Le premesse per il pianeta Terra e i suoi abitanti sono
tutt'altro che buone. A dicembre si terrà la
Conferenza di Copenhagen per decidere le regole del post
Kyoto. I Paesi ricchi che sono responsabili dell'80% delle emissioni di
CO2 non vogliono impegnarsi, i Paesi poveri, visto l'esempio, non ci pensano
neppure. Il protagonista della Conferenza è il business verde,
i soldi. Per banche e multinazionali è sufficiente mantenere il modello di
sviluppo attuale e verniciarlo di verde. Il pianeta non attende e sopra i
due gradi di surriscaldamento il primo problema sarà la
mancanza d'acqua e la sete per miliardi di persone. Un tema ignorato dalla
Conferenza.
Riccardo Petrella, uno dei massimi esperti mondiali dell'acqua, ci
spiega cosa ci può attendere.
Intervista a Riccardo Petrella:
Gli obiettivi di Kyoto traditi dai Paesi ricchi
The Copenhagen Call: l'appello di Copenhagen
Il futuro dell'umanità si gioca sulla tutela
dell'acqua
Gli obiettivi di Kyoto traditi dai Paesi ricchi
Dobbiamo essere molto preoccupati dell’evoluzione attuale della preparazione
alla
Conferenza di Copenaghen, che è sulla convenzione sul cambio
climatico, che dovrebbe dare atto alla firma di un nuovo trattato detto
post Kyoto, che dovrebbe entrare in vigore nel 2013 e che
organizzerebbe, per i prossimi quindici, venti anni, l’economia mondiale e i
rapporti tra economia, sviluppo, benessere e gestione dell’ambiente. Si tratta
della più grande fase di negoziato mondiale in vista di un accordo mondiale sul
futuro dell’umanità.
Ora dobbiamo essere preoccupati perché? Perché, sulla base di quanto sta
emergendo, i Paesi ricchi -ci si può domandare - stanno non mantenendo le
promesse per le quali in passato si erano impegnati? Come
sapete, tutti gli studi dell'International
Panel on Climate Change, che è il gruppo di 1.500 scienziati che da
anni lavora per le Nazioni Unite sui problemi del cambiamento climatico, hanno
detto che se il mondo vuole evitare delle catastrofi immani ambientali bisogna
mantenere al di sotto di due gradi l’aumento della temperatura media
dell’atmosfera terrestre da qui al 2100. Per raggiungere questo obiettivo, tutti
gli studi dimostrano che sarebbe necessario, all’anno 2050, di
diminuire del 60% le emissioni di CO2 rispetto al volume del
1990. Questo significherebbe 80% per i Paesi ricchi e 20% per gli altri Paesi.
Ora stiamo constatando che i Paesi ricchi non vogliono mantenere né conformarsi
a queste indicazioni: addirittura, per gli obiettivi di tipo intermediario,
quelli al 2020, dove i Paesi ricchi avrebbero dovuto impegnarsi al 20% di
riduzione dell’emissione rispetto al volume del 1990, solo la Germania
e in parte la Francia, tra i Paesi ricchi, stanno affermando che
vogliono attenersi a questi obiettivi quantificati di riduzione delle emissioni.
