Di fronte alla prova della crisi libanese, il governo israeliano
Olmert-Peretz ha mostrato miseramente la sua pesante incompetenza,
accompagnata da un atteggiamento arrogante e machista, che ne
ha fatto un bersaglio ormai quotidiano degli attacchi della stampa.
Nell'ultima settimana, Olmert ha reso note le nuove priorità del
governo, facendo carta straccia del proprio programma elettorale e
mostrando la sua vera faccia reazionaria. La credibilità di Ehud
Olmert è ormai naufragata, trascinando con sé l'intero establishment
politico-militare. In un recente sondaggio dell'Università Ben
Gurion, la stragrande maggioranza degli israeliani ha dichiarato
che, per sapere la verità sull'andamento della guerra, attendeva con
impazienza i messaggi televisivi di Hassan Nasrallah, leader degli
Hezbollah, mentre non dava alcun credito alle notizie diffuse dall'IDF
o dal proprio governo.
Difficile non essere d'accordo, visto che i bollettini ufficiali del
governo israeliano, per tutta la durata del conflitto, non facevano
altro che ripetere ogni giorno la vittoria schiacciante sul Partito
di Dio, persino quando, durante le ultime ore prima del
cessate-il-fuoco, i miliziani sciiti lanciavano su Israele oltre
duecento razzi Katiuscha. Mentre la guerra in Libano ha consacrato
Nasrallah eroe del mondo arabo, in Israele è giunto il momento della
riflessione e si comincia a parlare apertamente della sconfitta e
delle responsabilità.
Inizia a scricchiolare il mito dell'invulnerabilità dell'esercito
israeliano. Nonostante le armi più sofisticate e il sostegno
dell'alleato americano, in un mese l'IDF non è riuscito ad avere la
meglio di una milizia armata, in un territorio peraltro ben noto
agli ufficiali israeliani, dopo i diciotto anni di
occupazione dal 1982 al 2000. Nell'ultima settimana, grazie a
dossier lasciati trapelare di proposito da ambienti militari, si sta
delineando una possibile verità sulla gestione del conflitto. A
quanto è emerso, l'esercito israeliano non era preparato ad uno
scenario di guerra in Libano per carenze sia di informazioni circa i
covi degli Hezbullah che di adeguata preparazione delle proprie
truppe. Di tutto questo erano al corrente sia il premier Olmert che
il ministro della difesa Peretz. Nonostante ciò, a poche ore dal
rapimento dei due soldati israeliani da parte di Hezbullah, il
governo, d'accordo con il capo di stato maggiore Halutz, ha deciso
di dare il via all'escalation militare. La decisione affrettata e
inopportuna è stata dettata dalla volontà politica di "ristabilire
la capacità di deterrenza israeliana", confermando la scelta che
aveva portato alla rioccupazione di Gaza un mese prima (tuttora in
corso). In sostanza, il governo ha mandato allo sbaraglio nel sud
del Libano migliaia di giovani riservisti, privi persino
dell'equipaggiamento necessario, tanto è vero che gli ufficiali
riservisti hanno aperto una fronda all'interno dell'esercito e
chiedono la testa del capo di stato maggiore. Ma quel che è peggio è
che per la prima volta nella sua storia Israele ha subito un
prolungato attacco missilistico, a cui non ha saputo in nessun modo
porre rimedio. A quanto è trapelato, la guerra in Libano era in fase
di studio da parte dell'intelligence israeliana, nello scenario di
un attacco americano all'Iran, ma al momento non esistevano precisi
piani di invasione, come è emerso chiaramente dall'andamento
tentennante dell'esercito sul campo. Nasrallah stesso, in un
controverso messaggio televisivo, ha chiesto scusa al popolo
libanese, affermando che Hezbullah non si aspettava una risposta
così violenta da parte israeliana. In realtà, Hezbollah avrebbe
utilizzato una piccola parte del suo arsenale missilistico, pari al
venti per cento, nei trentaquattro giorni di guerra. In particolare,
non avrebbe fatto uso, nonostante le minacce, dei missili a gittata
più lunga, di provenienza iraniana, che sarebbero in grando di
raggiungere Tel Aviv. Questi infatti servirebbero come deterrente
nel caso di una futura crisi militare con attacco alla Siria o
all'Iran.
Ma le infelici uscite da bullo di Olmert, che scherniva Nasrallah
vantandosi di poter passeggiare all'aperto mentre l'altro era
costretto a nascondersi in un bunker, oppure smentiva in diretta
Kofi Annan riguardo alla mediazione per il rilascio dei soldati
rapiti, sono solo note di colore, mentre in Israele imperversa una
vera tempesta politica. Mentre le accuse di corruzione contro vari
ministri e Olmert stesso si fanno più pesanti e mentre il presidente
israeliano Katsav, accusato di stupro, mette in imbarazzo l'intera
Knesset rifiutando le proprie dimissioni, la vera truffa per gli
israeliani è la nuova agenda governativa. Come in un teatro
dell'assurdo, Olmert ha svelato le carte e dichiarato, senza il
minimo imbarazzo, che cancellerà gli interventi sociali in programma
e che il piano di ritiro parziale dalla West Bank ("convergence
plan") è in realtà inattuabile e va abbandonato, anzi vanno
potenziati gli insediamenti dei coloni.
