"Buongiorno a tutti.
Ricominciano a succedere strane cose a Palermo. Lo sapete se avete letto
Repubblica, che è l'unico giornale, credo, che se ne sia occupato; o se avete
letto il blog di Grillo: il presidente della Commissione Affari Costituzionali
Carlo Vizzini, Forza Italia, è indagato per una brutta storia – presunta
naturalmente, infatti per il momento è soltanto indagato – di riciclaggio del
denaro della famiglia Ciancimino, cioè del vecchio sindaco mafioso legato al
clan dei Corleonesi di Palermo.
Quel Ciancimino che poi gestì la trattativa, insieme a due ufficiali del ROS,
durante le stragi e dopo le stragi fino al giorno della cattura di Riina, della
mancata perquisizione del covo di Riina.
Insomma, chi segue i nostri blog e le nostre attività, di questo sicuramente
qualcosa ricorda.
Bene, la procura di Palermo è impegnata in questa indagine, che non è
un'indagine nuova: semplicemente i magistrati hanno aperto qualche armadio
rimasto chiuso sotto la vecchia gestione del vecchio procuratore Grasso, e hanno
scoperto che c'erano delle interessantissime notizie di reato – intercettazioni
e altro – che non erano mai state valorizzate o trascritte dalle quali, tra
l'altro, risultavano questi rapporti d'affari tra il clan Ciancimino e alcuni
politici tra i quali Vizzini, che è uno dei più importanti uomini di Forza
Italia; ed era anche uno dei più presentabili.
Insieme a Peter Gomez lo avevamo inserito nel libro “Se li conosci li eviti” tra
gli esempi virtuosi; è vero che in Forza Italia per trovare un virtuoso ad alto
livello bisogna andare col lanternino, però aveva fatto una proposta molto
importante, in commissione antimafia, quella per monitorare le candidature ed
escludere gli indagati. Adesso vedremo se quella regola che aveva proposto per
gli altri vale anche per lui.
Perché ho detto questo? Non perché voglia parlare di questa indagine, non è il
caso di fare le indagini o di anticiparle, poi io non ne so nulla: per fortuna i
magistrati tengono bene il segreto quando non ci sono deviazioni come quelle che
abbiamo visto a Catanzaro dove c'erano fughe di notizie istituzionali.
Le telefonate tra Cuffaro e Berlusconi
Ne parlavo perché proprio in questo momento in cui la procura è impegnata su
questi rapporti tra la politica e Ciancimino ed è impegnata a riscontrare le
clamorose dichiarazioni del figlio di Ciancimino sul “papello” di Riina e su
tutto quello che ruota intorno – il papello è un po' la carta fondante della
Seconda Repubblica, per chi ha studiato la storia e non l'ha dimenticata dal
1992 ad oggi – parte, a freddo, un attacco politico-mediatico al procuratore
capo di Palermo Francesco Messineo.
E' una persona molto riservata, poco appariscente, non l'avete credo mai visto
in televisione. E' un magistrato vecchio stampo, conservatore, che lascia
lavorare i suoi colleghi e i suoi Pubblici Ministeri e ha riportato la concordia
in una procura che ai tempi di Grasso era spaccata a metà e ha riportato
soprattutto quel principio della circolazione delle informazioni che è il
principio base sul quale nacque il pool antimafia di Falcone e Borsellino.
Questo procuratore, da molti dipinto come un vecchio conservatore che non vuole
noie, ha avuto il coraggio di andare in aula davanti al Gip di Palermo, due anni
fa appena insediato, per chiedergli di revocare l'ordinanza con cui aveva
disposto la distruzione delle famose telefonate fra Cuffaro e Berlusconi,
telefonate che la procura del procuratore Grasso aveva pensato di far
distruggere ritenendole irrilevanti: erano le telefonate in cui Berlusconi
diceva di avere parlato col ministro Pisanu a proposito dei processi a Cuffaro e
che quindi c'era da stare tranquillissimi. Nessuno ha mai capito a quale titolo
il presidente del Consiglio dell'epoca – siamo nel 2004 – parlava in piena
indagine Cuffaro col ministro dell'Interno e poi avvertiva Cuffaro, e dato che
l'inchiesta sulle talpe nella procura di Palermo che poi ha portato al processo
a Cuffaro, Aiello, al maresciallo Ciuro, al maresciallo Riolo, a Borzacchelli –
chi ha letto un po' dei nostri libri un'idea se l'è fatta – si era sempre dovuta
fermare di fronte all'ultima fonte che conosceva in anticipo le mosse degli
inquirenti e che quindi avvertiva una volta Aiello, una volta addirittura il
boss di Brancaccio Guttadauro, su dove erano piazzate le cimici e su quando
bisognava parlare al telefono e quando no.
