La
composizione della squadra del presidente eletto Barack
Obama che dovrà farsi carico della crisi economica e
finanziaria in corso sta sollevando più di un mugugno tra
i suoi sostenitori più liberal. Ad occupare i posti chiave
della prossima amministrazione in ambito economico saranno
infatti economisti e burocrati che in un passato più o
meno recente hanno mostrato un’ampia predisposizione per
politiche di controllo della spesa pubblica combinate ad
una buona dose di fiducia nel libero mercato. Un punto di
partenza tutt’altro che incoraggiante dunque, soprattutto
in un frangente nel quale - a detta dello stesso Obama -
ciò che sembra necessario è esattamente l’opposto: una
regolamentazione più rigida dei mercati finanziari e un
espansione del deficit per stimolare l’economia e dare
ossigeno ai redditi più bassi.
Il nuovo Segretario al Tesoro sarà il 47enne coetaneo di
Obama Timothy Geithner, attuale presidente della Federal
Reserve di New York, dalla cui guida ha potuto seguire
molto da vicino, ed operare talvolta in prima persona, le
vicende delle ultime settimane legate ai salvataggi - e
all’affondamento, nel caso di Lehman Brothers - da parte
del governo federale di alcuni giganti finanziari di Wall
Street. L’altro principale candidato alla carica occupata
in questo momento da Henry Paulson - Larry Summers, ex
Segretario al Tesoro Bill Clinton negli ultimi anni della
sua amministrazione – ha ottenuto invece la guida del
Consiglio Nazionale per l’Economia, agenzia governativa
creata dallo stesso ex presidente democratico con lo scopo
di coordinare la politica economica dell’inquilino della
Casa Bianca e di implementarne l’agenda economica nel
paese.
Geithner e Summers sono entrambi discepoli di un altro ex
Segretario al Tesoro dell’era Clinton, Robert Rubin, da
molti considerato proprio uno dei principali responsabili
dell’attuale caos finanziario. Quest’ultimo, in concerto
con il precedente chairman della Fed Alan Greenspan, quasi
un decennio fa si oppose fermamente alla regolamentazione
suggerita dalla “Commodity Futures Trading Commission” (CFTC)
del mercato dei derivati, i complicati strumenti
finanziari la cui proliferazione indiscriminata ha
condotto negli ultimi due mesi al fallimento, tra le
altre, di banche di investimento del calibro di Bear
Sterns, Merryl Lynch, Washington Mutual e recentemente di
Citigroup, tutte sottratte alla bancarotta dall’intervento
governativo.
La visione dell’economia di Rubin, top manager di Goldman
Sachs e proprio di Citigroup – compagnia dalla quale ha
incassato qualcosa come 17 milioni di dollari nel solo
2007 - fondata sui principi del libero mercato,
contenimento del deficit, carico fiscale al minimo e
deregulation (“Rubinomics”) ha addirittura finito per
rappresentare l’intera politica clintoniana in ambito
economico. A fianco delle due figure più importanti nella
gestione della sua agenda economica, Obama ha piazzato poi
alla direzione della squadra di consiglieri del presidente
(“Council of Economic Advisers”) Christina Romer, docente
presso l’Università di Berkeley ed esperta in politica
monetaria, celebre per le sue ricerche sul periodo della
Grande Depressione e di orientamento decisamente moderato.
È singolare come il presidente eletto abbia selezionato
figure, peraltro indiscutibilmente autorevoli, attestate
su posizioni centriste per l’attuazione di un programma
economico che dovrà necessariamente prevedere un deciso
intervento governativo per resuscitare un’economia
americana allo sbando. Il pacchetto di misure anti-crisi
prospettato dalla nuova amministrazione finirà per
oscillare tra i 700 e i 1000 miliardi di dollari e
comprenderà - a detta di Obama - nuovi capitoli di spesa
destinati a rimodernare le infrastrutture americane e
possibilmente a gettare le basi di un nuovo sistema
economico fondato sullo sfruttamento di energie
alternative. Nell’arco di un paio d’anni, l’obiettivo è
quello di creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro, un
obiettivo estremamente ambizioso che determinerà un
ulteriore ed enorme espansione del deficit federale, già
gonfiatosi a dismisura negli ultimi otto anni di
amministrazione Bush.
