Meir Margalit:
Meir Margalit è uno degli intellettuali israeliani più interessanti se si vuole
intendere la realtà del medio oriente dal punto di vista pacifista. Nato in
Argentina, vive in Israele dalla fine degli anni '60. È un paladino - uno dei
pochi che restano - della convivenza possibile tra israeliani e i palestinesi.
Per quella sua abitudine a vestirsi da muratore ed andare a ricostruire insieme
ai palestinesi le case che Tsahal, l'esercito israeliano, distrugge, è stato di
recente definito dal quotidiano catalano "
La Vanguardia " come "il Nelson Mandela israeliano". Lo
troviamo occupatissimo ma disponibile come sempre nel suo ufficio di
Gerusalemme.
D. I non israeliani guardano alla ritirata da Gaza con un misto di
sorpresa e scetticismo. Appare un evento che sta a metà tra l'essere fondativo
di una nuova stagione della vita dello stato ebraico e l'apparire come una
trappola per rafforzare la politica coloniale.
R. Non c'è dubbio che il ritiro dalla striscia di Gaza sia un evento
sommamente importante nella storia d'Israele. Ma la grande domanda è cosa
succederà il giorno dopo la fine dell'evacuazione".
D. La sensazione è che si possa trattare di un ripiegamento tattico.
R. Non è possibile prevedere quale sarà il cammino futuro che sarà
adottato dal governo d'Israele. Se Ariel Sharon continuasse con il processo di
ritiro potremmo essere di fronte alla fine di più di 100 anni di conflitto. Se
invece deciderà di congelare il processo, oppure addirittura rafforzare le
colonie in Cisgiordania, allora scoppierà una terza Intifada che sarà ancora più
sanguinosa delle precedenti".
D
segnali giunti finora non inducono all'ottimismo e il quadro politico israeliano
gira da tempo a destra:
R. Da una parte ci sono le dichiarazioni dello stesso Sharon e dei
suoi collaboratori (come il famoso rapporto di Dov Waisglas al quotidiano
Haaretz, ndr) nel quale lui stesso afferma che con Gaza finiscono i ritiri e
che adesso è il momento di rafforzare le colonie in Cisgiordania. D'altra parte
però il ritiro mette in marcia una dinamica che a volte può essere più forte dei
propositi politici. E io credo che a partire da Gaza possa darsi una dinamica
che ci porti a restituire più territori e rafforzi il processo attuale. Questo
lo sappiamo noi storici ed i sociologi, ma dimostrano di saperlo perfettamente
gli stessi coloni che stanno già combattendo oggi la battaglia di domani mentre
invece altre componenti della società israeliana continuano a combattere oggi
battaglie di ieri".
D. Stai dicendo che con il ritiro di Gaza stiamo già assistendo in
sedicesimo al conflitto che verrà in caso di ulteriori restituzioni? Per gli
ultrareligiosi il cuore dell'identità ebraica non sta a Gaza ma in Giudea e
Samaria, che è come in Israele si denomina
la Cisgiordania.
R. La battaglia in corso oggi non ha come obbiettivo annullare il
ritiro da Gaza, ma evitare che in futuro Sharon o qualunque altro governo pensi
di evacuare
la Cisgiordania.
Questo è quanto è in gioco in questi giorni. La destra sa
perfettamente che a Gaza non abbiamo radici storiche e che è assolutamente
insostenibile il mantenimento di quei territori. Ma i coloni vogliono dare una
dimostrazione di quanto sono disposti a fare in caso di evacuazione della
Cisgiordania: una guerra feroce e spargimento di sangue".
D. C'è la sensazione che il movimento pacifista sia isolato dalla
dinamica reale degli eventi.
R. Per il movimento pacifista Gaza impone un ripensamento. In primo
luogo ci stiamo domandando se la vecchia idea di smantellare tutti gli
insediamenti continui ad essere praticabile. La mia impressione è che nessun
politico di questa generazione sarà capace di smantellare le colonie in
Cisgiordania. Se ho ragione l'idea dei due stati per due popoli (quella
sulla quale sono incagliati da decenni tanto i progressisti israeliani come
quelli del resto del mondo, ndr) diviene irrealizzabile ed allora bisogna
cominciare a parlare seriamente del progetto alternativo di uno stato
binazionale. In secondo luogo, anche se capisco che sembri del tutto contorto,
molta gente di sinistra sta valutando l'ipotesi se non valga la pena,
nell'immediato, di votare per la destra".
D
Innumerevoli dimostrazioni nella storia vanno in questo senso; paci impossibili
sono state firmate da feroci bellicisti mentre le peggiori "riforme" liberali
sono compiute da governi almeno nominalmente di sinistra. Tutto sta al potersi
coprire l'ala scoperta.
R. Nel nostro caso specifico gli unici leader che hanno restituito
territori sono quelli di destra, Begin, Sharon, perfino Bibi (Netanyahu, ndr)
ha restituito parte di Hebron. Se il laburismo oggi non ha figure di livello e
solo la destra può avere la forza per restituire territori, a molti di noi sta
passando per la testa di appoggiare Sharon nelle prossime elezioni".
D. Il ritiro e il conflitto con i palestinesi fagocitano completamente il
conflitto sociale israeliano che con Sharon e Netanyahu ha vissuto anni di
feroce neoliberismo. Oggi dello stato sociale israeliano beneficiano quasi solo
i coloni. Il tuo punto di vista - sei stato consigliere comunale a Gerusalemme
per il Meretz, il più importante partito alla sinistra dei laburisti - esprime
un paradosso preoccupante.
R. E' che stiamo vivendo un processo paradossale. Da una parte la
sinistra sta vivendo uno dei peggiori momenti della sua storia. Non ci
ascoltano, non ci vedono, è come se fossimo evaporati. Ma dall'altro lato la
destra israeliana sta implementando il programma politico che la sinistra si
propone di realizzare da più di 30 anni. Noi vogliamo ritirarci dai territori ed
è quella destra che sempre vi si è opposta che "de facto" sta realizzando il
nostro programma politico. Così che non siamo mai stati peggio ma allo stesso
tempo non siamo mai stati meglio. In questi giorni la nostra gente sta vivendo
una grande soddisfazione e non è disposta a criticare Sharon, a prescindere dal
fatto che le sue dichiarazioni non inducano all'ottimismo rispetto allo sgombero
della Cisgiordania".
Gennaro Carotenuto
www.gennarocarotenuto.it
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