E’ passato solo un giorno dal deposito delle carte processuali da parte della
Procura di Milano e già la matassa comincia a dipanarsi.
Innanzitutto ora cominciano ad essere note le dichiarazioni rese ai P.M. dal
diretto interessato Marco Tronchetti Provera. Al di là delle
formali prese di distanza dal suo accusatore – nella sostanza Tronchetti
riconosce quel che sostiene Giuliano Tavaroli: l’essersi costui
adoperato per fissargli appuntamenti con varie personalità politiche. Certo,
Tronchetti Provera si dice ora “…convinto ex post che lui, Tavaroli, mi ha usato
molto per accreditare se stesso…”. Ma resta il fatto che fino al 2006 glielo ha
lasciato fare. Quindi Tronchetti a Tavaroli nel suo Ufficio lo riceveva eccome e
da lui – volente o nolente – riceveva informazioni. Certo, dice che Tavaroli
“…non è mai stato mio riporto diretto…” ma ammette che non era uno qualsiasi
all’interno di Telecom in quanto “…ha iniziato a dipendere
direttamente dal dr. Buora…” (che era il n. 2 dell’azienda,
subito dopo Tronchetti stesso) e comunque “..in casi specifici, se era una cosa
di importanza generale dell’azienda che mi riguardava direttamente come
presidente della società, il sig. Tavaroli si rivolgeva direttamente a me…”.
Insomma, Tavaroli, in azienda si comportava proprio come si doveva comportare
un riconosciuto ed accreditato Responsabile della Sicurezza:
riferiva di regola all’amministratore delegato ed all’occorrenza direttamente al
Presidente.
Quindi, quando Tavaroli riferisce fatti e circostanze, queste non possono
essere, sic et sempliciter, cestinate ma bisogna andare a ricostruire il
contesto ed a andare a “ripulire” le sua affermazioni per cercare di
dipanare la matassa della verità da quella delle possibili dicerie, del
millantato credito o della calunnia.
Sempre dalle carte, però emerge un’altra circostanza che retrodata nel tempo,
al 2001 (e cioè in epoca incompatibile con l’arrivo dello stesso Tronchetti in
azienda) l’operazione “OAK FUND”, ovvero l’operazione
spionistica messa in piedi da Tavaroli e Cipriani (investigatore privato a libro
paga Telecom, ora indagato pure lui) conclusasi con l’attribuzione ad esponenti
del partito D.S. di un conto estero a Londra ove sarebbero
stati fatti affluire somme di denaro per conto di Colaninno,
che per prima si interessò all’operazione Telecom.
Se ciò è vero - questo vuol dire che – indipendentemente dalla verità o meno
dell’operazione OAK FUND – Tronchetti Provera non può essere accusato di
alcunché di penalmente rilevante rispetto ad essa. Nemmeno se - successivamente
al suo arrivo in Telecom – ciò gli fosse stato riferito da Tavaroli (come quest’ultimo
sostiene e come Tronchetti un po’ pudicamente nega).
L’attenzione deve essere pertanto spostata altrove: chi aveva interesse a
ricostruire l’operazione in questione? O meglio: chi aveva interesse a
“costruirla”, ad imbastirla, cioè per calare un “abito di responsabilità”
addosso all’allora segretario dei D.S. Fassino? E soprattutto
proprio nello stesso periodo in cui un altro abito sporco si cercava do calare
addosso a Fassino con un il falso scoop Mitrokin? E chi aveva
dato l’ordine a Tavaroli di eseguirla? Ed ancora in modo più pregante: l’ordine
era di scovare una tangente o di costruire false prove – anche attraverso
compiacenti riscontri documentali – per fare apparire che ci fosse stata? E
siamo sicuri che chi è andato alla ricerche delle “prove disseminate” lungo il
tragitto che ha portato i soldi a Londra era a conoscenza della eventuale
strumentalità con cui erano state predisposte apposta ed a comando? Da queste
risposte potremo sapere se ci troviamo di fronte ad una madornale bugia ovvero a
“due verità” che – nonostante la apparente contraddizione
logica - possono invece convivere fra loro: quella di Tavaroli che riferisce del
conto OAK FUND (di cui peraltro qualche riscontro documentale seppur poco
leggibile sarebbe agli atti del fascicolo processuale) e quella di Fassino che
si è visto cadere quest’altra tegola addosso dopo il fantomatico caso Mitrokin.
A noi non resta che seguire da vicino la vicenda, convinti come siamo che la
partita è appena cominciata e che il vero “puparo” che muove i fili deve ancora
venire fuori.
22/07/2008 Telecom: la doppia verita' ( I parte ) (http://www.antoniodipietro.com)
L’inchiesta della Procura di Milano sull’attività di dossieraggio
e spionaggio messa in piedi dalla Telecom
è terminata con ben 41 capi di imputazione a carico di 34 persone:
funzionari di sicurezza della Telecom stessa, prezzolati investigatori
privati,qualificati esponenti dei servizi segreti, da ufficiali
e sottufficiali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Sono 371 pagine
che illustrano uno spaccato d’Italia fatta di spioni e maneggioni che hanno
lavorato alle nostre spalle e sulle nostre teste per raccattare informazioni e
ricattare personalità e istituzioni. Chi volesse leggere tutto l’atto di accusa
integrale
clicchi qui.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole: è la solita Italietta dei servizi segreti
deviati, delle centrali di disinformazione, dei centri di potere occulti, delle
tante piccole e grandi “P2” di ritorno.
C’è però un “ma”, una discrepanza che impedisce la chiusura del cerchio: chi
era – anzi, chi è - il beneficiario delle loro attività di spionaggio e
dossieraggio? Si badi bene, sul piano strettamente penale, il “beneficiario” non
può che essere – per geometrica sovrapposizione - anche il mandante dei delitti
commessi.
