Buongiorno a tutti, oggi dirò pochissime cose di mio: oggi vorrei fare Indro
Montanelli, nel centenario della sua nascita. Montanelli è nato a Fucecchio il
22 aprile del 1909, quindi anche se se è morto nel 2001 ha molte cose da dirci.
Anzi, molte cose le ha dette quando molte belle addormentate nel bosco, molti di
quelli che non vogliono vedere, molte Alici del Paese delle Meraviglie, molti
servi, molti killer non vedevano e non volevano vedere quello che, in realtà,
era visibile fin dal 1994, quando nella politica italiana irruppe un
imprenditore che non sa cosa sia la democrazia, non sa cosa siano le idee e il
confronto, ma sa soltanto che cosa siano gli interessi.
Nel 2004 ho scritto un libro che, più che altro, diciamo che è scritto da
Montanelli nel senso che era un’amplissima antologia di tutte le cose che lui ha
scritto e detto a proposito di Berlusconi e della storia del suo rapporto con
Berlusconi, iniziato nella metà degli anni 70 quando il Cavaliere acquistò una
quota prima di minoranza e poi, infine, di maggioranza nel giornale che
Montanelli aveva fondato come cooperativa tra giornalisti.
Rapporto che fu tormentato, ma resse tra polemiche, pressioni e resistenze, però
nella quasi normalità di un rapporto tra un editore, molto già implicato con la
politica e un direttore che la politica del suo giornale la voleva fare
giustamente lui.
Resse fino a quando dentro la politica direttamente non entrò Berlusconi e, in
quel momento, esplose il dissidio che poi culminò nel distacco e nell’andar via
di Montanelli, dopo una famosa irruzione del Cavaliere l’8 gennaio del 1994
nella redazione de Il Giornale, di cui tra l’altro non era più neanche
l’editore, perché l’aveva dovuto girare a suo fratello per rispettare almeno
formalmente la legge Mammì, che stabiliva un’incompatibilità tra il possesso di
televisioni e il possesso di giornali. Vorrei parlare, anzi far parlare di
Montanelli: l’ho fatto in questo libro, “Montanelli e il Cavaliere” nel 2004,
adesso l’ho ripubblicato perché non pensavo, ma da quando è morto, ossia nel
2001, moltissimi hanno continuato a occuparsi di lui; per fortuna moltissimi
continuano a comprare i suoi libri, pensate che Montanelli continua a vendere
all’anno 100. 000 copie circa dei suoi vari libri pubblicati da Rizzoli o
ripubblicati da Rizzoli: vende più lui da morto che quasi tutti i giornalisti da
vivi.
Appropriazione indebita di Montanelli
L’ho ripubblicato con un nuovo saggio introduttivo, perché non pensavo, ma in
questi anni da quando Montanelli è morto si è continuato a parlare di lui con
appropriazioni indebite, tentando di annetterlo a questa o a quella parte e
questa è stata una delle operazioni vergognose che ho voluto smontare in questa
nuova edizione del libro, che è pubblicato da Garzanti. L’altra operazione
vergognosa è lo sputo sulla tomba: persone che non si erano mai azzardate a
parlarne male da vivo, quando lui poteva rispondere e sappiamo come rispondeva,
hanno cominciato a parlarne male da morto, pur potendolo fare anche quando era
vivo e mi riferisco a alcuni sedicenti studiosi, che hanno voluto addirittura
mettere in dubbio, in alcuni sedicenti saggi, che Montanelli fosse stato
condannato a morte dai nazisti e avesse rischiato la fucilazione, se non fosse
fortunosamente riuscito a fuggire. Quindi anche su quello ho fatto un po’ di
ricerche storiche per andare a vedere la verità su quello che è successo nel
1944/45 nel carcere di Gallarate e nel cercare di San Vittore, dove Montanelli
era recluso con la sua prima moglie colpevole di antifascismo, ossia colpevole
di essere sempre contro il fascismo dal momento in cui il fascismo aveva
raggiunto l’apice della sua popolarità: non dimentichiamo che Montanelli
comincia a abbandonare il fascismo quando tutti corrono sul carro del vincitore,
dopo l’impresa di Abissinia durante la Guerra di Spagna, esattamente come sarà
poi contro il conformismo democristiano e bigotto degli anni 50 e 60, come sarà
contro il conformismo di sinistra filo/PCI, o addirittura filo/gruppi
extraparlamentari, post sessantottino, che contagiò quasi tutti i giornali,
compreso Il Corriere della Sera negli anni 70 e come fu contro il conformismo
veramente da regime, come lui scrisse fin dal 94, berlusconiano negli anni 90
fino al 2001, quando morì.
