Il cittadino b.
La lista dei nemici.
Ecco la libertà di stampa
Fiabe e politica
"Buongiorno a tutti.
Non per guastare la festa a questa bella incoronazione imperiale del leader
del popolo delle libertà che, come avete visto, a sorpresa è stato eletto
primo, unico, ultimo imperatore del partito che aveva fondato sul predellino
di una macchina e che quando l'aveva fondato Gianfranco Fini l'aveva subito
fulminato dicendo: “siamo alla comica finale, noi non entreremo mai nel Popolo
della Libertà e Berlusconi non tornerà mai più a Palazzo Chigi con i voti di
Alleanza Nazionale”.
E quando qualcuno gli aveva chiesto “Possibilità che AN rientri all'ovile?”,
risposta di Fini: “Noi non dobbiamo tornare all'ovile perché non siamo
pecore”. Poi come avete visto sono tornati all'ovile quindi ne dobbiamo
concludere che sono pecore o pecoroni.
Ecco, non è per guastare il clima idilliaco anche perché avete visto che sono
talmente uniti che su 6000 delegati non se n'è trovato uno che votasse per un
altro candidato; potevano pagarne uno almeno per votare per un altro candidato
almeno facevano finta di averne due, invece no. E' stata proprio una cosa
unanime che ha molto commosso il Cavaliere che non se l'aspettava: avete visto
l'emozione con cui ha scoperto di essere stato eletto leader in quei congressi
che proprio all'ultimo momento ti riservano questo colpo di scena finale. Chi
l'avrebbe mai detto.
Ma diciamo che questo stava nelle cose. La cosa interessante è che a poco a
poco si cominciano, con quindici anni di ritardo, a vedere i nomi e i cognomi
dei veri padri fondatori di quest'avventura che adesso si chiama Popolo della
Libertà, che prima si chiamava Casa della Libertà , che prima ancora si
chiamava Polo della Libertà e che in realtà ha un unico padrone che si chiama
sempre Forza Italia.
Quante volte abbiamo sentito rievocare la storia di Forza Italia, le
origini... adesso c'è anche quel libro scritto in caratteri gotici, molto
grosso per i non vedenti, probabilmente è la versione braille quella che
Berlusconi ha mostrato in televisione, che invece della fiaba di cappuccetto
rosso, di Cenerentola racconta la fiaba di uno dei sette nani: l'ottavo nano,
anzi, come l'avevano ribattezzato i fratelli Guzzanti e la Dandini.
Craxi, questo sconosciuto
L'ottavo nano che nel 1993 cominciò a macinare idee, progetti che poi si
tradussero in Forza Italia.
All'inizio ci dicevano che fu lui ad avere questa intuizione meravigliosa,
anzi quando qualcuno insinuava che ci potessero essere dei rapporti, dei
suggerimenti di Bettino Craxi, di alcuni strani personaggi siciliani che poi
vedremo, veniva tutto negato: “non sia mai, noi non c'entriamo niente”. Anzi
Berlusconi Craxi faceva proprio finta di non conoscerlo. Per la precisione, il
21 febbraio del 1994, ad un mese ed una settimana delle prime elezioni che
Berlusconi vinse, tre settimane dopo il famoso discorso televisivo a reti
unificate spedito in videocassetta ai telegiornali, quello della discesa in
campo, Berlusconi era a Mixer, ospite di Giovanni Minoli che, conoscendo anche
lui molto bene Craxi gli chiese quale fosse il suo rapporto con Craxi.
All'epoca Craxi era un nome impronunciabile, era il numero uno dei tangentari,
stava facendo di gran fretta le valige perché di li a poco con l'insediamento
del nuovo Parlamento i vecchi parlamentari avrebbero perso ipso facto
l'immunità e sarebbe finito dentro. Allora stava apprestandosi alla fuga, alla
latitanza verso Hammamet. Era un nome pericoloso, e Berlusconi, fedele alle
amicizie e coerente come sempre, rispose a Minoli: “è una falsità, una cosa
senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci sia Craxi. Non devo nulla
a Craxi e al cosiddetto CAF”.