Quest'ultima fonte i magistrati l'avevano sempre individuata in una fonte
romana, che però non aveva mai avuto un nome o un volto: forse quelle telefonate
tra Cuffaro e Berlusconi dove si parlava di un giro di informazioni non proprio
regolare, visto che erano tutte notizie coperte dal segreto, poteva far luce ma,
invece di svilupparle, il procuratore Grasso chiese di distruggerle.
Quando poi arrivò Messineo andò in aula e chiese di revocare l'ordine di
distruzione. Purtroppo non si poteva più farci nulla e quelle bobine, piuttosto
preziose secondo me, furono distrutte e nel frattempo Grasso diventò procuratore
nazionale antimafia, anzi gli fecero una legge apposta per levargli di mezzo il
suo concorrente più temibile, Caselli.
Non aprite quei cassetti
Bene, oggi se voi guardate sui giornali, nel mentre che stanno avvenendo
queste indagini delicatissime intorno al mondo Ciancimino, trattative, mandanti
occulti, stragi, c'è un attacco improvviso, a freddo, al procuratore Messineo.
Perché? Per una storia che era già nota due anni fa quando è stato nominato dal
CSM a procuratore capo, cioè che suo fratello è sotto processo per truffa a
Palermo, cioè la stessa procura di Messineo sta sostenendo l'accusa e sta
chiedendo la condanna del fratello del procuratore, e perché suo cognato – il
fratello di sua moglie – dieci o venti anni fa ha avuto delle indagini perché
aveva dei rapporti con un vecchio capomafia, un tale Bonanno, e adesso viene
fuori che al figlio di questo Bonanno il cognato del procuratore aveva
suggerito, tramite la moglie di questo figlio di Bonanno, di cambiare aria visto
che questo tizio era piuttosto nervoso e temeva di finire stritolato nelle
guerre per bande che si sono scatenate in Cosa Nostra.
Dato che non è reato dire a uno di cambiare aria, non ci sono indagini nuove e
quelle vecchie erano state a suo tempo in un caso archiviate in un altro finite
in assoluzione – quindi questo fratello della moglie, per quanto abbia delle
amicizie discutibili, non è indagato né per mafia né per altro -; il fratello
viene processato per truffa alla Regione, credo, con la procura che chiede la
condanna. Cosa ci possa fare Messineo di quello che fa suo cognato è evidente
che è incomprensibile.
Eppure, giornalisti che non hanno mai scritto una riga su certe indulgenze della
vecchia procura nei confronti del potere politico, anzi hanno sempre coperto
quelle indulgenze, improvvisamente si scatenano contro Messineo e adesso, grazie
a questo scatenamento, prontamente il CSM si sta interessando della vicenda e il
centrodestra, soprattutto, sta cercando di far fuori questo procuratore che ha
il grave torto di avere consentito ai suoi collaboratori di aprire certi
cassetti e certi armadi per riscoprire quella stagione di processi sui rapporti
mafia-politica che negli ultimi anni sembrava essersi completamente esaurita.
Perché pare che esistano ancora rapporti fra mafia e politica, questo ve lo
voglio dire con una certa sicurezza.
Una “curiosa” perquisizione
L'altra cosa stravagante che accade a Palermo – diciamo stravagante per non
dire di peggio perché qua, come dice giustamente l'interessato, c'è da ridere
per non piangere – è la perquisizione del Ros nella casa e negli uffici di
Gioacchino Genchi.