Mentre invece, il 12 giugno, il Giappone ha detto che non si impegna a ridurre
al massimo più dell’8% il livello di emissioni e gli Stati Uniti
hanno detto due cose importanti: la prima, che non hanno nessuna
intenzione di diminuire le emissioni di CO2 al di sotto del 4%, che è molto
lontano da quello che dovrebbero fare; seconda cosa, hanno manifestato una
conferma anche in tutte le amministrazioni precedenti, Obama ha
confermato la tendenza degli Stati Uniti, che non sono favorevoli a un accordo
mondiale, ma che il principio del nuovo trattato di Copenaghen dovrebbe essere
quello per cui ciascun Paese si impegna a livello nazionale, ma non c’è nessun
accordo globale su un impegno comune eventualmente verificato, se poi gli Stati
mantengono gli impegni presi. E quindi hanno addirittura affermato il 12 giugno
a Bonn, in una riunione preparatoria della Conferenza di
Copenaghen, che loro stessi non domanderanno alla Cina di assumere nessun
impegno, facendo un gesto di comprensione, dicendo: “ma la Cina deve
svilupparsi e non si può vincolarla a degli obiettivi quantificati che
costringerebbero i cinesi a non avere il tasso di sviluppo, che invece
meritano..”. In realtà gli Stati Uniti stanno tentando di fare un accordo
Stati Uniti /Cina nel quale dicono: “non ti impegnare, non ti chiederemo
niente”, sperando e pensando che così la Cina non domanderà nessun impegno
agli Stati Uniti rispetto alle riduzioni di emissioni. Ora sappiamo benissimo
che da anni il Brasile, l’India, la Cina, la Russia, tutti i
Paesi emergenti hanno detto che, se i Paesi ricchi non prenderanno le loro
responsabilità e non saranno i primi, poiché sono stati i più grandi
responsabili e predatori delle risorse del pianeta negli ultimi 100 /150 anni,
se i Paesi ricchi non ridurranno in maniera significativa le loro emissioni, i
Paesi nuovi non si impegneranno a niente, e hanno ragione: la
responsabilità massima in questo caso appartiene ai Paesi ricchi. Quindi
grossissimo problema: riusciranno i Paesi ricchi a mantenere a mantenere gli
impegni presi? Faranno i Paesi ricchi le svolte necessarie per evitare le
catastrofi immani, gli scombussolamenti terribili che un’eventuale riscaldamento
dell’atmosfera al di sopra dei due gradi comporterà?
Il secondo interrogativo che ci deve preoccupare è che si sta constatando - e è
affermato proprio alla fine di questo mese, il mese di maggio - che tutti i
dirigenti dei Paesi ricchi, ma anche dei Paesi detti emergenti
sono convinti che si potrà risolvere il problema del cambiamento climatico e, in
particolare, risolvere il problema dell’uscita dalla crisi economico
/finanziaria attuale solo attraverso l’economia verde e attraverso le soluzioni
apportate al sistema energetico. Per cui oggi non fanno altro
che parlare di automobili verdi, di ponti verdi, di ferrovie verdi, di Coca Cola
verde, di case verdi, di cinema verdi, di pomodori verdi, tutto è al verde: cioè
vale a dire, beninteso, l’economia verde, però alla salsa verde
del capitalismo verde e in effetti tutti dicono che bisogna rifondare l’economia
mondiale attraverso i sistemi economici dell’investimento privato, dei
meccanismi di mercato, della valorizzazione mercantile e
finanziaria delle foreste, degli alberi, delle acque etc.
The Copenhagen Call: l'appello di Copenhagen
Questo consenso nuovo, che chiamerei il consenso verde mondiale, è stato
confermato il 24 e 26 maggio, ora, recentemente a Copenaghen, dove il governo
danese ha preso l’iniziativa di convocare il mondo del business e della finanza
e ci sono state più di mille persone che si sono riunite, il 24 e 26 maggio, nel
World Business Summit, le quali hanno approvato un documento
che si chiama: “The Copenaghen Call”, l’appello di Copenaghen,
nel quale il mondo del business dice ai politici e ai futuri negoziatori del
trattato di Copenaghen le condizioni del mondo del business. In effetti le
richieste del mondo del business e della finanza girano intorno a due cose: la
prima è che bisogna facilitare l’innovazione tecnologica secondo i tempi e i
meccanismi del rendimento delle innovazioni tecnologiche e quindi in funzione a
razionalità economiche e finanziarie, e la seconda è che appartiene ai poteri
pubblici di creare questi fondi di incitamento e di facilitazione fiscale dell’iniziativa
privata. Conseguentemente, The Copenhagen Call è un atto affermativo da
parte del mondo del business che il capitalismo verde è in fondo la panacea e la
soluzione ai problemi che dovranno essere trattati nel nuovo accordo mondiale.
Tant’è che il Primo Ministro Danese, Rassmussen, ha dichiarato
due giorni fa che assumeva completamente le proposte emerse dal World Business
Summit con il Copenhagen Call e si faranno portatori delle idee espresse dal
mondo del business.