Un anno dopo, lui aveva già fatto il suo primo governo, era già cascato, c'era
il governo tecnico Dini, alla Repubblica gli chiesero notizie di Craxi perché
era venuto fuori da un vecchio consulente di Publitalia che aveva partecipato
alla progettazione, addirittura pare fin dall'estate del 1992, Ezio Cartotto,
alla nascita di Forza Italia, aveva raccontato che in queste riunioni, in
quella decisiva ai primi di aprile del 1993, mente lui era li ad Arcore con
Berlusconi si aprì una porta ed entrò Craxi e diede alcune indicazioni. Per
esempio che bisognava mettere insieme le truppe berlusconiane con i leghisti,
ma Craxi disse “mai con i fascisti”. Craxi aveva tanti difetti ma essendo un
socialista i fascisti non li voleva vedere mentre, come abbiamo visto,
Berlusconi si è portato dentro i fascisti e anche qualche nazistello per non
disperdere i voti.
In ogni caso i giornali pubblicarono le dichiarazioni di Cartotto, che chi di
voi vuole vedere nel completo trova nel libro “L'odore dei soldi”, lì c'è
proprio il racconto di questa riunione nella quale Craxi spalancò una porta.
Berlusconi replicò negando. Io mi ricordo che in una conferenza stampa in quei
giorni a Torino, al Lingotto, io gli chiesi se era vero che Craxi avesse
partecipato a queste riunioni e lui, invece di rispondermi, mi disse “si
vergogni di farmi questa domanda”. Era una conferenza stampa: in un altro
paese immagino che tutti i giornalisti avrebbero rifatto la stessa domanda
fino a ottenere la risposta, invece i colleghi, che sono quelli che fanno
parte del codazzo, che sono ormai quasi di famiglia per lui, mi guardarono
come dire: “ce lo disturbi, così ci rimane male, ci rimane storto per tutta la
giornata”. Io mi ritirai in buon ordine, non conoscendo queste usanze
altamente democratiche.
Berlusconi disse di nuovo: “Forza Italia e Craxi sono politicamente lontani
anni luce. Posso assicurare che politicamente non abbiamo a che fare con Craxi
e siamo stati molto attenti anche alla formazione delle liste elettorali”.
Come dire, quello è un pregiudicato e noi i pregiudicati non li vogliamo. Non
vogliamo neanche gli indagati, infatti Forza Italia nel 1994 faceva firmare
una dichiarazione ai suoi candidati nella quale dichiaravano non solo di avere
condanne ma nemmeno di avere mai ricevuto un avviso di garanzia, che è
addirittura eccessivo come dicevamo la settimana scorsa. Per essere indagati
basta essere denunciati da qualcuno, che magari si inventa le accuse.
“Non rinnego l'amicizia con Craxi ma è assolutamente escluso che Forza Italia
possa aver avuto o avere alcun rapporto con Craxi”. 2 ottobre 1995.
Craxi è rimasto latitante dal 1994 al 2000 ad Hammamet. Nel gennaio del 2000 è
morto. Stefania Craxi ha aspettato per sei anni che l'amico Silvio, che doveva
molto se non tutto a Craxi, andasse a trovare suo padre e Berlusconi non c'è
mai andato, è andato a trovarlo da morto al funerale.
Infatti, parlando al Corriere della Sera nell'agosto del 2004, Stefania Craxi
dichiarava: “A Berlusconi non perdono di non essere mai stato a trovare mio
padre neppure una volta.”.
L'avete vista, l'altro giorno piangeva felice durante la standing ovation
riservata a Craxi su invito di Berlusconi dall'assemblea dei congressisti;
evidentemente si è dimenticata o forse ha perdonato, o forse il fatto che
l'abbiano portata in Parlamento l'ha aiutata a perdonare.