Gioacchino Genchi è un dirigente della Polizia di Stato che da anni era in
aspettativa sindacale per poter svolgere a tempo pieno, con la sua società,
consulenze informatiche, telematiche e telefoniche per decine e decine di
procure. Anche qui, chi segue il blog è abituato a conoscerlo, è inutile
presentarlo di nuovo.
L'hanno perquisito per un intero pomeriggio e una parte della notte, con tre
accuse piuttosto curiose, lo dicevo proprio per evitare termini offensivi nei
confronti di chi le muove. Limitiamoci a dire che sono curiose.
Ho qua i due decreti di perquisizione, vorrei esaminarli con voi non per fare
l'indagine in presa diretta, l'indagine la fa la magistratura ed è giusto così,
ma perché vi rendiate conto della sproporzione che c'è tra lo scatenamento
contro Genchi e le cose che gli vengono contestate.
Badate, la sproporzione che c'è anche nel caso in cui le cose che gli vengono
contestate fossero vere. Poi non sono vere, come vedremo, ma anche se fossero
vere vi rendereste conto che stiamo parlando di fesserie in base alle quali,
però, questo signore è stato trasformato in un mostro e rischia di non lavorare
più, perché è ovvio che se tutti i giornali continuano a scrivere che è un
mostro sarà difficile che qualche magistrato si azzardi ancora a dargli delle
consulenze. Gli ultimi che gliele hanno date, cioè De Magistris e la procura di
Salerno, si sono ritrovati paracadutati e catapultati fuori dai loro uffici e
sputtanati sulla pubblica piazza.
La prima contestazione che c'è nel decreto di perquisizione la trovate sul
nostro blog, voglioscendere.it: sono due i decreti di perquisizione perché due
sono i procedimenti a carico di Genchi alla procura di Roma... che non si vede
bene che cosa c'entri, tra l'altro, visto che Genchi abita e lavora a Palermo ed
è accusato di avere fatto delle cose nella sua qualità di consulente della
procura di Marsala, che è in provincia di Trapani e della procura di Catanzaro,
che è in provincia di Catanzaro, non di Roma. Forse perché Genchi ogni tanto va
a Roma a visitare qualche museo, chi lo sa?
Scrive la procura: “Rilevato che, come emerge dall'informativa dell'Agenzia
delle Entrate e in particolare dall'esame del tabulato afferente circa 2600
interrogazioni all'anagrafe tributaria effettuate da Genchi Gioacchino,
utilizzando l'abilitazione – cioè la password – del comune di Mazara del Vallo,
l'indagato avrebbe fatto accesso a tale sistema informatico acquisendo,
elaborando e trattando dati ben oltre i termini e le finalità per i quali aveva
conseguito l'abilitazione. Attese le, a volte anche reiterate, interrogazioni
riguardanti soggetti residenti in località diverse e non prossime a Mazara Del
Vallo quali ad esempio Milano (13 soggetti), Parma (16 soggetti), Roma (14
soggetti), ritenuti quindi sussistenti gravi indizi di reati di cui sopra per
avere l'indagato, pur avendo titolo per accedere al sistema, agito per finalità
diverse da quelle consentite”.
Qui siamo a Marsala, ci sono indagini sulla scomparsa di Denise Pipitone, la
bambina di Mazara Del Vallo che da anni manca all'appello della povera madre.
Genchi era il consulente della procura quando c'era il vecchio procuratore, che
è cambiato poi per scadenza nell'ultimo anno.
Cosa fa Genchi, naturalmente? Si tracciano i tabulati di tutti i parenti, amici,
persone che hanno avuto a che fare con la famiglia perché si brancola nel buio.
Non c'è neanche un indiziato, è il classico delitto contro ignoti, e si comincia
a prendere i tabulati per vedere se ci sono rapporti sospetti, movimenti
sospetti in modo da cercare di trovare questa bambina.
