Il capo dello Stato ha firmato anche la legge sul legittimo
impedimento,
per salvare Berlusconi e i ministri dai processi, anche se è palesemente
incostituzionale
Con la promulgazione del "legittimo impedimento" per Berlusconi
e i suoi ministri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
ha firmato l’undicesima legge vergogna in quattro anni di mandato.
Le
altre dieci erano: l’indulto extralarge esteso ai reati dei colletti bianchi, il
decreto Mastella per distruggere i dossier della security Telecom,
l’ordinamento giudiziario Mastella-Castelli, la legge salva-Pollari,
il lodo Alfano, la norma della penultima finanziaria che
raddoppia l’Iva a Sky, i due pacchetti sicurezza Maroni contenenti
norme razziali anti-rom e anti-immigrati, lo scudo fiscale Tremonti, il decreto
salva-liste del Pdl.
Resta da capire il perché di quel mese di melina,
che aveva suscitato speranze nelle persone perbene e timori nel partito
dell’impunità: semplicemente, dopo tanto firmare, il Presidente aveva finito
l’inchiostro, o aveva inceppato la penna, o magari aspettava il dopo elezioni
per dare un colpo al cerchio e uno alla botte: respinto il ddl sul Welfare (che
estende l’arbitrato ai rapporti di lavoro), promulgato il legittimo impedimento.
Tanto Berlusconi non deve licenziare nessuno e del ddl se ne strafrega, mentre
col legittimo impedimento potrà fuggire legalmente dai suoi processi, e come lui
i suoi ministri, per 18 mesi, in attesa di bissare il lodo Alfano con legge
costituzionale o di ripristinare l’autorizzazione a procedere, cioè l’impunità
per tutti i parlamentari.
Dunque Napolitano nega la sua firma a una legge che
non giudica incostituzionale, ma che semplicemente non condivide (il ddl sul
lavoro) e appone la sua firma su una legge incostituzionale, come ha già sancito
la Consulta in due sentenze del 2001 e del 2008.
La prima, a proposito degli
impedimenti parlamentari accampati da Previti nei processi
"toghe sporche", stabilì che "l’esigenza di celebrare i processi in tempi
ragionevoli e quella di assicurare un corretto assolvimento dei compiti
istituzionali hanno pari rango costituzionale" e spetta al giudice, non certo
all’imputato, assicurare un giusto bilanciamento fra le due istanze.
La seconda,
bocciando il lodo Alfano, definiva "irragionevole e sproporzionata" la
"presunzione legale assoluta di legittimo impedimento" dovuta esclusivamente
dalla carica ricoperta: gli impedimenti valgono "solo per lo stretto
necessario", "senza meccanismi automatici e generali", tantopiù che la deroga al
principio d’eguaglianza era imposta con legge ordinaria.
Inoltre, in barba al
precetto costituzionale che vuole i giudici "soggetti soltanto alla legge", il
legittimo impedimento li assoggetta alle circolari di un funzionario di Palazzo
Chigi che comunicherà insindacabilmente ai tribunali, di sei mesi in sei mesi,
l’impossibilità del premier e dei ministri a comparire in udienza.
Visto che è
tutto molto chiaro, sarebbe ora di smetterla con le ipocrisie e di chiamare le
leggi vergogna col doppio cognome: "Berlusconi-Napolitano".
E
di fare in modo che le proteste non vengano soltanto dai dipietristi e
dall'estrema sinistra.
Ma da tutti gli italiani che hanno a cuore la
Costituzione
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