Sempre più «autonomo» e specializzato, così il lavoro cambia volto. "I cambiamenti intervenuti in questi ultimi anni
nel mercato del lavoro e nel sistema di istruzione universitaria
sembrano aver influenzato gli atteggiamenti e i comportamenti dei giovani in
uscita dalla scuola secondaria superiore. A seguito della riforma degli
ordinamenti universitari, i giovani diplomati del 2001, intervistati nel
2004 a tre anni dal conseguimento del titolo, mostrano una maggiore
propensione a continuare gli studi". Lo comunica una nota dell'Istituto
nazionale di statistica (Istat).
Tra gli intervistati, infatti, la quota di chi è impegnato
esclusivamente negli studi universitari è pari al 34,2 per cento
(quasi 10 punti percentuali in più rispetto al 24,8 per cento del 2001),
mentre gli attivi sul mercato del lavoro sono passati dal 72,3 per cento del
2001 al 62,8 per cento del 2004: il 47,1 per cento ha trovato un'occupazione
(nel 2001 gli occupati erano il 55,5 per cento) e circa il 16 per cento è
alla ricerca di un lavoro (valore vicino a quello rilevato nel 2001).
L'analisi dei tassi di attività (occupati e in cerca di lavoro) e
di occupazione della leva di diplomati del 2001 evidenzia un quadro
articolato del rapporto tra diplomati e mondo del lavoro, che si differenzia
in base all'indirizzo scolastico di provenienza, al genere e all'area
territoriale. Relativamente all'indirizzo scolastico di provenienza, se la
partecipazione al mercato del lavoro è molto alta tra chi ha seguito
percorsi di tipo professionalizzante (l'88 per cento tra chi proviene dagli
istituti professionali e più del 74 per cento tra quanti hanno studiato
all'istituto tecnico) risulta, invece, inferiore al 36 per cento tra coloro
che hanno seguito gli studi liceali. La gran parte di questi ultimi rimanda
l'ingresso nella vita attiva perché reputa l'università lo sbocco naturale
del proprio ciclo di studi (i liceali che a tre anni dal diploma sono
impegnati a tempo pieno negli studi universitari sono quasi il 63 per
cento).
Anche l'area geografica di residenza e il genere influenzano la
scelta di entrare subito nella vita attiva. I maschi manifestano
una maggiore propensione (65 per cento) a cercare di inserirsi nel mondo del
lavoro rispetto alle donne (tra le quali le attive sul mercato del lavoro a
tre anni dal diploma sono poco più del 60 per cento), mentre la
partecipazione al mercato del lavoro dei diplomati è più alta nel nord
(quasi il 65 per cento) e inferiore di tre punti nelle regioni
centro-meridionali (meno del 62 per cento).
Che il proseguimento degli studi sia la motivazione principale
della mancata partecipazione al mercato del lavoro - spiega l'Istat
- è confermato dall'analisi delle motivazioni dei diplomati che non lavorano
e non cercano lavoro: ben 9 inattivi su 10 dichiarano di non essere alla
ricerca di un lavoro perché impegnati nel proseguimento degli studi, mentre
appena un diplomato inattivo su cento si dichiara scoraggiato dalla mancanza
di offerte di lavoro interessanti.
Esiste una forte correlazione tra il tipo di studi concluso
e la condizione occupazionale. La percentuale di coloro che hanno
trovato lavoro aumenta quanto più marcati sono i contenuti
professionalizzanti del tipo di studi seguiti: la percentuale più alta di
occupati si registra tra i giovani che hanno conseguito un diploma
professionale (71,2 per cento) mentre i liceali che lavorano sono il 20,9
per cento.
