E’ pieno di sussiego il modo in cui il portavoce del Pentagono ha
risposto a Sabrina Tavernise ed Andrew Leheren del New York Times
che gli chiedevano un commento sulle torture e gli abusi patiti dai
sospetti terroristi in Iraq, certificati dai documenti messi in
circolazione in queste ore da Wikileaks: “le policy americane sugli
abusi nei confronti dei prigionieri sono sempre state coerenti con la
legge e le consuetudini internazionali”. Non c’è però, nella risposta,
il riferimento alla circolare del 29 aprile 2005, etichettata USA MNCI
FRAGO 039.
Secondo quest’ordine di servizio, in caso di abusi commessi da
iracheni su altri iracheni, i soldati americani non avrebbero dovuto
effettuare ulteriori indagini a meno che nelle violenze fossero
coinvolti degli Americani o che tale supplemento investigativo fosse
richiesto da un superiore organismo facente capo alla Difesa.
Formalmente, dunque, solo le autorità irachene avevano autorità per
intervenire nei casi di tortura a carico di connazionali in prigionia;
nei fatti, però, l’ordine di servizio era una scorciatoia: per rendere
più collaborativi gli “insorgenti” più riottosi - quelli, per
intenderci che con le “buone” non parlavano - si poteva consegnarli ai
“colleghi” iracheni, alcuni dei quali erano veri “specialisti”.
MNCI FRAGO 039 è in effetti la traduzione in manuale operativo del
Donald Rumsfeld-pensiero: indicativa a questo proposito è la
trascrizione della conferenza stampa del 29 novembre del 2005,
presenti Rumsfeld e il Generale Peter Pace, capo degli Stati Maggiori
Riuniti. Alla domanda di un giornalista, Pace risponde: “Se uno dei
nostri uomini è testimone di un comportamento disumano, ha il dovere
di intervenire per porvi fine”. Rumsfeld replica, senza il minimo
imbarazzo: “Non credo che tu ti riferisca all’obbligo di farlo
cessare, quanto a quello di riferirne ai propri superiori”. Il
Generale puntualizza: “Signore, se i nostri soldati sono fisicamente
presenti mentre viene perpetrata una tortura, sono obbligati ad
intervenire per farla cessare”.
In
effetti, sembra che alla fine il pragmatismo amorale dell’allora
Segretario alla Difesa abbia avuto la meglio. Non solo gli americani
erano in grado di ignorare le torture commesse dagli iracheni sui loro
connazionali, ma potevano subappaltare ad alcuni di loro quel lavoro
sporco ritenuto proficuo anche se a rischio di qualche spiacevole
danno di immagine (vedi caso Abu Graib).
I documenti pubblicati da Wikileaks parlano di almeno 6 prigionieri
che, nella città di Samarra, sono stati “passati” dalle truppe
americane alla Brigata Lupo, il famigerato Secondo battaglione delle
forze speciali del ministero degli Interni. E’ il penoso risultato del
tentativo di usare gli scampoli della guardia repubblicana di Saddam
Hussein per terrorizzare i ribelli antiamericani: un gruppetto di
simpatici ragazzoni in divisa, passamontagna, occhiali da sole e
berretti rossi con una brutta fama di torturatori ed assassini di
sospettati. Ufficialmente, la consegna dei prigionieri era finalizzata
a consentire ulteriori interrogatori, ma nei fatti si è trattato in
molti casi di una specie di subappalto della tortura.
I documenti riservati svelati da Assange e soci su quanto accadeva
a Samarra non fanno che confermare quanto a suo tempo riferito dal
giornalista Peter Maas in un dettagliato reportage pubblicato dal
New York Times il primo maggio 2005 (“La Salvadorizzazione
dell’Iraq?”).
Racconta Maas di come la sua intervista a James Steele
(“consulente” degli iracheni e a suo tempo capo dei 55 “esperti
americani” che formavano gli squadroni della morte in El Salvador) sia
stata interrotta dalle urla di dolore e di disperazione di un
prigioniero di cui i discepoli di Steele stavano abusando.
Tanto è il terrore che incutono gli uomini della Brigata Lupo, che
spesso gli ufficiali americani incaricati di condurre gli
interrogatori usano la minaccia di un deferimento al corpo di élite
iracheno come spauracchio per ammorbidire anche gli insorgenti meno
collaborativi.
I
documenti di Wikileaks stanno facendo rumore anche in Gran Bretagna,
dove si segnala il differente atteggiamento del Ministro della Difesa,
che ha stigmatizzato l’operato di Assange ritornando sulla nota accusa
secondo cui i documenti riservati pubblicati costituiscono un pericolo
per i soldati inglesi in Iraq.
Diverse le dichiarazioni del vicepremier liberal-democratico Nick
Clegg, il quale, almeno a parole, non sembra disponibile a fare sconti
nemmeno ai “nostri ragazzi che combattono laggiù”: “Può anche
indispettirci il modo in cui sono state diffuse queste informazioni,
ma qui si parla di accuse gravissime: qualsiasi elemento possa far
sospettare un mancato rispetto delle regole o un atteggiamento
omertoso sui casi di tortura, va considerato con la massima serietà ed
analizzato”. Speriamo che alle parole seguano i fatti.
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