La rapida evoluzione della situazione economica globale
nel corso del 2008 ha d’altra parte sconvolto radicalmente
le certezze anche degli economisti maggiormente “market-oriented”.
L’impulso alla globalizzazione, alla deregolamentazione
dei mercati e al rigore fiscale sembrano infatti essersi
dissolti di fronte ad una società in grave affanno e alla
ricerca disperata di una copertura sanitaria abbordabile,
di una rappresentanza sindacale più forte, di efficaci
ammortizzatori sociali e posti di lavoro sicuri, tutti
argomenti fortemente sostenuti da Obama nel corso della
campagna elettorale e che il neopresidente dovrà imporre
ad un team di persone che quasi sempre in passato ha agito
e pensato in maniera diametralmente opposta.
Sull’onda dei cambiamenti portati dalla crisi economica,
Larry Summers in particolare ha lasciato tuttavia
intendere un ripensamento delle sue posizioni rispetto al
passato, ad esempio sostenendo il cosiddetto pacchetto di
stimolo all’economia firmato dal presidente Bush ad inizio
anno e dichiarandosi favorevole ad un secondo e più
incisivo intervento governativo da attuarsi il prima
possibile. È proprio su questo cambiamento di attitudini
che Barack Obama spera di fare affidamento per sfruttare
il momento di difficoltà per attuare un imponente piano di
riforma sociale ed economica negli Stati Uniti.
Lo spostamento al centro, per non dire a destra, del
baricentro della sua amministrazione - peraltro accentuato
dalla probabile nomina di Hillary Clinton al Dipartimento
di Stato e la conferma di Robert M. Gates alla Difesa -
rientra verosimilmente nell’approccio pragmatico che Obama
intende, ed ha sempre inteso, assegnare al suo stile di
governo. Una condotta bipartisan che durante la campagna
elettorale si era manifestata nei ripetuti appelli
all’unità e nell’invito al superamento delle divisioni di
parte che hanno caratterizzato la politica di Washington
degli ultimi decenni.
Con buona pace della sinistra del proprio partito e della
fetta più progressista dei suoi elettori, il primo
presidente afroamericano della storia americana è sempre
stato faticosamente inquadrabile in rigidi schemi
ideologici, nonostante nelle settimane precedenti il voto
di novembre da parte repubblicana erano piovute su di lui
accuse di voler impiantare il socialismo in America solo
per il fatto di aver definito il prelievo fiscale un
sistema per diffondere la ricchezza nel paese.
Che Geithner, Summers e la Romer abbiano fatto tesoro o
meno della lezione sarà tutto da vedere. Quel che è certo
è che gli interventi pubblici sui quali i membri della
nuova amministrazione sembrano concordare - almeno a
livello ufficiale - molto difficilmente riusciranno a
vedere la luce in tempi brevi. Nonostante la promessa
fatta pubblicamente da Obama di iniziare da subito a
lavorare per invertire la rotta dell’economia, la lunga
transizione verso il passaggio di poteri del 20 gennaio
rischia di far precipitare ulteriormente una situazione
già drammatica. Il presidente uscente, infatti, ha già
fatto sapere di non essere disposto a firmare nuovi
provvedimenti strutturali né, ad esempio, alcun piano di
intervento per salvare le grandi case automobilistiche di
Detroit in crisi. Allo stesso modo, appare svanita anche
l’ipotesi che un Congresso al termine del proprio mandato
(“lame-duck session”) possa legiferare in maniera efficace
per prevenire un ulteriore peggioramento nelle settimane a
venire.
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