Sta di fatto che Craxi era un appestato, non si poteva dire che Craxi era uno
dei padri fondatori di Forza Italia e poi dei suggeritori, visto che da
Hammamet non faceva mai mancare i suoi amorevoli consigli, come emerse dalle
famose intercettazioni depositate nel processo sulle tangenti della
metropolitana di Milano, quelle che il giovane PM Paolo Ielo tirò fuori in
aula per dimostrare la personalità criminale di Craxi che anche dalla
latitanza continuava a raccogliere dossier a distribuire suggerimenti, ed era
in contatto con il gruppo parlamentare di Forza Italia. Tant'è che il
portavoce del gruppo parlamentare si dovette dimettere perché era solito
sottoporre a Craxi le interrogazioni e le interpellanze parlamentari, e Craxi
dava ordini su come orchestrare le campagne contro i magistrati... anche
questo lo trovate mi pare in “Mani Pulite” se non ricordo male.
L'altro padrino fondatore
Ma, andando avanti, l'altro giorno finalmente c'è stato lo sdoganamento
postumo di Craxi: quindici anni esatti dopo la prima vittoria elettorale di
Forza Italia Berlusconi ci ha fatto sapere pubblicamente, durante la standing
ovation, che uno dei padri fondatori era Bettino. Non è male un partito che ha
fra i suoi padri fondatori un latitante, no?
Ecco, per chi pensasse che non è bello un partito co-fondato da un latitante,
fermi la propria indignazione o la propria riprovazione perché tra i padri
fondatori Craxi probabilmente è il più pulito. Nel senso che, magari ci
arriviamo al prossimo congresso, prima o poi sentiremo il Cavaliere ammettere
anche il nome di altri padri fondatori di Forza Italia, che per il momento
restano ancora abbastanza nell'ombra.
Quando voi vedrete a un prossimo congresso, non so... quando gli metteranno la
corona o gli poseranno la spada sulla spalla o si metterà lo scolapasta in
testa e il mestolo in mano e comincerà a declamare in lingue strane, se
solleciterà una standing ovation per Vittorio Mangano sappiate che quello è il
momento: finalmente un altro padre, o padrino, fondatore di Forza Italia verrà
allo scoperto. Per il momento ci dobbiamo accontentare di quello che siamo
riusciti a scrivere nei nostri libri, perché noi scriviamo nei nostri libri
delle cose e poi dieci anni dopo Berlusconi arriva e le dice, e tutti i
giornali le annotano dicendo “Berlusconi rivela...”. No, Berlusconi non rivela
niente: confessa tardivamente, di solito quando le cose sono andate in
prescrizione.
Allora, per essere precisi perché molto spesso si fa letteratura, Mangano, non
Mangano, sarà vero o non sarà vero.
Io vi cito semplicemente quello che noi sappiamo per certo sul ruolo che ebbe
Vittorio Mangano in tandem con Marcello Dell'Utri nella nascita di Forza
Italia.
Un po' di date: il 23 maggio del 1992, strage di Capaci. Qualche giorno dopo
Ezio Cartotto, che è un vecchio democristiano della sinistra DC milanese che
teneva delle lezioni e delle consulenze ai manager e ai venditori di
Publitalia e che quindi lavorava per Dell'Utri, viene chiamato da Dell'Utri.
Siamo nell'estate del 1992, tangentopoli è appena esplosa, non c'è ancora
nessun politico nazionale indagato dal pool di Mani Pulite: hanno preso Mario
Chiesa, hanno preso i due ex sindaci di Milano Tognoli e Pillitteri, hanno
preso un po' di amministratori locali democristiani, comunisti, socialisti.
Eppure Dell'Utri, evidentemente con le buone fonti che ha a Palermo, ha già
deciso che la classe politica della prima Repubblica è già alla frutta e non
si salverà e quindi a scanso di equivoci chiama Cartotto e, in segreto, senza
nemmeno parlarne con Berlusconi, gli commissiona – dice Cartotto - “di
studiare un'iniziativa politica legata alla Fininvest”.
Poi c'è la strage di Via D'Amelio, preceduta dalla famosa intervista dove
Paolo Borsellino ha detto che a Palermo ci sono ancora indagini in corso sui
rapporti fra Berlusconi, Dell'Utri, Mangano e il riciclaggio del denaro
sporco.
