Alcune recenti decisioni dell’Anas sono indicative della mancanza di
un chiaro indirizzo politico sulla gestione futura delle nostre autostrade e
dell’urgente necessità di rivedere le pratiche correnti di regolazione delle
tariffe e di assegnazione delle concessioni.
Subentri e proroghe
Nel caso della Venezia-Padova (che gestisce, dal 1933,
poco più di 30 km) l’Anas ha deciso di subentrare nella gestione alla scadenza
della concessione, a fine 2009. L’alternativa avrebbe potuto essere quella di
mettere a gara una nuova concessione, assegnandola al gestore che avrebbe
offerto il prezzo più alto. Osserviamo che, una volta completato l’ammortamento
finanziario, i costi operativi (manutenzione ed esazione) assorbono solo una
quota modesta dei ricavi, in genere attorno al 25-30 per cento; mantenendo in
vigore gli attuali pedaggi si avrebbe un considerevole "extra profitto". Mettere
a gara il rinnovo della concessione, senza alcuna modifica del sistema dei
pedaggi, sarebbe stato allora come vendere il flusso futuro atteso di tali
extra-profitti, che non pare certo una pratica capace di tutelare i
consumatori o che si raccomandi sul piano allocativo.
L’assunzione della gestione diretta da parte dell’Anas potrebbe essere invece
un’occasione importante per iniziare ad applicare tariffe determinate non con
l’obiettivo di coprire i costi, bensì con quello di promuovere l’efficienza
allocativa del traffico, per ridurre la congestione, ad esempio separando il
più possibile il traffico pesante da quello delle auto. [link Boitani 17
febbraio 2006].
Del tutto contrastante appare invece la decisione di prorogare di ventitre anni
la concessione della Brescia-Padova, a fronte di nuovi investimenti per
1.357 milioni, e di ben trentaquattro anni quella della Cisa, a fronte di
nuovi investimenti stimati in 1.800 milioni.
Scarsa trasparenza
I nuovi investimenti avrebbero potuto benissimo essere
avviati e finanziati senza prorogare le concessioni: bastava allungare la
scadenza del piano finanziario oltre quella della concessione, fissando
l’indennizzo dovuto al concessionario uscente.
La giustificazione addotta è che queste opere erano già previste dalle
rispettive concessioni, anche se mai inserite nei piani finanziari perché non
autorizzate. Si tratta in realtà di una sostanziale violazione dello spirito
delle norme europee e della stessa direttiva Costa-Ciampi del 1998, le quali
impongono che concessioni relative a nuove opere vengano assegnate mediante
gara.
La procedura seguita non consente una valutazione trasparente dei costi
delle nuove opere, quale potrebbe aversi invece con appalti pubblici. Di quanto
avremmo potuto ridurre i pedaggi, se al termine delle due concessioni, 2013 e
2010 rispettivamente, il rinnovo fosse stato messo a gara? La proroga delle
concessioni è uno degli aspetti meno trasparenti della regolamentazione. Nel
1998, la direttiva Costa-Ciampi stabiliva che proroghe delle concessioni
potessero essere "eccezionalmente" accordate "(…) al solo fine di risolvere
transattivamente il contenzioso formalmente insorto (…) sino al 30 giugno 1998".
In realtà, oltre che per sanare il contenzioso, quasi tutte le concessionarie
sono riuscite a ottenere, nel 1999-2000, lunghe proroghe per finanziare nuovi
investimenti (ancor oggi largamente incompiuti), in molti casi sulla base di
programmi generici nemmeno assoggettati ad analisi costi-benefici. Ma quello che
premeva alle concessionarie era proprio la proroga della concessione, per
allontanare nel tempo lo spauracchio della gara.
Per finanziare i nuovi investimenti proposti dalle concessionarie sono stati
concessi anni di proroga, in genere proporzionali al rapporto tra il costo
(previsto) degli investimenti e il margine operativo lordo (media tre anni
precedenti), criterio che era stato stabilito dalla direttiva Costa-Ciampi per
sanare il contenzioso. La sua applicazione si è poi rivelata incredibilmente
generosa per le concessionarie, poiché i Mol sono aumentati moltissimo, dal 2000
in poi, per l’aumento del traffico, l’inflazione e i premi di qualità.
Ma a fronte dei nuovi investimenti previsti vengono consentiti alle
concessionarie anche aumenti di tariffa, che assicurano il recupero
dell’investimento e un rendimento del 7-7,5 per cento: un rendimento in termini
reali (i pedaggi sono indicizzati all’inflazione) che non ha l’eguale in altri
settori, considerata la totale assenza di rischi. Ex post, poi, il rendimento
risulta molto maggiore, per premi di qualità e per incrementi di traffico
superiori alle molto prudenti previsioni dell’Anas. Non c’è da stupirsi che
tutti vogliano investire in autostrade, e che le azioni delle concessionarie
vengano scambiate a prezzi mirabolanti.
Una profonda riforma del settore appare necessaria e urgente. Occorre
"sollevare" le concessionarie dal "rischio traffico", sul quale non hanno alcuna
influenza, e rivedere gli incentivi alla qualità, che hanno determinato
continui e consistenti aumenti di tariffa senza alcun riscontro in aumenti di
costo. Sembrerebbe, in sostanza, opportuno tornare alle indicazioni a suo tempo
fornite dal Piano generale dei trasporti (2001), secondo cui il compenso
percepito dai concessionari dovrebbe essere basato su un price cap,
integrato con incentivi all’efficienza mirati a specifici aspetti della gestione
sui quali il concessionario ha un effettivo controllo, mentre le tariffe
all’utenza sono fissate in base a criteri di efficienza allocativa dell’intera
rete autostradale e stradale di bacini di traffico individuati secondo serie e
approfondite
analisi dei flussi effettivi
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