Naturalmente ripubblicando questo libro mi sono riletto moltissime delle cose
che lui ha scritto negli ultimi sette anni della sua vita, quando praticamente
il pensiero dominante per lui era quello che tutti i democratici hanno tutt’ora,
come pensiero dominante e come incubo, se volete, ovvero non tanto Berlusconi,
quanto il berlusconismo. E mi sono reso conto che a fare scandalo e a rendere
così insopportabile la vera storia di Montanelli e Berlusconi è un episodio: un
episodio che segna l’inizio di un serial che ha visto cadere sotto la censura
tutti i migliori giornalisti italiani, tutti i più bravi e i più amati
giornalisti italiani e, contemporaneamente, tutti coloro che si sono occupati di
satira in Italia in questi 15 anni. L’ultimo caso è quello di Vauro, ma sarebbe
sbagliato prenderlo come un fungo che cresce in un luogo privo di funghi: Vauro
è l’ultimo satirista che viene colpito come sono stati colpiti grandi
giornalisti e grandi satiristi in quei dieci anni e tutto è cominciato
esattamente l’8 gennaio del 1994, è quello il giorno in cui avviene una rottura
anche in un Paese poco incline alla cultura liberale come l’Italia.
La legge Mammì e Berlusconi
Che cosa succede l’8 gennaio 1994? Succede che il Cavalier Silvio Berlusconi
in procinto, ma non ancora ufficialmente - l’aveva dichiarato - di entrare in
politica, di “ scendere in campo”, come avrebbe detto lui alla fine del mese,
sale le scale della sede de Il Giornale in Via Gaetano Negri a Milano, raggiunge
la sala dove si stava per tenere l’assemblea dei redattori e arringa i
giornalisti de Il Giornale in assenza e all’insaputa di Montanelli. Antefatto:
Berlusconi non aveva mai messo piede nei piani alti de Il Giornale per una
ragione molto semplice: che quando ne era diventato l’azionista e poi l’editore
Montanelli non gli aveva mai permesso e lui non si era mai azzardato a
mescolarsi con Il Giornale, si occupava ovviamente dell’amministrazione come
fanno gli editori. Nel 90 aveva poi lasciato il suo ruolo di editore, cedendo le
quote al fratello Paolo, come vi ho detto, per aggirare la legge Mammì. Non è
una cosa da poco aggirare la legge Mammì, perché la legge Mammì, che pure è una
barzelletta per quanto riguarda i criteri antitrust, è la legge che ha
consentito a Berlusconi di continuare a possedere l’intero panorama della
televisione commerciale in Italia, prevedeva e prevede delle sanzioni, ovvero la
perdita immediata della concessione pubblica da parte di chi la violasse:
sappiamo che Berlusconi l’ha violata almeno per due profili, da un lato perché
continuava a essere il reale proprietario de Il Giornale, come dimostra quello
che è accaduto l’8 gennaio del 1994, quindi avrebbe dovuto perdere la
concessione per le televisioni e poi perché continuò a controllare ben più del
10% di Telepiù, la pay tv che aveva messo in piedi e che poi la Mammì lo
costrinse a cedere nella quota eccedente il 10% e lui, ovviamente, la aggirò
passando le quote a dei suoi amici e prestanomi che spesso lui stesso aiutava a
comprarle, come poi è venuto fuori dai processi e naturalmente come poi le
famose authorities non hanno voluto sanzionare perché fanno sempre finta di
niente. Pensate soltanto alle authorities in questi giorni che cosa non stanno
facendo rispetto alla violazione palese della legge Gasparri e della legge
Frattini: sono due leggi che Berlusconi ha fatto nel 2004 e sono due leggi che
Berlusconi viola; non so se avete sentito l’Avvocato Ghedini l’altro giorno a
Annozero dire “ beh, ma Berlusconi l’ha fatto lui il Testo Unico dei beni
culturali, mica potrà violarlo!”: non so se la regola valga anche per la
Gasparri e per la Frattini, fatto sta che le sta violando tutte e due. La
Gasparri stabilisce che i dirigenti della RAI li nomina il Consiglio di
amministrazione, però il Consiglio di amministrazione, come sapete, non si
riunisce a Palazzo Grazioli, ma si riunisce non so se al settimo o all’ottavo
piano di Viale Mazzini 14, mentre invece le nomine si stanno facendo a casa di
Berlusconi e lui ha anche annunciato “ guardate che vi siete sbagliati, perché i
nomi che ho in mente non sono quelli che avete scritto, ma sono altri” e quindi
ha confermato pienamente che se ne sta occupando lui, senza averne alcun titolo.
