La situazione in Somalia evolve in maniera caotica, ma ancora
accettabilmente politica, con un ricorso relativo alle
armi. L'autorità delle Corti si è estesa alla maggior
parte del paese, con le significative eccezioni di Baidoa,
sede del Governo di Transizione e del Puntland, la regione
ormai autonoma del presidente Yusuf. Nell'ultimo mese il
governo è rimasto a Baidoa, prima vittima di un'ondata di
dimissioni di massa, poi ha cercato di mantenere in zona
una presenza militare straniera in grado di impedire alle
Corti di estendere il loro controllo alla città. Dopo che
l'invasione etiope aveva sollevato numerose proteste delle
diplomazie africane e l'ira della stragrande maggioranza
dei somali e dopo un disastroso alluvione che ha devastato
il paese, il governo di Adis Abeba ha desistito. Il
lavorio diplomatico degli USA è riuscito a spedire gli
ugandesi a difendere un governo svuotato e privo di
qualsiasi autorità oltre a quella personale dei rimasti in
carica.
L'Uganda è da tempo nell'orbita statunitense, tanto che la
coppia presidenzial-dittatoriale si è fatta born again
christian, come Bush, e ha scelto di buttare a mare le
campagne di prevenzione dell'AIDS che avevano portato il
paese al primo posto nel successo al combattere il
contagio nel continente. Occasione ulteriore per sposare
la promozione dell'astinenza in luogo dei peccaminosi
preservativi, oggetti tra l'altro di una campagna dei
media che hanno spiegato agli ugandesi che i preservativi
si rompono spesso…
Mentre la comunità internazionale subiva l'attivismo di
Washington, i rappresentanti delle Corti hanno esteso il
loro controllo sul paese, tanto che ora sono ormai
prossimi al problema posto proprio dall'esistenza del
Puntland del presidente Yusuf, che ovviamente di cedere
l'amministrazione del suo regno non ci pensa nemmeno.
L'unico appoggio militar-logistico evidente sul quale
sembrano poter contare le Corti é quello dell'Eritrea, che
però canalizza anche interessi extra-africani. Gli
elementi di equilibrio, cioè soggetti realmente
interessati alla stabilizzazione della Somalia (per i
motivi più vari) sembrano essere i vicini Kenya (pur
pesantemente influenzato dagli USA) e Sudan,
rispettivamente prima levatrice del Governo Transitorio e
attuale ospite dei colloqui per l'accordo inter-somalo.
Altrettanto attente e collaborative si sono dimostrate
anche organizzazioni come l'Unione Africana e l'ONU, fino
all'IGAD (l'iniziativa regionale di supporto al recupero
della Somalia), ma questo non ha impedito l'avanzare di
una proposta potenzialmente esplosiva, quella di inviare
un corpo di peacekeeper per assicurare al governo
(quello ancora in discussione, prevedibilmente dominato da
rappresentanti delle stesse Corti) un maggiore controllo
del paese.
Anche il rappresentante italiano gode di buona fama;
pur essendo evidente che l'Italia opera su questo teatro
contrastando la diplomazia statunitense con garbo, non è
dato sapere se per onere od onore di colonizzatore, o per
contingenti interessi economici, si dedicherà a perpetuare
la nefasta influenza che ha fatto della Somalia una
pattumiera italiana, anche riguardo a personaggi che
abbiamo esportato in passato, utili solo a devastare il
paese.
I prossimi colloqui si terranno nei prossimi giorni
nella capitale sudanese, sotto l'egida della Lega Araba,
ma è chiaro che se le truppe che Kenya, Uganda ed Etiopia
hanno promesso arriveranno contro la volontà di chi già
controlla gran parte del paese, la situazione non volgerà
al meglio. Tanto più che almeno la presenza di truppe
etiopi avrebbe dovuto essere evitata per elementare
buonsenso.
A Karthoum gli esponenti delle Corti andranno per
costituire un governo che in seguito possa anche
richiedere un aiuto internazionale indubbiamente utile in
un paese che non ha un governo da quindici anni, ma è
evidente che il punto della crisi si sia ora spostato
sull'invio di un contingente internazionale sgradito,
perché imposto e formato in parte da truppe
dell'antagonista storico della Somalia e della stessa
Eritrea, che supporta l'unione delle Corti.
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