge è incostituzionale:
tant’è che persino alcuni membri del governo, come il sottosegretario
Castelli, ne offrono il ritiro in cambio del lodo Schifani-Alfano,
cioè Schifano. Ma Berlusconi non ne vuol sapere: «Ritirarla significa
ammettere che è una legge ad personam». Cosa che sanno tutti, ma non
si deve dire. Intanto i picciotti di Al Tappone si scatenano a caccia di
precedenti al bloccaprocessi, per dimostrare che il padrone non c’entra.
Credevano di averne trovato uno nella circolare del procuratore di Torino
Maddalena che, dopo l’indulto, aveva indicato ai suoi pm un criterio: trattare
prima i reati commessi dopo il giugno 2006, quelli non indultati. Niente di
automatico: prima si fa una cosa, poi se ne fa un’altra. Nulla di paragonabile
alla legge in questione, che obbliga tutti i tribunali, anche se disoccupati,
a sospendere per un anno i processi per reati fino al 2002, anche se manca
un’ora alla sentenza. E poi a riprenderli tra un anno. Una follia
tale che Maddalena ne prende subito le distanze.
Ma subito Il Giornale spara un’altra balla: «Il salvaprocessi?
L’inventò Prodi. Nel 1998 approvò una norma uguale. I magistrati non
aprirono bocca». Di che si tratta? Di una norma che invitava le procure a
comunicare al Csm «i criteri di priorità ai quali si atterranno per la
trattazione dei procedimenti. Per assicurare la rapida definizione dei
processi pendenti si tiene conto della gravità e offensività del reato». Se
devi scegliere se processare prima il tizio beccato a timbrare due volte il
biglietto della metro o quell’altro che sulla metro ha scannato una ragazza,
parti dal secondo. Niente a che vedere con una legge che impone a un giudice
già chiuso in camera di consiglio di lasciar perdere la sentenza e ripartire
daccapo un anno dopo. La legge Prodi puntava ad accorciare i processi,
la legge Al Tappone ad allungarli. Forse, chissà, magari
perché Prodi non commette reati.
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