Il tentativo dell’imprenditore
indiano Lakshmi Mittal di acquistare il gruppo
franco-spagnolo-lussemburghese Arcelor e dar vita alla principale impresa
siderurgica mondiale ha suscitato un acceso dibattito in Francia e altrove
in Europa. Molti vi vedono la prova che i "capitalisti del Sud" sono
pronti a conquistare i gangli cruciali dell’industria occidentale. In
realtà, Mittal Steel è un gruppo veramente globale, con un azionista di
controllo che vive in Europa da più di venti anni, stabilimenti in
quattordici paesi – ma non in India – e un management, questo sì, ancora
fortemente indiano.
Dai dati aggregati alle case history
Se Mittal Steel non è pertanto una vera e propria multinazionale di un
paese emergente, ma piuttosto un prodotto simbolico dell’attuale fase della
globalizzazione, questo non vuol dire che gli equilibri del capitalismo
mondiale non stiano cambiando.
Quest’inverno si è giocata un’altra battaglia borsistica che ben simboleggia
questa rivoluzione. Gli operatori dei porti di Dubai e Singapore,
ambedue controllati dai rispettivi governi, si sono contesi la Peninsular&Oriental,
un gruppo britannico le cui origini risalgono al 1837. (1)
L’esplosione del commercio con l’Asia, e con la Cina in particolare, ha
spinto Dubai Ports World e Psa International a cercare di acquisire P&O, per
poi competere con il maggior operatore portuario mondiale, Hutchinson di
Hong Kong. Quando la società degli Emirati ha convinto gli azionisti di P&O
ad accettare la sua offerta, si è trovata di fronte l’opposizione di
membri influenti del Congresso americano, timorosi che a soffrirne fossero
gli standard di sicurezza dei porti gestiti da P&O negli Stati Uniti e,
soprattutto, decisi a far valere le proprie ragioni di fronte
all’amministrazione.
Secondo le statistiche dell’Unctad, in aggregato gli investimenti
esteri in uscita dai paesi emergenti (compresa la "Nuova Europa") e in via
di sviluppo sono in forte crescita. Da poco più di 53 miliardi di dollari
nel 1992-98 sono passati a 85 miliardi nel 1999-2004, registrando un massimo
storico nel 2000: 147 miliardi. La partecipazione di questi paesi
allo stock degli investimenti esteri in uscita è passata dal 7 per cento nel
1990 all’11 per cento nel 2004. I flussi d’investimenti esteri in uscita
rappresentano una percentuale considerevolmente superiore della formazione
lorda di capitale fisso in territori come Hong Kong, Taiwan, Russia e
Singapore in rispetto a molti paesi industrializzati.
Sfortunatamente, i dati aggregati soffrono di alcuni problemi, in
particolare sono fortemente influenzati dalla volatilità dei trasferimenti
tra Hong Kong e Cina – il problema del cosiddetto round-tripping. In
Cina, infatti, gli investimenti esteri godono di una serie di vantaggi e di
miglior protezione rispetto a quelli degli industriali locali. Che dunque
preferiscono trasferire fondi verso Hong Kong e Macao, per poi farli
ritornare in patria.
Per avere un quadro verosimile dell’importanza del fenomeno si può tentare
di seguire le vicende delle imprese. Non c’è dubbio allora che le
operazioni delle multinazionali emergenti stiano esplodendo. La stampa dà
giustamente risalto a quelle maggiori – dall’acquisto della Rmc in Gran
Bretagna da parte della Cemex messicana nel 2004, al trasferimento di intere
divisioni di grandi multinazionali occidentali a gruppi asiatici (Ibm-Lenovo,
Alcatel-Tcl, Thomson-Tcl e Siemens-BenQ, per non citare che le principali),
al fallimento del tentativo di Cnooc di scalare Unocal.
Ma altrettanto interessanti sono i casi minori. Solo in Italia, nel
2005, una storica produttrice di motocicli, la Benelli, è stata salvata
dalla chiusura definitiva da Qianjiang Group, società cinese costruttrice di
motori per motocicli; gli impianti per i tubi catodici della Thomson ad
Anagni sono stati rilevati dall’indiana Videocon. Tra le società di
dimensioni superiori, la Lucchini è passata nelle mani del gruppo russo
Severstal, mentre la Orascom egiziana ha indirettamente acquisito Wind.
Perché e chi si muove
Dietro questi e altri casi ci sono motivazioni e tipologie d’impresa
assai eterogenee.
Le multinazionali cinesi sono attori sempre più presenti e
competitivi nella ricerca di risorse, in particolare in Africa, dove stanno
prendendo piede nella gestione di concessioni per la ricerca e
l’esplorazione di greggio, ma anche in Canada dove acquistano giacimenti di
bitume trasformabile in petrolio.
In altri casi, gli investimenti sono motivati dalla conquista di mercati.
Per esempio, l’Embraer brasiliana ha rilevato dal governo lusitano la
società aeronautica Ogma per poter accedere a commesse pubbliche in
Portogallo e altrove nell’Unione Europea. Sempre più comuni sono gli
investimenti finalizzati alla ricerca di maggiore efficienza, come ha
fatto la China International Marine Containers, che nel 2002 ha acquistato
Hpa Monon (uno dei principali produttori americani di container) per
accrescere le competenze e allargare la propria gamma a prodotti più
sofisticati.
La tipologia di imprese coinvolte nel fenomeno rappresenta tutta la
vera e propria "zoologia" che caratterizza il capitalismo moderno. Le
imprese che abbiamo citato sono a controllo famigliare (Mittal e Cemex,
anche se ambedue sono quotate), statale (Cnooc ma anche Psa, controllato da
Temasek, l’Iri di Singapore) oppure ad azionariato diffuso (Embraer, dove il
governo brasiliano aveva una golden share, cui ha recentemente
rinunciato). Perché è importante dirlo? Perché suggerire un’omogeneità e
sollevare il sospetto che queste imprese siano eterodirette fa spesso il
gioco di chi vede con sospetto l’irrompere di nuovi attori e cerca di
limitarne la libertà di manovra.
È naturale lo smarrimento di fronte a un cambiamento nella geografia degli
investimenti come quello cui stiamo assistendo quotidianamente sulle
schermate delle agenzie di informazione finanziaria. Colpevole è invece il
protezionismo, che pure sembra dominare. La globalizzazione ha
tante facce, e quella dell’irrompere di nuove multinazionali va ad
aggiungersi alle molte altre, dal commercio alle migrazioni: è lecito
metterne in evidenza i rischi, ma sarebbe catastrofico non apprezzarne le
opportunità. Soprattutto in un paese come l’Italia, che sconta tuttora il
peso di una partecipazione insoddisfacente ai flussi globali di investimenti
diretti.
(1) La Peninsular Steam Navigation Company assicurava i collegamenti
marittimi tra l’Inghilterra, il Portogallo e la Spagna.
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