Sommario della puntata:
Le leggi “ad sistemam”
Il rubinetto chiuso delle indagini
Controllarne 100 per educarne 2000
Magistrati nell'ombra
La norma in prestito dalla P2
La censura per magistrati e informazione
Testo:
"Buongiorno a tutti.
Partiamo da qua: dalla relazione della Corte dei Conti all'inaugurazione
dell'anno giudiziario della giustizia amministrativa che, se siete interessati,
potete trovare sul sito cortedeiconti.it.
E' una relazione agghiacciante per quanto riguarda il sistema della corruzione
in Italia e per quanto riguarda gli sperperi del denaro pubblico nei settori
delle consulenze, della sanità, dei rifiuti.
Si parla di enormi quantità di denaro pubblico che se ne vanno: noi continuiamo
a pompare i soldi delle nostre tasse dentro un acquedotto bucato, pieno di
buchi, una specie di groviera e i soldi escono a tutti i livelli senza arrivare
quasi mai a destinazione.
Se voi leggete questo rapporto e poi leggete di che parlano i giornali e i
politici, vi rendete conto del perché questo acquedotto, se non si cambiano
radicalmente le cose, è destinato a perdere sempre più acqua e noi siamo
destinati a non vedere più alcun risultato rispetto agli enormi sforzi che siamo
chiamati a fare contribuendo alle spese di uno Stato che ormai non esiste più.
Perché i giornali, preso atto di quello che dice la Corte dei Conti, dovrebbero,
in un paese normale e serio, registrare dichiarazioni allarmatissime dei
politici e del governo ma soprattutto dell'opposizione con delle proposte
concrete per tamponare questa enorme emorragia di soldi pubblici che fa
dell'Italia il Paese più corrotto dell'Occidente, come ha detto anche
l'ambasciatore americano Spogli lasciando l'Italia - “Paese corrotto” -, come
dicono tutte le ricerche internazionali, come dice un grande giornale tedesco in
questi giorni che ha definito l'Italia “stivale putrido”.
Invece, non c'è traccia anche di un minimo tentativo di rimediare a questa
drammatica denuncia della Corte dei Conti, anzi si sta lavorando per praticare
altri fori e voragini nell'acquedotto dei soldi nostri.
Soprattutto, si sta lavorando per cercare di impedire in tutti i modi che le
forze dell'ordine e la magistratura riescano a scoprire chi pratica questi fori
e chi succhia i nostri soldi dalla conduttura.
Le leggi “ad sistemam”
Qualche anno fa si parlava di leggi ad personam, si facevano le leggi ad
personam e la definizione era tecnicamente perfetta, perché le leggi fatte nella
legislatura 2001-2006 dal secondo governo Berlusconi erano tutte per risparmiare
i processi al presidente del Consiglio e ai suoi complici.
In questa legislatura di leggi ad personam abbiamo visto il lodo Alfano – e
speriamo che sia presto spazzato via essendo una porcheria incostituzionale – ma
quello che stanno preparando in Parlamento con una miriade di provvedimenti, che
sembrano scollegati e improvvisati, non ha più niente a che fare con la logica
delle leggi ad personam.
Queste sono leggi ad sistemam, se così si può dire: sono leggi molto organiche
che non puntano più a salvare Tizio o Caio dai processi ma puntano a salvare
l'intero establishment, l'intera Casta... diciamo l'intera cosca, chiamiamola
con il suo nome perché ormai risponde a leggi che non sono più quelle che
vengono imposte a noi, quindi è una gigantesca cosca politico-finanziaria, con i
finanzieri al volante e i politici a rimorchio.
E' un disegno estremamente organico e pericoloso e se voi ci fate caso – io
quale esempio lo farò – è un disegno che sistema tutto, proprio nei minimi
particolari, anche negli angoli, anche se non c'è un disegno di legge organico:
una norma la trovate nella legge sulle intercettazioni, un'altra nel pacchetto
sicurezza, un'altra nella legge sulla giustizia, altre sono già passate e non ce
ne siamo neanche accorti.
Proviamo a vedere questo disegno organico che, ripeto, soddisfa ogni esigenza
dei settori più putribondi della cosca.
Intanto il punto di partenza: quando un'indagine parte, quando uno di questi
reati che la Corte dei Conti denuncia: un miliardo e settecento milioni all'anno
di citazioni per danni erariali.
Voi capite che stiamo parlando di quasi due miliardi di euro di danni erariali
scoperti, quindi immaginate quanti sono quelli da scoprire.