Dopo avere dato quell'intervista, passano nemmeno due mesi e Borsellino viene
eliminato a sua volta. Intanto Cartotto lavora come una talpa: lo sa solo
Dell'Utri. Berlusconi, questo lo trovate negli atti del processo Dell'Utri e
noi in Onorevoli Wanted e anche nel libro arancione “L'amico degli amici”
abbiamo raccontato dilungandoci questa vicenda che ha semplicemente
dell'incredibile. O almeno, avrebbe dell'incredibile se qualcuno la
conoscesse, se qualcuno l'avesse raccontata in questi giorni in cui tutti
facevano i retroscena della nascita di Forza Italia. Si sono dimenticati
questi popò di retroscena.
Nell'autunno del 1992 Berlusconi viene informato del fatto che farà un
partito, perché i primi a saperlo sono Dell'Utri e Cartotto. Da' il suo via
libera al progetto, che prosegue tramite le strutture di Publitalia all'ottavo
piano di Palazzo Cellini a Milano 2, dove ha gli uffici Dell'Utri.
Il progetto viene chiamato “Progetto Botticelli”, viene camuffato da progetto
aziendale, in realtà è un progetto politico che sfocerà in Forza Italia, e poi
ci sono tutte le riunioni di quando Berlusconi comincia a consultarsi con i
suoi uomini.
Ovviamente, non solo i manager del gruppo ma anche i direttori dei giornali e
dei telegiornali, che sono sempre i vari Costanzo, Mentana, Fede, Liguori e
ovviamente Confalonieri, Dell'Utri, Previti, Ferrara. Montanelli non ci
andava, ma ci andava Federico Orlando che poi ha scritto un libro, anche
quello molto interessante: “Il sabato andavamo ad Arcore” pubblicato dalla
Larus di Bergamo.
Poi ha scritto un altro libro “Fucilate Montanelli”, nel quale si raccontano,
per gli Editori Riuniti, questi fatti.
Le riunioni ad Arcore
In queste riunioni ci sono discussioni, perché Berlusconi è
preoccupatissimo. C'è il referendum elettorale che ha portato l'Italia alla
preferenza unica e si va verso l'uninominale, c'è la scomparsa nella primavera
del 1993 dei vecchi partiti che gli avevano garantito protezione per vent'anni,
c'è la necessità di sostituirli con qualcosa che sia talmente forte da
sconfiggere la sinistra che sembra approfittare del degrado morale che sta
emergendo soprattutto, ma non solo, per i partiti del centrodestra – poi il
PCI era coinvolto anche nella sua ala milanese ma non a livello nazionale
nello scandalo di tangentopoli. E soprattutto c'è tutto il problema delle
concessioni televisive e di chi andrà a governare il Paese e quindi a regolare
la materia delle concessioni televisive che Berlusconi aveva appena sistemato
con la famosa legge Mammì e quei famosi 23 miliardi finiti sui conti esteri
della All Iberian di Craxi subito dopo la legge Mammì.
Allora c'è grande allarme, c'è grande preoccupazione: sarà meglio entrare o
sarà meglio non entrare? C'è tutta la manfrina “facciamo un partito di
centrodestra e poi lo consegniamo chiavi in mano a Segni e Martinazzoli perché
vadano avanti loro, oppure lo facciamo noi?”. Questo era il dibattito, che
nell'aprile del 1993 segna la benedizione ufficiale di Craxi con quella
riunione che vi dicevo prima ad Arcore con Ezio Cartotto.
La mafia e la nuova Repubblica
Poi ci sono altre discussioni, ci sono ancora i frenatori come Confalonieri,
Gianni Letta, Maurizio Costanzo che sono piuttosto ostili al progetto, o
meglio temono che per Berlusconi sia un autogol.
Sarà un caso, ma proprio il 14 maggio del 1993 la mafia fa un attentato a
Roma, il primo attentato a Roma nella storia della mafia, il primo attentato
fuori dalla Sicilia nella storia della mafia viene fatto a Roma nel quartiere
dei Parioli. Contro chi? Ma guarda un po': Maurizio Costanzo che sfugge poi,
fortunatamente, per un centesimo di secondo.