In più c’è il fatto che se ne sta occupando un signore che è anche il
proprietario della concorrenza e che, naturalmente, ha tutto l’interesse a
piazzare dei dirigenti inadeguati alla RAI per guadagnare in ascolti e in
pubblicità su Mediaset. E di dirigenti inadeguati nominati da Berlusconi alla
RAI ce ne è una lunga tradizione, come evidentemente ricordate, ma i nomi che
circolano in questi giorni ci dicono che in futuro avremo dirigenti se possibile
ancora più inadeguati di quelli che aveva nominato le altre volte, perché
Mediaset è molto in difficoltà e c’è bisogno proprio di una RAI diretta da un
gruppo di paracarri e di piante grasse, di Ficus probabilmente. Passeremo dal
genere animale al genere vegetale.
Ritornando a bomba, violò la legge Mammì e la violò perché andò a parlare con
una redazione che non doveva avere nulla a che fare con lui e con cui lui non
doveva avere nulla a che fare: perché ci andò? Perché da mesi aveva avvertito
Montanelli della propria intenzione di scendere in campo politicamente,
Montanelli gli aveva sconsigliato tutto ciò, Berlusconi se ne era infischiato e
aveva ragione Berlusconi, perché nelle condizioni in cui era, come disse
giustamente a Montanelli e a Biagi, “ se non entro in politica vado a finire in
galera e fallisco per debiti”, quindi non poteva fare altrimenti: o la galera o
il governo, scelse il governo e evitò la galera e i debiti. Però Montanelli gli
aveva detto che mai e poi mai Il Giornale sarebbe diventato il suo organo di
partito: Berlusconi fece un discorso molto chiaro, nelle riunioni che teneva il
sabato a Arcore, con tutti i direttori dei giornali e dei telegiornali delle sue
reti, Montanelli non ci andava, ci andava il condirettore Federico Orlando e
Berlusconi aveva detto chiaramente “ dovremo diventare un’orchestra che suona
uno spartito unico: il mio” e l’unico che disse esplicitamente di no fu
Montanelli (Federico Orlando, ovviamente). Trovate tutto in un libro che si
intitola “ Il Sabato andavamo a Arcore”, pubblicato da Federico Orlando per
l’editore Larus, oppure nel libro “ Montanelli e il Cavaliere”.
A quel punto Berlusconi decide di sostituire Montanelli, perché già sa che
Montanelli, simbolo dell’Italia liberaldemocratica, conservatrice gli dirà di no
e gli dirà di no sul giornale edito da suo fratello, quindi praticamente sarà
una critica, quella di Montanelli, che vale il triplo rispetto a quelle che
partono da sinistra, perché nessuno potrà accusare Montanelli di essere
diventato di sinistra. Avere un nemico dalla propria, dalla parte dei propri
elettori, moderati, conservatori etc., sarebbe stato devastante e
conseguentemente Berlusconi spera di riuscire a pensionare Montanelli dandogli
un ruolo di padre nobile da accantonare e da mettere in un angolo, oppure
addirittura da mandare via, non pensando che Montanelli a 85 avrebbe tirato
fuori le energie per fondare un nuovo giornale. Quindi aspettava l’occasione per
farlo fuori e intanto gli faceva massaggiare i nervi dai suoi sgherri, dai suoi
killers, che in televisione sparavano a zero contro Montanelli un giorno sì e
l’altro pure: erano i soliti Sgarbi e Fede, non sono cambiati i nomi. Leggerete
che cosa sono riusciti a dire Sgarbi e Fede in quei mesi: cose di cui persino
loro dovrebbero vergognarsi, il che è tutto dire.