E' ovvio che una ciliegia tira l'altra e nei tabulati, ogni volta che si trova
qualcosa da verificare in un telefono e nei rapporti tra un telefono e altri
telefoni, si prendono i tabulati di questi altri telefoni, poi i tabulati di
quelli che sono in comunicazione con quei telefoni. Insomma, si fanno queste
indagini a raggiera di cui Genchi ha spiegato molte volte, anche ieri sera a
La7.
Che senso ha contestargli di avere interpellato l'anagrafe tributaria per
identificare delle persone che non abitano a Mazara Del Vallo? Voi pensate
davvero che per fare un'indagine su un fatto avvenuto a Mazara Del Vallo si
debbano controllare soltanto persone residenti a Mazara Del Vallo e sia strano
controllarne 13 a Milano, 16 a Parma e 14 a Roma? Qui sembra di essere in un
cartone animato, anche di scarso spirito.
Un reato inesistente
Il problema è un altro, è quello della password: quando indaga sul caso di
Denise Pipitone, Genchi scopre che c'è un sistema molto facile per risalire da
un nome al suo stato di famiglia, al suo indirizzo, al suo codice fiscale, cioè
a quei dati caratteristici che ti danno la certezza che stai veramente
inseguendo quella persona e non un omonimo e per capire cosa fa quella persona.
Il sistema è quello di accedere all'archivio dell'Agenzia delle Entrate
dell'anagrafe tributaria e prendere l'indirizzo, lo stato di famiglia e il
codice fiscale. Da quel momento, non solo si fa abilitare a entrare nella banca
dati dalla procura di Marsala per cui sta indagando su Denise, ma anche da tutte
le altre procure per le quali lavora perché è, appunto, uno strumento di lavoro
avere la banca dati dell'Anagrafe Tributaria.
Così, mentre lavora a quell'indagine lavora anche a molte altre, mentre ha
acceso il computer ed è entrato nell'Anagrafe Tributaria deve controllare le
posizioni di 100 persone, una che fa parte di un'indagine che sta seguendo a
Milano, una a Parma, una in Calabria, una Catanzaro, una in Puglia, una in
Sardegna e quella di Mazara Del Vallo e le fa tutte con la stessa password, mi
sembra ovvio.
E' semplicemente assurdo che uno per accedere a una banca dati cambi password
ogni volta che deve accedere per fare un controllo: intanto perde tempo, poi che
senso ha? L'importante è essere autorizzati dall'autorità giudiziaria ad
accedere a quella banca dati per fini di giustizia.
Certo, se avesse controllato delle persone che interessavano a lui senza
autorizzazione sarebbe scorretto, ma lui controllava persone che gli servivano
nelle sue indagini per una serie di procure d'Italia e usava una sola password
perché quella aveva per entrare, in quel momento. Ma era autorizzato da tutte le
procure che gli avevano dato la consulenza a utilizzare la banca dati
dell'Anagrafe Tributaria.
Questo gli viene contestato come reato di accesso abusivo a sistema informatico:
per farlo bisognerebbe che ci fosse un dolo, che lui avesse la volontà di
violare la legge o fare del male a qualcuno. Immaginatevi a chi fa male uno che
per controllare un codice fiscale usa una password anziché un'altra, tutto
autorizzato, tra l'altro: usa la password che gli hanno dato per l'indagine di
Marsala per controllare uno che gli interessa per l'indagine di Catanzaro o di
Milano. Che reato è? Che senso ha una cosa di questo genere? Ma per questo
l'hanno perquisito.
Tra l'altro la procura di Roma dice di averlo perquisito facendo portar via al
ROS soltanto le carte relative a “Why Not”; in realtà Genchi sostiene che gli
hanno portato via tutto: i file relativi a consulenze che stava facendo per
molte altre procure, per casi di omicidio, per strage, suoi documenti difensivi.
Questa è naturalmente la versione di Genchi, vedremo chi ha ragione.
La cosa simpatica è che, a Palermo, il ROS era famoso per le sue non
perquisizioni visto che era riuscito a non perquisire il covo di Riina nel 1993,
a non perquisire quello di Provenzano nel 1996, tant'è che c'è il processo
all'ex capo del Ros, il generale Mori per questa ragione. Stavolta il ROS è
riuscito a perquisire casa Genchi, forse è stato l'entusiasmo per essere entrati
finalmente a fare una perquisizione che li ha portati a esagerare un po' sulle
cose da portar via.