Quel Costanzo che stava nella P2: evidentemente qualche ambientino non si
aspettava che fosse ostile alla discesa in campo. Perché lo dico? Perché in
quello stesso periodo in Sicilia e in tutto il sud ovest, anche Calabria, si
muovevano delle strane leghe meridionali che, in sintonia con la Lega Nord –
c'era stato addirittura a Lamezia Terme un incontro con un rappresentante
della Lega Nord – si proponevano di secedere, di staccare Sicilia, Calabra...
infatti si chiamavano “Sicilia libera”, “Calabria libera”. Era tutto un fronte
di leghe molto strano: invece di esserci i padani inferociti lì c'erano strani
personaggi legati un po' alla mafia, un po' alla 'ndragheta e un po' alla P2 e
uno di questi, il principe Orsini che aveva legami con questi personaggi,
aveva legami anche con Marcello Dell'Utri.
Quindi noi sappiamo che Dell'Utri – lo ha dimostrato Gioacchino Genchi, ma
guarda un po', andando a incrociare i telefoni e i tabulati di questi
personaggi – aveva contatti diretti con questo Principe Orsini. Dell'Utri
inizialmente tiene d'occhio questi ambienti, perché sono le organizzazioni
mafiose, legate a personaggi della P2 e dell'eversione nera, che si stanno
mettendo insieme perché sentono odore di colpo di Stato, sentono odore di
nuova Repubblica e vogliono far pesare, ancora una volta, la loro ipoteca con
un partito o una serie di partiti nuovi.
Come Sicilia Libera, della quale si interessano direttamente boss come Tullio
Cannella, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Giovanni Brusca.
Dopodiché succede qualcosa, succede che dopo l'attentato a Costanzo e dopo gli
attentati che seguono – alla fine di maggio c'è l'attentato a Firenze, ci sono
addirittura cinque morti e diversi feriti; poi alla fine di luglio ci sono gli
attentati di Milano e Roma con altri cinque morti e diversi feriti – questa
strategia terroristica ad ampio raggio, della mafia, sortisce i risultati
sperati: Riina non stava sparando all'impazzata, stava facendo la guerra per
fare la pace con lo Stato, così disse ai suoi uomini.
Una nuova pace con nuovi soggetti e referenti politici che però, a differenza
di quelli vecchi che ormai erano agonizzanti, fossero vivi, vegeti, reattivi e
in grado, fatto un accordo, di rispettarlo.
E' l'estate del 1993 quando Forza Italia è ormai decisa: Berlusconi
nell'aprile-maggio ha comunicato a Montanelli che entrerà in politica e che
quindi il Giornale dovrà seguirlo nella battaglia politica. Montanelli gli ha
detto che se lo può scordare: tra l'estate e l'autunno sono mesi in cui si
consuma la rottura tra Montanelli e Berlusconi perché Montanelli continua a
scrivere che Berlusconi non deve entrare in politica perché c'è un conflitto
di interessi, perché non si può fare due mestieri insieme.
Dall'altra parte, ci sono le reti Fininvest che bombardano Montanelli per
indurlo alle dimissioni, perché era diventato un inciampo: il giornalista più
famoso dell'ambito conservatore che si scatenava contro quello che doveva
diventare, secondo i desideri di Berlusconi, un partito moderato, liberale,
insomma il partito che avrebbe dovuto incarnare gli ideali di cui Montanelli
era sempre stato l'alfiere e che invece Montanelli sapeva benissimo non
avrebbe potuto incarnare perché Berlusconi è tutto fuorché un moderato e un
liberale: è un estremista autoritario.