Fede chiede le dimissioni di Montanelli
Ma Montanelli i nervi non se li lascia saltare e continua a non dimettersi:
aspetta che qualcuno lo faccia fuori, tenete presente che Montanelli è il
giornalista più importante, più famoso, più bravo secondo me d’Europa allora e
anche dopo allora, conseguentemente a Berlusconi cominciare la sua avventura
politica cacciando il più grande giornalista d’Europa probabilmente creava
qualche problema. Allora sperava che se ne andasse Montanelli e Montanelli non
si muoveva, finché a un certo punto Emilio Fede, il servo più servile, più
zelante, il giorno dell’Epifania, il 6 gennaio del 94, quando mancano ormai tre
settimane alla discesa in campo di Berlusconi, si presenta al Tg4 e chiede le
dimissioni di Montanelli, il quale il giorno dopo gli dedica un controcorrente:
vedete la differenza di stile che c’è tra Montanelli e questi poveretti che
hanno preso il suo posto al giornale, che dedicano decine e decine di pagine a
Santoro etc.. Montanelli, quando doveva polemizzare, lo faceva con un
controcorrente di dieci righe, cinque righe: “ Giovedì sera annuncio a sorpresa
di Emilio Fede nel suo Tg4: adesso - ha detto - voglio parlarvi di informazione:
c’è sempre una prima volta!”, questo è come Montanelli ha sistemato Emilio Fede
il giorno dopo, mentre tutti i giornali scrivevano “ Fede contro Montanelli: c’è
dietro Berlusconi, lo cacceranno” etc. etc., dieci righe. Questo è il
detonatore, perché? Perché tutti i giornali - all’epoca esistevano ancora dei
giornali con dei direttori che sapevano difendere la libertà di stampa -
intervennero dicendo che era una vergogna quello che succedeva, un giornalista -
se possiamo chiamare Fede giornalista, diciamo un iscritto all’albo dei
giornalisti - che chiede la cacciata del più grande giornalista italiano al suo
padrone. Per esempio, su Il Messaggero uscì un editoriale dal titolo “ Va in
onda la liberaldemocrazia”, durissimo contro Berlusconi; sentite: “ dal pulpito
di rete 4 è stata impartita ieri sera una lezione di intolleranza, proprio
mentre infuria la polemica su quanto sia favorito, rispetto ai concorrenti, un
candidato alle elezioni che possiede tre reti televisive - all’epoca se ne
parlava, pensate! - l’invito di Emilio Fede a cacciare Montanelli perché troppo
autonomo è il primo esempio pratico del livello di indipendenza che potrebbe
crearsi all’interno dell’impero di Berlusconi”. Questo episodio moltiplica
l’inquietudine, perché lascia capire quanto potrebbe essere forzatamente
massiccio e compatto il sostegno al Cavaliere degli organi di informazione del
suo gruppo: “guai a chi si azzardasse a uscire, anche per un attimo, dal coro,
la durezza dell’intervento, preannunciato proprio perché avesse maggiore
risonanza, mostra lontane tentazioni da Min. Cul. Pop. (Ministero della Cultura
Popolare di Mussolini) e lascia sbigottiti. E’ auspicabile che si tratti
soltanto della mossa maldestra di un giornalista bravo ma troppo zelante,
convinto di fare la cosa gradita al proprio editore: certo resta da vedere se
Berlusconi presterà orecchio a questi consigli, speriamo che non lo faccia e si
mostri del tutto estraneo all’iniziativa, anche perché condividerla sarebbe
mossa improvvida per chi si presenta come un campione della liberaldemocrazia”.