Chi segue il blog di Beppe Grillo sa bene, grazie a giornalisti come Ferruccio
Sansa e come Menduni, lo scandalo dei gestori di slot machines che devono allo
Stato una barcata di soldi che lo Stato non è riuscito o non ha voluto
incassare. Stiamo parlando di quello.
Quando si scoprono questi tipi di reati? Quando le forze di Polizia mettono le
mani su uno di questi scandali o, più probabilmente trattandosi di personaggi
potenti legati alla politica, quando il magistrato decide di sua iniziativa di
aprire l'indagine.
Il rubinetto chiuso delle indagini.
Ora, l'abbiamo già raccontato nelle scorse settimane, il magistrato di sua
iniziativa non potrà più avviare nessuna indagine: il disegno del governo
prevede che le indagini si possano avviare soltanto quando le forze di Polizia
le attivano. Dato che le forze di Polizia dipendono dal governo nessun
poliziotto spontaneamente, salvo sia un suicida o kamikaze, si prenderà più la
responsabilità e la briga di avviare un'indagine su un suo superiore, collega o
politico da cui dipende la sua carriera.
Si inserisce un filtro nel rubinetto per bloccare alla fonte certi tipi di
indagine e non farle più arrivare a valle sul tavolo del magistrato e poi del
giudice che giudica. Tutto rimane com'è, tutti rimangono indipendenti, sia il
PM, sia il GIP, sia il giudice, la Corte d'appello, la Cassazione ma tanto della
loro indipendenza non se ne fanno più niente perché a monte il rubinetto ha
filtrato fin dalla partenza, in modo che certe indagini sui colletti bianchi non
partano più.
Questo è il primo punto.
C'è però il caso che qualche poliziotto, carabiniere, finanziere, vigile urbano,
tutti quelli che possono fare l'ufficiale di Polizia giudiziaria, si imbatta in
un reato e decida di non nasconderlo, di denunciarlo, di fare delle indagini a
suo rischio e pericolo, coraggiosamente.
Siamo un Paese dove bisogna essere coraggiosi per fare il proprio dovere ma ci
sono ancora tante persone coraggiose che fanno il proprio dovere. Negli altri
Paesi ci vuole coraggio per fare i delinquenti, in Italia ci vuole coraggio per
restare persone perbene ma ne abbiamo ancora, per fortuna, spesso anche nelle
forze dell'ordine.
Come fare a evitare che questi onesti funzionari e servitori dello Stato portino
a termine il loro lavoro? Oggi è difficile, oggi bisogna trasferirli oppure
promuoverli in altra sede per mandarli via: promuoveatur ut amoveatur.
E' capitato a De Magistris: aveva un ottimo capitano dei Carabinieri, Zaccheo, e
per mandarlo via hanno dovuto prima mandare via De Magistris, perché occorre il
visto del magistrato per poter traferire un ufficiale di Polizia giudiziaria. Se
il magistrato dice no, l'ufficiale rimane.
Anni fa si era scoperto, ascoltando mafiosi che parlavano tra di loro con le
intercettazioni telefoniche a Trapani, che questi prevedevano entro poco tempo
il trasferimento del capo della Mobile di Trapani, un grande poliziotto, si
chiama Linares.
Contavano i giorni per il trasferimento di questo, che era diventato la loro
bestia nera.
I magistrati, ascoltando i mafiosi, scoprono che i politici vogliono trasferire
Linares e allora fanno un bel parere negativo in modo che non venga spostato, e
Linares non viene spostato.
Stanno provvedendo a questo. Come? C'è uno degli articoli della legge sulla
giustizia in discussione in Parlamento che prevede che si possano trasferire gli
ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria senza più il visto, il parere
vincolante del magistrato.
Il magistrato dice “li voglio qua” e il governo li può trasferire lo stesso.
Risolto il problema, quindi.
Si crea un sistema per cui la Polizia non è più invogliata a portare certe
notizie di reato sul potere, se poi qualche poliziotto, carabiniere o finanziere
lo fa lo stesso lo si manda via e il magistrato non può più impedirlo.
Terzo: ci possono essere delle indagini nate come si vuole, gestite da un
pubblico ministero giovane, uno dei tanti sostituti procuratori che
costituiscono l'ossatura della magistratura in Italia.
Sono giovani, entusiasti, hanno studiato la Costituzione da poco, ci hanno
creduto nella Costituzione, pensano che la legge sia uguale per tutti, conducono
indagini e arrivano magari a risultati importanti.
Bene, per fare qualunque cosa dovranno ottenere il visto del loro procuratore
capo: per chiedere un'intercettazione, un arresto, un rinvio a giudizio.