In quei mesi la mafia decide di abbandonare il progetto di Sicilia Libera che
essa stessa aveva patrocinato e fondato e tutto ciò avviene in seguito a una
serie di riunioni, nell'ultima delle quali Bernardo Provenzano – ce lo
racconta il suo braccio destro, Nino Giuffré che ora collabora con la
giustizia e che è stato ritenuto attendibile in decine e decine di processi
compreso quello Dell'Utri – convoca le famiglie mafiose, la cupola, per sapere
che cosa scelgono: se preferiscono andare avanti col progetto del partitino
regionale Sicilia Libera o se invece non preferiscano una soluzione più
tradizionale come quella che sta affacciandosi a Milano grazie all'opera di un
loro vecchio amico: Marcello Dell'Utri che conoscevano fin dai primi anni
Settanta come minimo, cioè da quando Dell'Utri, in rapporto con un mafioso
come Cinà e un mafioso come Mangano, aveva portato quest'ultimo dentro la casa
di Berlusconi.
Si potrà discutere se l'ha fatto consapevolmente o inconsapevolmente, ma il
fatto c'è: ha dato a Cosa Nostra la possibilità di entrare dentro la casa
privata e di stazionare con un proprio rappresentante dentro la casa privata
di uno dei più importanti e promettenti finanzieri e imprenditori dell'epoca.
Berlusconi era costruttore, in quel periodo, poi sarebbe diventato editore e
poi politico.
Gli incontri tra Mangano e Dell'Utri
E' strano che non si trovi più nessuno, ma nemmeno all'estrema sinistra,
che ricordi questi fatti documentati. Ancora nel novembre del 1993 quando
ormai per Forza Italia si tratta proprio di stabilire i colori delle coccarde
e delle bandierine, c'erano i kit del candidato, stavano facendo i provini nel
parco della villa di Arcore per vedere i candidati più telegenici; in quel
periodo, a tre mesi dalle elezioni del marzo del 1994, Mangano incontra due
volte Dell'Utri a Milano. E questa non è una diceria, c'è nelle agende della
segretaria di Dell'Utri: Palazzo Cellini, sede di Publitalia, Milano 2, i
magistrati arrivano e prendono le agende e nell'agenda del mese di novembre
del 1993 si trovano due appuntamenti fra Dell'Utri e Mangano, il 2 novembre e
il 30 novembre.
E Mangano chi era, in quel periodo? Non era più il giovane disinvolto del
'73-'74 quando fu ingaggiato e portato ad Arcore come stalliere: qui siamo
vent'anni dopo.
Mangano era stato in galera undici anni a scontare una parte della pena
complessiva di 13 anni che aveva subito al processo Spatola per mafia e al
maxiprocesso per droga, due processi istruiti da Falcone e Borsellino insieme.
E' stato definitivamente condannato per mafia e droga a 13 anni, ne aveva
scontati 11, uscito dal carcere nel 1991 era diventato il capo reggente della
famiglia mafiosa di Portanuova e grazie al suo silenzio in quella lunga
carcerazione aveva fatto carriera e partecipato alle decisioni del vertice
della mafia di fare le stragi.
E poche settimane dopo le ultime stragi di Milano e Roma, Dell'Utri incontra
un soggetto del genere a Milano negli uffici dove sta lavorando alla nascita
di Forza Italia.
Io non so se tutto questo sia penalmente rilevante, lo decideranno i
magistrati: penso che sia politicamente e storicamente fondamentale saperlo,
mentre si vede Gianfranco Fini che cita Paolo Borsellino al congresso che sta
incoronando il responsabile di tutto questo, cioè Berlusconi.
Verrebbe da dire “pulisciti la bocca”.
Possibile che invece di abboccare a tutti i suoi doppi giochi, quelli del
centrosinistra non – ma dico uno, non dico tutti, li conosciamo, fanno inciuci
dalla mattina alla sera e sono pronti a ricominciare con la Costituente come
se non gli fosse bastata la bicamerale – uno, di quelli anche più informati,
che dica “ma come ti permetti di parlare di Borsellino? Leggiti quello che
diceva, Borsellino, di questi signori in quella famosa intervista prima di
morire”.
Leggiti quello che c'è scritto nella sentenza Dell'Utri e poi vergognati,
perché quel partito lì non l'ha fondato lo Spirito Santo, l'hanno fondato
Berlusconi, Dell'Utri, Craxi con l'aiuto di Mangano che faceva la spola fra
Palermo e Milano, infatti le famiglie mafiose decidono di votare per Forza
Italia e di abbandonare Sicilia Libera – che viene sciolta nell'acido
probabilmente – quando Mangano arriva giù a portare le garanzie.