Sapete chi era questo signore che si stracciava le vesti contro Berlusconi e
Emilio Fede? Paolo Bonaiuti: non è un omonimo, è proprio lo stesso che oggi fa
da portavoce a Berlusconi e trovate.. è quel signore che compare soprattutto la
domenica, quando va in riposo Capezzone, anche Capezzone chiude per riposo
settimanale come le pizzerie, in quel caso subentra Bonaiuti. E’ quel signore
che vedete vestito in modi variopinti, che fa sempre così con la testa, come
quei cagnolini che stanno sul retro delle macchine degli agricoltori, vicino al
cappello di paglia. Ecco, quello è Bonaiuti: all’epoca era vicedirettore de Il
Messaggero, era di sinistrissima naturalmente e sparava a zero, scrivendo delle
cose anche condivisibili, nel senso che anche lui ha avuto un periodo in cui
ragionava con la sua testa, poveretto, poi ha smesso!
Berlusconi irrompe in redazione
Per dirvi che questo era il clima nel quale Berlusconi decide di andare in
redazione a Il Giornale per smentire questa cattiva stampa che gli sta venendo
addosso e non si rende conto, in realtà, che sta semplicemente alimentando
proprio l’interpretazione che ha dato persino Bonaiuti, ossia che siamo di
fronte a un atto sommamente illiberale. Va alla redazione de Il Giornale, io
quel giorno non c’ero, ero a Torino e un collega mi fece sentire al telefono
gran parte dell’intervento di Berlusconi, che pure fu abbastanza breve e
comunque trovate il testo nel libro; Berlusconi disse sostanzialmente che, se la
redazione voleva combattere con armi adeguate - cioè a cannonate - contro i
comunisti, non sarebbero mancati i mezzi per farlo: i mezzi erano quelli che da
anni i giornalisti de Il Giornale chiedevano, almeno i computers, in quanto Il
Giornale era l’unico quotidiano nazionale che aveva ancora le macchine per
scrivere, non aveva ancora le tecnologie e poi c’erano stipendi da fame,
completamente fuori mercato. Promise tecnologie e soldi, fece capire che
sarebbero arrivate le tecnologie e i soldi se si fosse voluta combattere la
battaglia sua, ossia quella di un anticomunismo completamente fuori tempo
massimo, nel senso che il muro di Berlino era caduto da cinque anni, si
combattevano i comunisti quando non c’erano più. Se invece si voleva attardarsi
dietro la cosiddetta linea del fioretto, cioè Montanelli, che era considerato
ormai un rammollito, uno che combatteva i comunisti con il fioretto anziché con
il manganello e con la clava, beh, allora ciccia: questo fu il discorso
ricattatorio di uno che non era più l’editore de Il Giornale ai giornalisti de
Il Giornale in assenza del direttore. Capite che in sostanza Berlusconi invitava
la redazione a sollevarsi contro il suo fondatore e direttore, il quale, ignaro
di quello che stava succedendo, stava qualche piano sotto. Questo è lo scandalo,
questa è la cosa che i berlusconiani non riescono a accettare: perché? Perché se
ne rendono conto anche loro che, se accettassero che le cose sono andate così -
e sono andate così! - il loro campione sarebbe semplicemente un dittatorello da
quattro soldi che aveva rivelato di essere un dittatorello fin da prima di
scendere in campo, quindi neanche che si sia guastato work in progress. Ecco
perché in questi anni, approfittando del fatto che Montanelli non c’è più, hanno
cominciato un’opera di negazionismo e di revisionismo sul divorzio tra
Montanelli e Berlusconi e, proprio di questo, mi sono occupato in questa
prefazione, in questa nuova introduzione del libro, citando le cose incredibili
che si sono lette in questi anni su Il Giornale: su quel giornale dal quale era
stato cacciato Montanelli, quel giornale che hanno accettato di dirigere prima
Vittorio Feltri al posto di Montanelli, poi Mario Cervi al posto di Montanelli,
poi Maurizio Belpietro, fino al poveretto che avete visto anche voi due
settimane fa a Annozero e che non nomino per questioni di decenza.