Controllarne 100 per educarne 2000
Una volta, fino a due anni fa prima che ci toccasse la disgrazia di Mastella
ministro della giustizia e prima ancora di Castelli ministro della giustizia,
l'azione penale era nelle mani di ogni singolo sostituto procuratore.
Sono circa duemila: se uno apre un'indagine il suo capo non gli poteva fare
niente. L'indagine non era delega dal capo al sostituto, era il sostituto
titolare di quell'indagine e nessuno gliela poteva portare via, a meno che non
ci fossero gravi motivi che però il suo capo doveva andare a giustificare
davanti al Consiglio Superiore.
Hanno fatto la riforma dell'ordinamento giudiziario, l'ha fatta Castelli, l'ha
rimaneggiata Mastella: i responsabili dell'azione penale sono diventati i capi
delle procure, che sono pochissimi, circa 150.
Controllare 150 persone o una parte di essi è molto più facile che non
controllare 1500-2000 pubblici ministeri.
I capi sono più anziani, stanno stare al mondo, sono gente in carriera e magari
prima di chiedere l'arresto di qualcuno o l'intercettazione di qualcuno ci
pensano due volte, mentre un sostituto procuratore molto spesso certi calcoli
non li fa, bada soltanto al fatto che tutti i cittadini sono uguali di fronte
alla legge.
Questo è stato il primo filtro, adesso abbiamo l'altro: il visto per qualunque
provvedimento. Il sostituto deve continuamente andare dal suo capo e sperare che
stia dalla sua parte; quante volte, in questi anni, abbiamo visto che i capi
degli uffici stanno contro il magistrato e spesso stanno d'accordo con gli
indagati, vedi quello che succedeva a Catanzaro con il povero De Magistris.
Questo segherà alla base un'altra serie innumerevole di possibilità di arrivare
a risultati concreti perché voi sapete che, molto spesso, un'indagine va bene,
spedita, fa il salto di qualità se si fanno le intercettazioni o se si arresta
una persona, che quindi è più invogliata a collaborare con la giustizia che non
se la lascia in libertà. Quando uno è in carcere ha tutto l'interesse a far
venire meno le ragioni che l'hanno portato in carcere, quindi spesso comincia a
collaborare perché così elimina alla radice il pericolo di inquinamento delle
prove o il pericolo di ripetizione del reato che stanno alla base della sua
carcerazione.
Magistrati nell'ombra
Un'altra norma che stanno predisponendo, questo per dirvi quanto sono precisi
e certosini e chirurgici questa volta, proibisce ai giornalisti di nominare il
magistrato che fa le indagini.
Voi direte: sono pazzi. Sarà una vendetta nei confronti dei magistrati per
evitare che si mettano in mostra, per evitare i malati di protagonismo.
Assolutamente no, è una norma perfetta nel disegno che dicevamo: se il
magistrato viene sabotato dai suoi capi o viene perseguitato dai politici –
interrogazioni parlamentari, ispezioni ministeriali – o viene boicottato dai
suoi colleghi, o viene isolato, chiamato o trasferito dal Consiglio Superiore su
richiesta magari del ministro come è avvenuto per i tre PM di Salerno che
avevano avuto il torto di perquisire il palagiustizia o il malagiustizia di
Catanzaro, oggi i cittadini lo vengono a sapere.
C'è ancora qualcuno che le racconta, queste storie: quante volte ne abbiamo
parlato nel passaparola, nei blog, nei giornali dove io scrivo.
Bene, non potremo più nominare, quindi voi non potrete più sentir nominare, i
magistrati che fanno questa o quella indagine. Perché? Perché se uno non può più
fare il nome del magistrato – chi fa il nome del magistrato, cioè il giornalista
che dice “l'indagine tal dei tali è seguita da tal magistrato” facendo un'opera
di informazione – se il magistrato lavora bene sappiamo come si chiama uno che
lavora bene, se il magistrato lavora male, fa degli errori, delle cazzate,
sappiamo che lavora male.
E' informazione.
Il magistrato non potrà più essere nominato e se verrà nominato il giornalista
che lo nomina rischia la galera fino a tre mesi o la multa fino a 10.000 euro.
Per avere detto il nome di un magistrato vero che sta seguendo un'inchiesta
vera. Galera per tre mesi e multa fino a 10.000 euro.
Voi capite che siamo alla paranoia o c'è qualcosa. C'è qualcosa.