L’ordinanza non lo dice, o meglio lo dice ma – almeno allo stato - non lo
identifica come una “persona fisica” bensì come “due persone giuridiche”:
Telecom Italia Spa e Pirelli Spa.
Se non conoscessi come lavora la Procura di Milano e non avessi certezza
dell’altissima professionalità dei magistrati inquirenti che hanno operato le
indagini, sarei portato a pensare che si sono nascosti dietro ad un pannicello
caldo per non mettere per il momento il nome e cognome del mandante “fisico”,
giacchè – per definizione e per natura – nessun crimine può essere commesso da
un soggetto inanimato, come sono appunto le persone giuridiche Telecom e Pirelli,
ma sempre e solo da persone che hanno occhi, mani e soprattutto “testa”.
Siccome, però, conosco come funzionano le indagini, sono pronto a scommettere
che l’avviso di chiusura indagini di oggi in realtà non è una “chiusura”, ma
solo una “nuova apertura”. Una nuova fase della “partita a scacchi”, ancora
tutta da giocare e che la Procura di Milano si appresta a farla a tutto campo,
utilizzando la fase dibattimentale come “grimaldello” investigativo per superare
la cerchia di omertà e coperture che potrebbe essersi formata attorno alle
dichiarazioni di Giuliano Tavaroli, organizzatore della
centrale di depistaggio. Una tecnica già sperimentata da tanti altri
investigatori ed anche da me all’epoca di Mani Pulite, allorché
nel processo ENIMONT chiesi il rinvio a giudizio inizialmente
solo di Sergio Cusani, per poi utilizzare la fase
dibattimentale per mettere una di fronte all’altra le varie versioni di comodo
che i protagonisti della vicenda stavano recitando.
Pure nella vicenda Telecom penso che succederà così perché è impensabile (e
per Armando Spataro impossibile solo pensarlo) che la Procura di Milano abbia
rinunciato a cercare il “mandante”. Tavaroli - che tanto ha fatto per la sua
azienda e nell’interesse della quale lavorava - si sentirà scaricato e si
vendicherà vomitando addosso ai suoi “mandanti” tutti i fatti e misfatti di cui
è a conoscenza (o più semplicemente di cui dice di essere a conoscenza).
Quello sarà il momento più delicato per il lavoro dei magistrati perché dovranno
distinguere i fatti dalle opinioni, il vero dal verosimile, le
certezze dalle illazioni, le conoscenze dirette da quelle riferite, la verità
dalle vendette.
Un assaggio della delicatezza della partita che si giocherà nei prossimi mesi è
stato fornito – tra oggi e ieri – dallo stesso Tavaroli con due “messaggi
cifrati” mandati attraverso interviste esclusive riferite dal quotidiano
Repubblica che, intendiamoci, se da una parte ha fatto bene a pubblicarle,
dall’altra deve ora stare attenta a non prestare la voce e la penna a chi “parla
a nuora per far capire a suocera”: a chi, cioè, come potrebbe aver fatto
Tavaroli, ha rilasciato le interviste che abbiamo letto, non tanto per far
sapere ciò che abbiamo letto tutti ma per far sapere alle persone di cui non ha
parlato che – prima o poi – potrebbe farlo anche nei loro riguardi se non
dovessero tutelarlo a sufficienza.
Insomma un “assaggio”, o meglio un “messaggio”.
E i fatti che racconta a Repubblica – tutti ben imbastiti da una analisi
storica nient’affatto peregrina – sono come fiammiferi accessi all’interno di
una polveriera. Accenna a conti esteri a Montecarlo di Tronchetti
Provera, butta lì i nomi dell’on.le Brancher (già
condannato durante Mani Pulite) di tal Luigi Bisignani (pure
lui figura di rilievo nelle stesse indagini) e così via, fino ad arrivare al
conto londinese Oak Fund che egli attribuisce addirittura nella disponibilità di
altissimi dirigenti DS (Fassino) e riferisce che sarebbe stato
alimentato per conto di Colaninno, all’epoca della prima
scalata Telecom.
E qui sta il primo inghippo: Tavaroli in questo caso non riferisce fatti di cui
si dichiara a conoscenza diretta ma dice che questi risulterebbero da “…quel che
ha scritto Cipriani (investigatore privato a libro paga Telecom
a cui avrebbe commissionato il lavoro di accertamento, ora indagato pure lui)
nel dossier chiamato “Baffino”, ora nelle mani della Procura di Milano…”.
Il “distinguo” di Tavaroli è sopraffino: egli riferisce un fatto di portata
esplosiva ma di cui – almeno per ora - non si attribuisce la paternità della
conoscenza ed inoltre fa riferimento ad un dossier che potrà pure esserci ma che
nessuno – se non Cipriani – potrà dire che è vero. Il “messaggio” è bello che
confezionato: innanzitutto per Cipriani, di cui cerca la complicità
all’occorrenza (e solo Cipriani “sa” fino a che punto potrà smentirlo dato i
mille rivoli di rapporti ed affari che sono intercorsi fra loro); ma anche per
tutti gli altri che hanno avuto a che fare con la “centrale di informazione e
controinformazione” che Tavaroli aveva architettato e messo in piedi (sembra di
sentirlo: “vedete, se posso permettermi di fare addirittura il nome di una
persona al di sopra di ogni sospetto come Fassino, immaginate cosa posso dire di
ognuno di voi altri che invece con me avete avuto a che fare tutti i giorni).
La partita è appena cominciata e noi – da questo sito - vi terremo costantemente
informati. Per ora non ci resta che prendere atto che Piero Fassino è soltanto
un’esca dentro una palude di pescecani.
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