Tutti questi signori hanno tentato, a poco a poco, una riappropriazione indebita
di Montanelli - ripeto - cacciato dal giornale che aveva fondato,
nell’indifferenza di tutti costoro che, naturalmente, hanno continuato a
scriverci o hanno addirittura ricominciato a scriverci come Cervi, che era
passato alla Voce insieme a noi e poi è tornato indietro con il biglietto di
andata e ritorno, come se quello non fosse il giornale dal quale Montanelli era
stato cacciato e sul quale Montanelli è stato insultato dal 94 al 2001, persino
durante la direzione di Cervi. Tant’è che Montanelli, negli ultimi giorni della
sua vita, manifestò molta amarezza e un’intervista a Diario, per esempio, a
Pietro Cheli disse che da Cervi certe cose non se le sarebbe aspettate.
Comunque dopo morto hanno cominciato a dire che il divorzio non era dovuto a
quell’irruzione di Berlusconi e anzi, che quella di Berlusconi non fu
un’irruzione, che Berlusconi entrò in redazione con il consenso di Montanelli,
che in realtà Montanelli non se ne era andato per dissensi politici sulla
discesa in campo di Berlusconi, per il conflitto di interessi etc., se ne era
andato così per una bizza umorale, per un’alzata di testa senile, oppure perché
era geloso, come ha detto Berlusconi: “ Montanelli era geloso di me e avrebbe
voluto diventare come me ma non c’era mai riuscito”, pensate la piccolezza di
questo ominide!
Il problema è che Montanelli ha sempre raccontato il contrario, ossia che lui
non sapeva che Berlusconi stava arringando la sua redazione e che tutto ciò
avvenne a sua insaputa: lo disse in una famosa telefonata a Raggio Verde il 23
marzo 2001, dieci giorno dopo che io ero stato intervistato da Luttazzi al
Satyricon, c’erano anche allora polemiche sulla RAI, c’erano già preannunci di
epurazioni come ce ne sono oggi e conseguentemente Feltri era venuto a Raggio
Verde da Santoro a dire che Montanelli anzi, era un voltagabbana, era uno che
aveva tradito il suo benefattore, perché Berlusconi sarebbe un benefattore e
allora intervenne telefonicamente Montanelli per dire testualmente “ intanto
voglio ringraziare Travaglio, il quale ha detto l’assoluta e pura verità,
assolutamente la versione che lui ha dato degli avvenimenti è quella esatta e
debbo dire che devo manifestare una certa sorpresa per quello che ha detto
Feltri, il quale senza dubbio sa come andarono le cose e queste cose le ripeto
in sua presenza. Feltri dice che la mia condotta verso Berlusconi era stata
ambigua e gli rispondo che ho conosciuto due Berlusconi, ossia il Berlusconi
imprenditore privato che comprò Il Giornale e noi fummo felici di venderglielo,
perché non sapevamo come andare avanti, su questo patto: tu, Berlusconi sei
proprietario de Il Giornale e io, direttore, sono il padrone del giornale, nel
senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il punto tra noi due e
quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, capii subito quello
che stava per accadere: cercai di dissuaderlo, d’accordo con Confalonieri e con
Gianni Letta, neanche loro volevano che il Cavaliere entrasse in politica, ma
tutto fu inutile e dal momento in cui lo decise mi disse “ da oggi Il Giornale
deve fare la politica della mia politica”. Io gli dissi “ non ci pensare
neanche” e allora lui riunì la redazione a mia insaputa totale, come ha
raccontato Travaglio e disse “ d’ora in poi Il Giornale farà la politica della
mia politica” e a quel punto me ne andai, cosa dovevo fare? Questo Feltri lo sa,
ma non lo può dire perché andò a prendere il posto di Montanelli cacciato in
quel modo”, cosa che poi Montanelli scrisse anche due giorni dopo su Il Corriere
della Sera il 25 marzo 2001: “ riunita a mia insaputa la redazione egli la
avvertì (la redazione) in parole povere che, se volevano più quattrini anche
nella busta paga, non avevano che da mettersi al servizio dei suoi interessi