C'è che se io non posso più dirvi che la tale indagine la sta facendo il
magistrato Tizio, quando poi magari gliela levano o quando mandano via Tizio voi
non sapete nemmeno chi era Tizio e io non ve lo posso dire, perché non posso mai
fare il suo nome collegato alla sua indagine.
I magistrati diventeranno tutti uguali, il che significa che quelli incapaci,
venduti, cialtroni, pelandroni, pavidi godranno dell'anonimato e potranno
continuare a fare le loro porcherie lontano da occhi e orecchi indiscreti, e
quelli bravi che per esse bravi, coraggiosi, efficienti, competenti vengono
perseguitati non potranno più essere difesi.
Che ruolo può svolgere la stampa nel controllare i magistrati se per la stampa i
magistrati sono tutti uguali? Sono 10.000, come fanno a essere tutti uguali?
Pensate a che cosa ha voluto dire negli anni Ottanta la campagna della stampa
perbene contro il giudice Carnevale: diventò “l'ammazza sentenze”
nell'immaginario collettivo perché ogni volta che gli arrivava un processo di
mafia, soprattutto quelli istruiti a Palermo con tanta fatica da Falcone e
Borsellino, annullava le condanne e rimandava indietro e si ricominciava da
capo.
Alla fine, a furia di parlarne in articoli, libri, eccetera, prese la vergogna
alla Cassazione e istituirono quel criterio di rotazione per cui non fu sempre e
soltanto lui a presiedere i collegi dei processi di mafia. E non a caso, quando
arrivò il maxiprocesso al gennaio del 1992, un altro presidente guidò quel
collegio a posto di Carnevale e guarda caso proprio quella volta le condanne dei
mafiosi furono confermate in via definitiva.
Perché non si può dire “la Cassazione ha annullato” ma “il collegio presieduto
dal solito Carnevale ha annullato”, così chi di dovere se ne occupa, quando si
comincia a vedere che uno si comporta sempre nello stesso modo nei confronti dei
processi di mafia.
Allo stesso modo, quante volte i magistrati che rischiavano di essere cacciati
non per i loro errori ma per i loro meriti – pensate a tutti i procedimenti
disciplinari che hanno subito quelli di Mani Pulite, quelli di Palermo, o che
continuano a subire magistrati meno importanti – la stampa interviene, segnala
nome e cognome, spiega cosa sta succedendo e la gente capisce e magari ogni
tanto qualcuno provvede anche nel senso giusto.
Noi non potremo più raccontare quando un magistrato subisce un torto per i suoi
meriti e viene magari scippato della sua inchiesta o trasferito per punire,
ripeto, i suoi successi e non i suoi demeriti.
La norma in prestito dalla P2
Sapete chi aveva inventato questa regola? Licio Gelli. Il Piano di Rinascita
Democratica è stato scritto nel 1976, stiamo parlando di un documento di 33 anni
fa: già Gelli aveva capito che i suoi giudici amici era bene se poteva lavorare
senza volto e senza nome, perché facevano delle tali porcate e insabbiamenti che
era bene che nessuno uscisse allo scoperto altrimenti la denuncia avrebbe
provocato delle sanzioni e li avrebbero mandati via.
Invece, c'erano quelle teste calde che facevano le indagini sulle stragi, sulle
prime tangentopoli, sui poteri occulti: quelli, se la gente li sentiva nominare,
diventavano subito molto popolari e quindi avrebbero avuto uno scudo a
protezione della loro attività proprio per grazia della loro reputazione, della
loro faccia, della loro professionalità.
Senza contare che i delinquenti di grosso calibro collaborano molto più
volentieri con magistrati di cui si fidano: Buscetta voleva parlare con Falcone,
mica con altri; Mutolo voleva parlare con Borsellino, mica con altri; i
tangentari a Milano facevano la fila fuori dell'ufficio di Di Pietro, non di
altri. Erano magistrati riconoscibili, celebri per la loro capacità, anche
famosi se volete, e quindi il criminale che è un uomo di potere sente che può
fidarsi di un qualcuno che dall'altra parte rappresenta il potere buono, ha le
spalle larghe, sarà difficile sradicarlo, quindi è persona della quale si può
tenere conto e farne un punto di riferimento.
Gelli aveva scritto che “occorreva per decreto una serie di norme urgenti per
riformare la giustizia” e la seconda che aveva inserito in ordine di importanza
era il “divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di
procedimenti giudiziari”.
Gelli non era un cialtrone, Gelli e chi per lui – perché il Piano di Rinascita
fu scritto da Gelli con i suoi consulenti sempre rimasti nell'ombra – aveva
capito esattamente che questo del silenzio sui nomi dei magistrati era
fondamentale per garantire un Paese dove formalmente la legge è uguale per tutti
ma sotto sotto ci sono gli amici che sistemano le cose per gli amici degli
amici.