Resta da capire come abbia saputo, la procura di Roma, che Genchi aveva
interpellato l'Anagrafe Tributaria per posizioni diverse da quelle
dell'inchiesta su Denise Pipitone, perché come fanno all'Agenzia delle Entrate a
sapere chi sono le persone controllate per l'inchiesta su Denise e quelle per
un'altra indagine?
Gli unici che potevano saperlo erano quelli della procura di Marsala, tant'è che
all'inizio l'Ansa aveva scritto che era stata proprio la procura di Marsala a
denunciare Genchi a Roma. Il nuovo procuratore di Marsala è il famoso Alberto Di
Pisa, un noto nemico di Giovanni Falcone contro il quale disse delle cose molto
pesanti davanti al CSM. Era quello che era stato accusato addirittura di avere
scritto le lettere anonime del Corvo di Palermo, poi invece era stato assolto in
appello.
Invece Di Pisa ha smentito, ha detto che non ha fatto nessuna segnalazione
quindi ne dobbiamo prendere atto, anzi io l'avevo scritto nel mio blog e
raccolgo volentieri la sua rettifica.
Resta da spiegare, questi dell'Agenzia delle Entrate come hanno fatto a sapere
che tizio che stava a Parma non era seguito per l'inchiesta su Denise ma per le
inchieste di Catanzaro o chissà dove. Boh, mistero.
In ogni caso resta da capire dove diavolo sia il reato, visto che tutti quegli
accessi erano autorizzati dalla magistratura.
I presunti abusi d'ufficio
Ma andiamo a vedere gli altri due capi d'accusa. Gli altri due capi d'accusa
sono abusi d'ufficio, cioè Genchi, che quando diventa consulente di una procura
assume le vesti di pubblico ufficiale – intanto è pubblico ufficiale perché è un
poliziotto, poi lo è perché è un consulente - quindi ha l'obbligo di verità. Ha
l'obbligo di dire la verità e di depositare tutto ciò che trova, non soltanto le
prove favorevoli all'accusa. In quella veste avrebbe abusato del suo ufficio,
lavorando nell'inchiesta Why Not insieme a De Magistris, per acquisire
illegalmente tabulati di telefoni che appartengono o appartenevano a
parlamentari e a esponenti dei Servizi Segreti.
Infatti qua si dice: “Delitto di cui all'articolo 323 c.p. Perché con più azioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso – pensate che roba – nella sua
qualità di pubblico ufficiale quale consulente tecnico del PM di Catanzaro Luigi
De Magistris, operando in violazione delle disposizioni di cui […] - e qui si
riferisce alla legge Boato, quella che stabilisce che per usare
un'intercettazione di un delinquente che parla con un parlamentare ma anche per
acquisire il tabulato del telefono di un parlamentare, ci vuole prima "la
preventiva richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza per
l'acquisizione di tabulati di comunicazione di membri del Parlamento”.
Ecco, lui in barba a questa norma, scrivono i giudici di Roma Rossi e Toro,
“acquisiva, elaborava e trattava illecitamente i tabulati telefonici di utenze
in uso a numerosi parlamentari, intenzionalmente arrecando agli stessi un danno
ingiusto consistente nella conoscibilità di dati esterni di traffico relativi
alle loro comunicazioni telefoniche, in assenza di vaglio e autorizzazione
preventivi delle Camere di Appartenenza e perciò in violazione delle garanzie
riservate ai membri del Parlamento all'articolo 68 della Costituzione.”
Praticamente avrebbe violato l'immunità parlamentare acquisendo tabulati su
telefoni dei parlamentari che, questa è l'ipotesi che fanno i magistrati di
Roma, lui già sapeva essere in uso a parlamentari, altrimenti come faceva ad
aver commesso intenzionalmente un fatto senza volerlo?
