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06/05/05 La Paga del Dirigente Pubblico (Maria Teresa Salvemini, www.lavoce.info)

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    Una delle grandi azioni di riforma degli ultimi dieci anni è stata l’applicazione del sistema privatistico alla dirigenza pubblica italiana: il dirigente è pagato bene, ma non è inamovibile; nella retribuzione vi è una parte fissa e una variabile, in funzione dei risultati; vi è una netta separazione di responsabilità tra politica e amministrazione. La retribuzione è stata resa onnicomprensiva.
    Gli obiettivi dichiarati delle riforme erano aprire l’amministrazione pubblica a professionalità provenienti dal settore privato, spostare l’interesse dei dirigenti dall’ottemperanza delle norme al conseguimento dei risultati utili per i cittadini, rendere possibile una politica dei redditi, una volta separata la questione delle posizioni apicali.

    Dieci anni dopo…

    Un decennio di applicazione delle riforme si conclude con un diffuso senso di frustrazione.
    La definizione, con contratto privato e individuale, delle retribuzioni dei dirigenti generali è avvenuta con modalità tali da ricordare quella che, negli anni Settanta, fu definita "giungla retributiva", e alla quale si dovette provvedere con indagini parlamentari e profonde revisioni.
    Gli elevati stipendi hanno costituito motivo di attrazione molto più per il sottobosco della politica che per professionalità già sperimentate nella gestione di imprese private. La fine dell’inamovibilità è stata stravolta da uno spoils system esteso ben oltre la fisiologica cerchia degli stretti corresponsabili della politica del ministro, ed è stata poi eliminata per gli interni all’amministrazione. La corresponsione della quota variabile della retribuzione è stata ancorata ad adempimenti meramente formali, che anziché migliorare hanno appesantito l’azione amministrativa.
    La forte impennata delle retribuzioni dei dirigenti è stata una causa non minore della crescita del volume complessivo delle retribuzioni pubbliche nell’ultimo quinquennio, con un tasso medio, e un tasso annuo, costantemente superiore a quello del prodotto. L’effetto imitativo è stato evidente, soprattutto per alcune strutture di gabinetto e di segreteria che si sono dotate di regolamenti "adeguati", ma anche per gli altri dipendenti pubblici. L’onnicomprensività ha consentito un forte aumento dei trattamenti pensionistici.

    Tre soluzioni possibili

    Possiamo ora fare tre cose. Primo, portare a compimento le riforme, il che significa realizzare le condizioni di contorno previste a corollario della privatizzazione contrattuale. Ad esempio, si dovrebbero predisporre adeguati strumenti di misurazione e di valutazione dell’azione amministrativa. Secondo, tornare indietro, e porre regole di politica dei redditi, come tetti alle retribuzioni dei dirigenti, tassi uniformi di variazione, e ostacoli all’immissione di elementi esterni, come le quote riservate. Terzo, porre regole di trasparenza, come suggerisce il decalogo proposto da Stefano Micossi.
    Sono del tutto a favore di questa terza soluzione, ma credo che anche la prima debba essere perseguita.
    Ci vuole trasparenza nelle procedure di nomina, il che non significa concorsi, ma manifestazione di quale competenza sia richiesta, con quali strumenti venga verificata, chi deve procedere alla selezione, in che tempi, con quale pubblicità degli atti, con quali motivazioni. Significa definire gli strumenti di valutazione per la conferma o la revoca delle funzioni. Anche in questo caso senza appesantimenti che attizzino i contenziosi, ma anche senza timore di dire con chiarezza chi ha fatto bene e chi no. La retribuzione offerta deve essere nota. Si può però ammettere in qualche caso, ben motivato, un limitato scostamento, da rendere comunque pubblico. Oggi la Ragioneria generale fornisce solo dati aggregati, e in ritardo, su questa componente delle spesa pubblica. Nella definizione delle retribuzione offerta, l’organo responsabile dovrebbe anche dire se le condizioni di bilancio di quel soggetto pubblico consentono la spesa, o se vi siano risparmi che la rendono possibile.

    L’importanza della valutazione

    Ma bisogna anche rilanciare con determinazione i controlli interni e i sistemi di valutazione.
    Nella stagione caratterizzata dalla speranza di dare all’Italia un’amministrazione efficiente e moderna se ne discusse a lungo, e furono poi introdotti nel sistema, malgrado le resistenze della Ragioneria generale. Erano pensati per consentire all’amministrazione uno sguardo critico su sé stessa, un luogo dove cercare e trovare spazi di miglioramento dell’azione svolta a favore dei cittadini, una sede per verificare se il "valore" del prodotto giustificasse la "moneta" spesa, e se questo rapporto fosse, e come, migliorabile. Tutto questo era coerente con l’idea che il dirigente avesse maggiori responsabilità, maggiore autonomia, maggiori remunerazioni.
    Anche su questo registriamo un insuccesso .Oggi, abbiamo solo un insieme di passaggi formali, che vengono utilizzati prevalentemente per dire che tutto è regolare, che tutto è fatto nel migliore dei modi, o comunque come impone la legge o la prassi esistente, che tutti sono stati bravi. Certo, dobbiamo considerare che l’importanza del cambiamento richiede adeguati tempi di maturazione. Ma serve un rilancio di tensione, di motivazione, accompagnato da nuovi meccanismi premiali che siano capaci di meglio garantire il raggiungimento dei risultati desiderati. Ad esempio, imponendo che solo una percentuale dei dirigenti ottenga la valutazione più positiva (senza introdurre meccanismi di rotazione), o imponendo all’amministrazione di fare analisi e studi prima di indicare gli obbiettivi posti oggi in modo vago e generico


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