La censura per magistrati e informazione
Altra norma: qual è una possibilità per un magistrato di difendersi? Quella
di parlare, di raccontare non le sue indagini ma di denunciare quello che gli
stanno facendo.
Pensate la famosissima intervista di Borsellino a Lodato e Bolzoni, ai tempi
Unità e Repubblica, che denunciava lo smantellamento del pool antimafia alla
fine degli anni Ottanta con l'arrivo di Antonino Meli a capo dell'ufficio
istruzione di Palermo al posto del favoritissimo Falcone.
Borsellino disse: “stanno smembrando il pool antimafia”, quindi il magistrato ha
enormi possibilità, quando è un uomo di prestigio, riconosciuto, di denunciare
qualcosa che non va.
Bene, adesso c'è una serie infinita di limiti alle esternazioni dei magistrati:
se i magistrati parlano senza parlare delle loro indagini, come è avvenuto per
Forleo e De Magistris, li mandano via lo stesso con delle scuse.
Se parlano di una loro indagine, senza rivelare dei segreti ma dando ai
cittadini informazioni di cui hanno bisogno, l'indagine gli viene tolta. Questa
è una norma che sta nella legge sulle intercettazioni. Pensate, arrestano il
branco che ha incendiato quell'immigrato indiano vicino Roma, arrestano gli
stupratori, i presunti stupratori o quelli che hanno confessato stupri come
quelli degli ultimi giorni: di solito il magistrato e le forze di Polizia fanno
una conferenza stampa dove danno ai giornali e alla cittadinanza informazioni.
“State tranquilli, li abbiamo presi, le prove sono queste, hanno confessato,
abbiamo trovato l'arma del delitto”.
No, non potrà più fare: se il magistrato dice una parola anche per dare due o
tre elementi di informazione all'opinione pubblica immediatamente perde
l'inchiesta, che finisce ad un altro che deve ricominciare daccapo.
Se poi l'imputato eccepisce su questa cosa nei confronti del suo pubblico
ministero non all'inizio ma durante il processo, ovviamente il PM deve andarsene
e deve arrivarne un altro che non ha mai seguito quell'inchiesta e che quindi
deve ricominciare tutto daccapo.
Così i magistrati avranno paura anche soltanto a dire come si chiamano,
declineranno il numero di matricola come i militari prigionieri in certi film.
Infine, abbiamo la legge – ma già la conoscete perché ne parliamo dai tempi
della legge Mastella – che dentro alla normativa sulle intercettazioni proibisce
ai giornalisti di raccontare le indagini in corso.
Se passa questa legge, non potremo più raccontarvi che hanno arrestato gli
stupratori di quel caso e di quell'altro caso, non vi potremo più raccontare che
hanno arrestato il branco che ha bruciato quell'immigrato, non vi potremo più
raccontare che Tizio, Caio, Sempronio sono stati presi, indagati o perquisiti, o
hanno subito dei sequestri.
Non potremo riportare le intercettazioni per spiegare come mai è finito in
galera l'imprenditore delle cliniche Angelucci, il governatore Del Turco, i
politici arrestati a Napoli insieme a Romeo.
Casi di cronaca normali come anche casi di delitti dei colletti bianchi noi non
potremo più dire nulla sulle indagini in corso se non “arrestato un tizio”. Se
dico che hanno arrestato un tizio posso dire che l'hanno arrestato per stupro,
se dico che hanno arrestato uno per stupro non posso più dire il suo nome. O
dico il reato o il nome di chi è accusato di averlo commesso, insomma non avrò
più la possibilità di fare una cronaca completa in tempo reale per informare i
cittadini di quello che succede.
Così quando arresteranno un vostro vicino di casa per pedofilia, voi potrete
sapere che è stato arrestato per pedofilia soltanto cinque o sei anni dopo,
quando inizierà il processo.
Voi capite che cambia la vita di una famiglia sapere che il vicino di casa è
sospettato di pedofilia o non saperlo, perché per cinque anni si sta attenti
dove vanno i bambini quando si gira lo sguardo dall'altra parte, se lo si sa.
Se non lo si sa non si sta attenti, ma naturalmente quando poi avremo casi di
pedofilia, stupro o altro dovuti al fatto che la gente non ha preso le
precauzioni perché non è stata adeguatamente informata, allora poi sapremo con
chi dovremo prendercela.
Ricordiamocelo e passiamo parola. Buona giornata."
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