Poi la seconda questione: e se ci fossero delle proposte, a Copenaghen, che non
coincidono con le priorità fissate e scelte dal mondo del business
che chances avranno per essere accolte? Finalmente, ecco che la grossa
questione è che il Copenaghen è oggi vampirizzato dall’energia,
cioè vale a dire che i nostri dirigenti ci stanno dicendo che il problema numero
uno mondiale, che deve essere risolto in questo grande negoziato mondiale per il
futuro dell’umanità, è l’energia. Ma l’energia è un problema numero uno mondiale
per noi ricchi, non è un problema per i 2, 8 miliardi di gente povera
di questo mondo, per gli africani, gli asiatici e l’America Latina il problema è
l’acqua, il problema è l’alimentazione, il problema è la salute, il problema è
avere un’abitazione decente, avere educazione, non è avere le automobili verdi,
le case verdi. Anche perché si può dire che domani, che avremo 200 milioni di
più di automobili verdi che circolano nel mondo, dove andranno questi
200 milioni di automobili verdi, in quali città? Circoleranno in quali
strade? E poi avere automobili verde, case verdi, nuove case a energia passiva e
attiva, che bisogna averle, a New York, a Singapore, a Melbourne, a Parigi
contribuiranno a eliminare i tre miliardi di poveri nel mondo, oppure
permetteranno di migliorare il livello e la qualità di vita del miliardo di
gente ricca?
Quindi il problema diventa: "Perché i nostri dirigenti hanno dato priorità
unicamente, nell’agenda dei lavori di Copenaghen, all’energia?".
Il futuro dell'umanità si gioca sulla tutela dell'acqua
Ecco perché dobbiamo batterci affinché invece l’acqua, che è
il problema numero uno, tant’è che il gruppo intergovernativo sul cambio
climatico che ha fatto tutti questi rapporti dice che la principale conseguenza
del cambiamento climatico concernerà l’acqua. E' l’acqua che sarà il settore
della vita più toccato dai cambiamenti climatici, ossia dallo scioglimento delle
calotte polari e dei ghiacciai, che alimentano tutti i grandi bacini idrografici
del mondo. E’ l’acqua che sarà il campo di più grande devastazione e problema,
gli studi del GEC (Global
Environment Centre Foundation) o dell’IPCC confermano che nel 2050 il
60% della popolazione rischia di vivere in regioni a forte penuria d’acqua e, se
c’è forte penuria d’acqua, significa che non hanno accesso alla vita. Quindi le
conseguenze del cambiamento climatico importanti sono sull’accesso alla vita per
mancanza d’acqua e Copenhagen, il nuovo trattato, non ha l’acqua all’agenda dei
problemi e quindi bisogna batterci affinché l’acqua faccia parte integrante
dell’agenda di Copenaghen e non si sa se ce la faremo: probabilmente le tendenze
attuali ci dicono che non ce la faremo, ecco il problema, non è vero che i
cittadini devono accettare come inevitabile l’impossibilità di pensare
all’interesse e al futuro dell’umanità e del diritto alla vita,
che è un diritto umano, che è un diritto sacro, perché la vita è sacra.
Quindi abbiamo sei mesi, perché la Conferenza di Copenhagen sarà dal 7
al 18 dicembre e credo che bisogni che tutti i movimenti per i diritti
dell’uomo, per i diritti umani, i movimenti che si occupano di cittadinanza,
dell’acqua, debbano impegnarsi in tutti i fronti: le religioni, stiamo tentando
ora di far sì che ci sia un incontro importante dei rappresentanti delle
religioni per fare un appello a Copenaghen, affinché la sacralità della
vita sia rispettata e che Copenaghen si occupi veramente dei bisogni del mondo.
Gli accademici, i ricercatori, perché i ricercatori, perché gli
universitari non fanno delle grandi manifestazioni affinché, scientificamente
parlando, nell’agenda di Copenhagen i veri problemi del futuro del
pianeta siano presi in conto? Che si sia vecchi, giovani, universitari,
uomini semplici della strada, pensionato, una donna, un buddista, un cristiano,
credo che abbiamo un’agenda terribile da occupare nei prossimi mesi e essere
presenti a Copenhagen sul posto.
http://www.beppegrillo.it
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