Poi, stessa cosa, altro abuso d'ufficio perché sempre “con più azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso […] acquisiva i tabulati telefonici relativi a
utenze in uso ad appartenenti ai servizi di sicurezza, senza il rispetto delle
relative procedure con danno per la sicurezza dello Stato”.
Qui avrebbe addirittura minacciato il Segreto di Stato acquisendo i tabulati di
telefoni usati da uomini e da dirigenti dei Servizi Segreti e addirittura
dall'allora capo del Sismi, il generale Nicolò Pollari, quello che è stato
rinviato a giudizio per avere partecipato o favoreggiato il sequestro di persona
di Abu Omar, fatto per cui è sotto processo a Milano, molto ben protetto dai
politici di destra e di sinistra.
Ecco, queste sono le due accuse di abuso. Naturalmente presuppongono che Genchi
sia lo Spirito Santo, quindi quando chiede alla Tim, alla Wind o alla Vodafone
il tabulato di un telefonino, già sappia di chi è quel telefonino. Cioè, tu hai
un numero e dal numero capisci, perché sei lo Spirito Santo, che quel numero
corrisponde a quella persona.
Di solito, i comuni mortali, per sapere di chi è un numero chiedono il tabulato
e poi fanno delle analisi: vedono intanto se è intestato a qualcuno; di solito è
intestato a società o a enti. I parlamentari raramente usano telefoni intestati
a se, perché raramente pagano le proprie bollette, quindi di solito li hanno
intestati o a qualche ente o a qualche ministero o a qualche ufficio pubblico.
Il telefonino di Mastella
Qui si sta parlando del telefonino famoso di Mastella, anche se non l'hanno
voluto scrivere. Forse non l'hanno voluto scrivere perché se no avrebbero dovuto
ammettere, la procura di Roma, non solo di essere incompetenti a giudicare su
questo caso ma anche che questa indagine è il duplicato esatto di quella che ha
appena concluso la procura di Salerno.
La procura di Salerno si è occupata dell'acquisizione dei tabulati del
telefonino in uso a Mastella e ha stabilito che De Magistris non sapeva niente
prima di chiedere il tabulato, soltanto dopo era emerso che quel telefono era in
uso a Mastella perché in realtà il telefono era intestato alla Camera dei
Deputati e poi al DAP, al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. Mai
alla persona di Mastella. E Comunque era emerso anche che Mastella, i telefoni
che aveva in uso lui li passava al figlio, per esempio, che non essendo
parlamentare naturalmente non era coperto da nessuna immunità parlamentare.
La procura di Salerno, questo è il problema, ha stabilito che De Magistris quel
reato non l'ha commesso e ha chiesto l'archiviazione a Salerno per quel reato
che non è stato commesso a Catanzaro. Ora la procura di Roma indaga Genchi per
avere fatto, insieme a De Magistris, una cosa che la procura competente ha
stabilito che non è stata fatta, allora di Mastella qua non si parla.
La cosa interessante è questa: come nasce la faccenda del telefono di Mastella.
E' molto semplice: ai primi di aprile del 2007, due anni fa, De Magistris
nell'indagine Why Not deve verificare con chi sta scambiando degli SMS Saladino,
il capo della Compagnia delle Opere della Calabria e principale indagato. Il
telefono di Saladino ce l'hanno già, hanno i tabulati, gli sms. Devono capire
chi sta dall'altra parte che risponde, quindi chiedono il tabulato di un
telefonino col prefisso 335.
Naturalmente, il 20 aprile del 2007 cosa succede? Che la Wind comunica il
tabulato di quel secondo telefonino, che comunica con Saladino, e anche che quel
tabulato è un'utenza del DAP, quindi può essere di una guardia carceraria, di
chiunque. Di Mastella nessuno sa niente.