Bettino, Silvio e Marcello
Io concludo questo mio intervento, che racconta l'altra faccia della
nascita e delle origini di Forza Italia e quindi della Seconda Repubblica,
semplicemente leggendovi quello che hanno scritto e detto prima Ezio Cartotto,
piccolo brano, e i giudici di Palermo.
Cartotto dice: “Craxi ci disse – in quella famosa riunione in cui si aprì la
porta – che bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, qualcosa
che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il
pentapartito. Con l'arma che hai tu, Silvio, in mano delle televisioni,
attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante”. Mh... “Ti basterà
organizzare un'etichetta, un contenitore – una volta è Forza Italia, una volta
la CdL, una volta il PdL -, hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi
riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso ma
anche deciso a non farsi governare dai comunisti e salvare il salvabile”.
Vedete che Berlusconi continua a ripetere le stesse cose che gli aveva detto
Craxi, quindici anni dopo non ha ancora avuto un'idea originale.
Berlusconi invece era ancora disorientato, in quel momento, tant'è che dice:
“mi ricordo che mi diceva: 'sono esausto, mi avete fatto venire il mal di
testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e
mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte e
diranno che sono un mafioso”.
Questo diceva Berlusconi nella primavera del 1993. Domanda: ma come può venire
in mente a un imprenditore della Brianza di pensare che se entra in politica
gli diranno che è un mafioso? E' mai venuto in mente a qualche imprenditore
della Brianza che qualcuno potrà insinuare che è un mafioso? Ma uno potrà
insinuare che è uno svizzero, piuttosto, ma che è un mafioso no! Cosa c'entra?
Strano che lui avesse questa ossessione, no?
“Andranno a frugare le carte e diranno che sono un mafioso” già, perché
evidentemente in certe carte si potrebbe anche trarre quella conclusione lì.
“Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la
doccia”. Queste erano le condizioni psicologiche, umane del personaggio,
disperato perché sapeva che Mani Pulite sarebbe arrivata a lui ben presto, e
non solo mani pulite visto che temeva addirittura di finire dentro per mafia.
I giudici di Palermo, nella sentenza Dell'Utri, nove anni di reclusione e
interdizione dai pubblici uffici in primo grado, scrivono: i rapporti tra
Dell'Utri e Cosa Nostra “sopravvivono alle stragi del 1992 e 1993, quando i
tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla vendetta
di Cosa Nostra – i vecchi politici: Lima, Salvo... - e ciononostante il mutare
della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo complesso”.
Cioè Dell'Utri nonostante la gente cominci veramente ad appassionarsi
all'antimafia dopo la morte di Falcone e Borsellino, rimane sempre lo stesso.
Esistono “prove certe della compromissione mafiosa dell'imputato Dell'Utri
anche relativamente alla sua stagione politica – quella di cui abbiamo parlato
-. Forza Italia nasce nel 1993 da un'idea di Dell'Utri il quale non ha potuto
negare che ancora nel novembre del 1993 incontrava Mangano a Milano mentre era
in corso l'organizzazione del partito Forza Italia e Cosa Nostra preparava il
cambio di rotta verso la nascente forza politica”.
Dell'Utri incontrava Mangano nel 1993 e poi anche nel 1994 “promettendo alla
mafia precisi vantaggi politici e la mafia si era vieppiù orientata a votare
Forza Italia”.
Tutto questo è scritto in una sentenza di primo grado, che naturalmente
aspetta conferme o smentite in appello e in Cassazione.
Però è strano che non si sia trovato nessuno che la citasse in questi giorni
tra un retroscena e l'altro.
Io penso che sia fatta giustizia, spero che prima o poi, invece di usarlo
soltanto per raccattare qualche voto sporco in campagna elettorale, tributino
finalmente nel prossimo congresso i giusti onori anche al padre fondatore,
anzi al padrino co-fondatore, Vittorio Mangano.
Passate parola."
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