politici, ora che aveva deciso di scendere in lizza.” La risposta della
redazione furono 35 lettere di dimissioni che poi diventarono 55, infatti furono
55 gli ex giornalisti de Il Giornale che andarono a lavorare alla Voce con
Montanelli. Quello è il punto chiave, quello è l’inizio di tutto, quello è
l’inizio del regime: l’inizio del regime è addirittura un po’ precedente
rispetto al discorso della discesa in campo e alla nascita del primo governo
Berlusconi, quando comunque Montanelli immediatamente fin dal 94 - tenete
presente che stiamo parlando di quindici anni fa - per primo cominciò a
avvertire sui pericoli di regime che l’Italia correva. E allora concludo con
alcune cose che diceva Montanelli, a proposito del berlusconismo: “ il regime si
realizzerà dopo la vittoria del Polo, la prima cosa che farà Berlusconi sarà
spazzare via l’attuale dirigenza RAI per omologarne le tre reti a quelle sue”,
sembra scritto oggi perché ogni volta Berlusconi fa le stesse cose, il problema
è che c’è qualcuno che lo scrive e che lo vede e c’è qualcuno che fa finta di
niente. Oggi quelli che fanno finta di niente sono la stragrande maggioranza,
proprio anche perché su Il Corriere non c’è più Montanelli a scrivere, su La
Stampa non ci sono più Galante e Garrone, Bobbio, non c’è più Silos Labini, non
ci sono più i grandi vecchi che queste cose le dicevano e le sentivano.
Il vaccino Berlusconi
“Questa non è la destra, questo è il manganello: gli italiani non sanno
andare a destra senza finire nel manganello; era Mussolini che non sopportava la
satira, ma queste parole, “ ripuliremo la stalla” al signor Gianfranco Fini chi
gliele ispira? Siamo di nuovo allo stesso: la lotta contro la satira che parte
da Fini, che dichiara indecente la trasmissione di Santoro e Berlusconi che gli
va dietro e i vertici della RAI che eseguono. Berlusconi non delude mai: quando
ti aspetti che dica una scempiaggine la dice, ha l’allergia alla verità, ha una
voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne, chiagne e fotte dicono a
Napoli dei tipi come lui e si prepara a farlo per cinque anni”. L’abbiamo visto
chiagnere in questi giorni copiosamente e intanto, a Palazzo Grazioli, fotte. “
L’Italia berlusconiana è la peggiore delle Italie che ho mai visto per volgarità
e bassezza. Il berlusconismo è la feccia che risale il pozzo, gli italiani
devono vedere chi è questo signore: Berlusconi è una malattia che si cura
soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a Palazzo Chigi,
al Quirinale, al Vaticano, dove vuole, soltanto dopo saremo immuni!”. Qualcuno
dice che il vaccino non ha funzionato: in realtà ha funzionato, tant’è che
Berlusconi dal 2001 al 2006 perse tutte le elezioni, dalle regionali alle
provinciali, alle comunali, alle circoscrizionali, alle europee, alle politiche
del 2006, dopodiché arrivò il centrosinistra che purtroppo è l’antidoto al
vaccino, per cui ogni volta il centrosinistra, per cui ogni volta il
centrosinistra neutralizza il vaccino e ci ripropina la malattia, nella quale
oggi siamo di nuovo pienamente immersi.
“ Spero - diceva Montanelli - che l’Europa tratti Berlusconi con l’indignazione
e il disprezzo che merita”: l’altro giorno l’ha detto Antonio Tabucchi, “
bisogna rivolgersi all’Europa, assediare l’Europa perché faccia con l’Italia
quello che sta facendo con i Paesi dell’ex blocco sovietico che sono entrati”.
Voi sapete che c’è l’Ocse che li sta educando sui principi della
liberaldemocrazia, sui principi della divisione dei poteri e dobbiamo pretendere
che l’Europa metta sotto osservazione l’Italia, se non c’è più nessuno che sia
in grado di dirlo con le sue parole può prendere quelle di Montanelli e
utilizzarle, nessuno gli chiederà il copyright, passate parola!"
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