Dall'elaborazione di quel tabulato, vedendo con chi parla e dove si trova, si
progredisce ma non si riesce ancora a scoprire che quel tabulato intestato al
DAP è di Mastella. Nel mese di maggio 2007 arrivano anche le informazioni dalla
TIM, perché quel telefonino prima di essere volturato alla Wind era su TIM ed
era intestato alla Camera dei Deputati all'epoca in cui, lo sappiamo adesso,
Mastella era parlamentare e non ancora ministro. Quindi mai nominativamente
quell'utenza è stata intestata a Clemente Mastella, quindi era assolutamente
impossibile attribuirla non soltanto a Mastella ma a un parlamentare. Questo
l'ha già scoperto la procura di Salerno, ha già chiesto l'archiviazione per De
Magistris liberandolo da ogni sospetto e dimostrando che il ROS, che sosteneva
il contrario cioè che fin dall'inizio si sapeva che quel telefono era di
Mastella, aveva preso una cantonata clamorosa.
La procura di Roma cosa fa? La stessa indagine contro Genchi, manda lo stesso
ROS che ha preso la cantonata epocale a perquisire Genchi.
Ora, se fosse vero che Genchi ha preso il telefono di un parlamentare sapendo
che era di un parlamentare, almeno sarebbe reato, ma abbiamo visto che quando ha
preso quel tabulato non sapeva che quel telefono era di un parlamentare dunque
il reato, se è vero quello che ha scoperto Salerno, non c'è.
Indagato per non aver commesso il fatto
Invece, ancora più bella è la vicenda che riguarda i tabulati di appartenenti
ai servizi segreti, perché nemmeno se Genchi avesse saputo che quei telefoni
erano di appartenenti ai servizi segreti avrebbe commesso un reato acquisendo il
tabulato, in quanto l'immunità parlamentare non copre i membri dei servizi
segreti! Copre i parlamentari, a saperlo prima, ma non copre i membri dei
servizi segreti, quindi sia che tu lo sappia sia che tu non lo sappia non cambia
nulla, perché la legge italiana non proibisce di acquisire tabulati di membri
dei servizi segreti!
Dico di più: la legge italiana non impedisce nemmeno di intercettarlo, un membro
dei servizi segreti, tant'è che nella relazione del Copasir presieduto da
Rutelli, in evidente conflitto di interessi visto che Rutelli era in rapporti
con Saladino e in qualche modo Genchi si stava occupando di lui e ora è Rutelli
che si occupa di Genchi, c'è scritto che c'è una specie di vuoto di legge e che
quindi bisogna cambiare la legge per tutelare meglio gli appartenenti ai servizi
segreti che oggi possono essere tranquillamente intercettati, nonché può essere
acquisito il tabulato dei loro telefonini.
D'altra parte, ce lo siamo già detto, è vietato dalla legge per un membro dei
servizi segreti parlare di segreti di Stato al telefono, quindi se poi viene
intercettato, il reato di violazione del segreto di Stato non l'ha commesso il
magistrato che l'ha intercettato ma lo spione che non doveva parlare al telefono
di un segreto di Stato!
Anche se Genchi avesse saputo, e non lo sapeva, che certi telefonini erano in
uso a esponenti dei servizi segreti non era vietato dalla legge acquisire quei
tabulati, quindi non si capisce dove sia l'abuso d'ufficio nell'acquisire dei
tabulati di persone che sono come me e voi, non hanno nessuna immunità e possono
essere controllati, nei loro tabulati e nelle loro telefonate, senza alcun
limite.
Poi è chiaro che, a posteriori, quando si scopre che c'è stato un argomento che
riguarda il segreto di Stato lo spione può dire “qui c'è segreto di Stato”, ma
non è che preventivamente tutto quello che fa uno spione è coperto da segreto di
Stato, o almeno la legge così non prevede.
Come abbiamo visto, Genchi è stato perquisito ed è indagato per non aver
commesso il fatto.
Passate parola."
Ps. Apprendo ora che la Procura di Palermo ha smentito la
notizia riportata da alcuni giornali e ripresa anche da me all'inizio di questo
Passaparola: e cioè che il senatore Carlo Vizzini sia stato già iscritto sul
registro degli indagati per la vicenda del ririclaggio del tesoro di Ciancimino.
Vizzini dunque, almeno per il momento, non risulta indagato nè per riciclaggio
nè per altri reati. Marco Travaglio
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