Non c'è traccia nella prossima finanziaria dell'aumento del
salario minimo, la cui promessa aveva portato ad una grande
affermazione elettorale del Labor Party e di Peretz nello scorso
marzo. Le risorse che dovevano essere destinate alla riduzione della
povertà sono state direttamente trasferite alla difesa, per
ripristinare le riserve di ordigni, sganciati sul Libano,
acquistandoli dall'alleato americano. Come se non bastasse, il
governo ha proposto di reperire ulteriori risorse aumentando le
tasse universitarie, in sostanza andando a colpire ancora una volta
i riservisti, in maggioranza studenti, prima mandati allo sbaraglio
in Libano e poi vessati di ritorno a casa. La rimozione improvvisa
degli investimenti sociali ha portato ad una vera e propria rivolta
all'interno dello stesso Labor, i cui parlamentari minacciano di far
cadere il governo e con lui il leader del proprio partito e ministro
della difesa, Peretz. In questo caso, Olmert potrebbe comunque
restare al potere con i voti del partito xenofobo degli ebrei russi
e dei partiti della destra ultrareligiosa, che in ogni caso sono
disponibili a convergere sul nuovo programma governativo.
Lo slogan grazie al quale Olmert ha vinto le elezioni, ovvero il
piano di ritiro unilaterale, è stato anch'esso archiviato senza
troppi rimpianti dal governo, secondo il quale, dopo la guerra in
Libano, sono cambiate le priorità. Ad un primo sguardo questa scelta
potrebbe sembrare positiva per le prospettive del conflitto
israelo-palestinese. I due precedenti ritiri unilaterali, nel
duemila dal sud del Libano e lo scorso anno da Gaza, sono stati
infatti un fallimento, dal punto di vista israeliano. L'idea alla
base dell'azione unilaterale è che non ci sia alcun interlocutore
con cui discutere una soluzione politica al conflitto, dato che
Israele considera sia Hizbullah che Hamas organizzazioni
terroristiche e Libano e Siria loro complici. Ma è ormai chiaro
all'establishment israeliano che il ritiro dal Libano ha portato al
rafforzamento di Hezbollah, mentre il ritiro da Gaza e la sua
trasformazione in una enorme prigione a cielo aperto hanno avuto
come risultato l'anarchia e una crisi umanitaria. Il piano di
convergenza, inoltre, mascherava con un parziale ritiro dalla West
Bank la reale intenzione di annettere ad Israele i grossi blocchi di
insediamenti e, in particolare, tutta la periferia di Gerusalemme
Est. Nonostante negli ultimi giorni il governo Olmert-Peretz abbia
cambiato repentinamente idea e chiesto il rinnovo dei dialoghi di
pace con tutti i vicini, libanesi, palestinesi e persino siriani,
questa apparente buona volontà nasconde in realtà il chiaro intento
di distogliere l'attenzione dalle montanti polemiche sulla guerra e,
soprattutto, dalla crisi nel governo stesso. Il dubbio sulla volontà
di dialogo del governo è insinuato dal fatto che, mentre Olmert ha
chiesto a sorpresa un colloquio con Abbas, Presidente dell'ANP, e
dichiara di volere un ritorno alla road map (dopo averla affondata
miseramente nei mesi precedenti), nello stesso momento il governo ha
autorizzato la costruzione di un nuovo blocco di insediamenti a
Gerusalemme Est, per affrettarsi a rimuovere la soluzione di
continuità tra le colonie adiacenti la parte ovest della città. In
questo modo, Olmert spera di risolvere definitivamente il problema
di Gerusalemme Est, che verrebbe così de facto tagliata fuori dal
resto della West Bank e annessa. Infine, Olmert ha dichiarato che
non verranno al momento evacuati gli insediamenti illegali, altro
punto dirimente del suo programma elettorale. Lo stop ai nuovi
insediamenti e lo smantellamento di quelli illegali sono peraltro
due clausole fondamentali della stessa road map. Appare evidente
quindi l'utilizzo della road map per esclusivi fini propagandistici:
Olmert sta cercando di riguadagnare il sostegno occidentale a
Israele, seriamente eroso a causa della guerra in Libano. In seguito
alle decisioni del governo riguardo gli insediamenti, il consiglio
dei coloni di Giudea e Samaria ha esultato e dato il via
immediatamente ad una nuova campagna mediatica, che invita ad
affrettarsi a costruire nuovi avamposti illegali in tutta la West
Bank, per porre poi il governo di fronte al fatto compiuto.
La situazione politica israeliana è, dunque, sempre più in
fibrillazione e molte testate fanno pronostici sulla durata di
Olmert e del suo partito, Kadima, che pare ormai derubricato a fuoco
di paglia, pronto a disperdere le sue ceneri tra il Likud e il Labor
in una lenta agonia. Tuttavia, fa notare un editoriale di Haaretz,
la leadership israeliana è di fronte ad un crisi politica acuta, se
le uniche alternative che si profilano all'orizzonte, una volta
tolti di mezzo Olmert e Peretz, restano ancora Bibi Netanyahu e Ehud
Barak, che tanti danni hanno portato in passato e che, con grossa
difficoltà, gli israeliani si erano lasciati alle spalle.
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