I titoli di scuola superiore che forniscono una formazione
tecnico-professionale - prosegue l'Istat - offrono maggiori
opportunità di un inserimento più stabile nel mercato del lavoro: più
dell'87 per cento dei diplomati degli istituti professionali e tecnici è
infatti impegnato in un lavoro continuativo. Le occupazioni di tipo
occasionale o stagionale sono più diffuse tra i diplomati dei licei e
dell'istruzione magistrale (rispettivamente 36 e 25 per cento), sia per la
scarsa formazione professionale ricevuta dagli studenti sia perché tali
lavori meglio si adattano alle esigenze di chi è anche impegnato nel
proseguimento degli studi.
Anche il contesto economico in cui i giovani vivono influenza la
possibilità di avere o meno un'occupazione di tipo continuativo:
nel Mezzogiorno i neo-diplomati lavorano più frequentemente in modo
saltuario o stagionale (23 per cento) rispetto ai loro colleghi del Nord e
del Centro (rispettivamente 14 e 16 per cento).
Tra i diplomati che lavorano - illustra l'Istat - quelli occupati
come dipendenti con un contratto a tempo determinato sono pari al
13 per cento, mentre il 14 per cento é inserito nel mercato del lavoro con
un cosiddetto 'contratto a causa mista', in cui la prestazione lavorativa è
ridotta e accompagnata da attività di formazione. Tra questi, in prevalenza
diplomati provenienti da indirizzi di studio di tipo tecnico-professionale,
l'apprendistato è la tipologia più diffusa (gli occupati apprendisti sono il
9 per cento, mentre quelli con un contratto di formazione e lavoro sono
appena il 5 per cento). Una discreta quota di diplomati occupati (13 per
cento) svolge un lavoro cosiddetto 'atipico': a tre anni dal conseguimento
del titolo, infatti, i diplomati che lavorano con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa sono circa il 10 per cento e quasi
il 3 per cento lavora come prestatore d'opera occasionale. Infine, circa il
9 per cento dei diplomati occupati dichiara di svolgere un'attività
lavorativa senza avere però un regolare contratto. Si tratta, in genere, di
diplomati impegnati negli studi universitari che svolgono saltuariamente
un'attività lavorativa per avere una, sia pur minima, autonomia economica.
A poco più di tre anni dal conseguimento del titolo, i
giovani che svolgono un lavoro continuativo a tempo pieno iniziato dopo il
diploma guadagnano in media 942 euro al mese (circa 111 euro in più della
retribuzione media registrata nel 2001). In particolare, guadagnano di più
coloro che provengono dai licei e dagli istituti tecnici (rispettivamente
1.016 e 964 euro), mentre quelli con retribuzioni più basse sono i giovani
provenienti dall'istruzione magistrale ed artistica (rispettivamente 806 e
810 euro). L'andamento delle retribuzioni per genere e area di provenienza
riflette lo svantaggio del lavoro delle donne e, più in generale, dei
diplomati del Mezzogiorno.
Relativamente ai canali utilizzati per trovare lavoro, risultano
efficaci - secondo l'Istat - sia le segnalazioni di familiari o
conoscenti (24,4 per cento) sia la presentazione di domanda di assunzione ai
datori di lavoro (20 per cento). Limitato è, invece, il numero di diplomati
che trovano un'occupazione per chiamata diretta delle aziende (4,8 per
cento), tramite il ricorso alle agenzie private di collocamento (4 per
cento), su segnalazione da parte della scuola (3 per cento) oppure a seguito
di stage o tirocini (2,3 per cento).
Non tutti i diplomati riescono a trovare un'occupazione adeguata
alla formazione ricevuta: il 52,2 per cento risulta occupato in
attività per le quali è richiesto un diploma di scuola secondaria superiore
(più della metà dichiara che per svolgere il lavoro è necessario possedere
un diploma specifico), mentre il restante 47,8 per cento svolge lavori per i
quali il diploma non è un requisito necessario. Ci sono, inoltre, differenze
consistenti in base all'area di provenienza dei diplomati: nelle regioni
settentrionali, quasi il 60 per cento degli occupati svolge lavori per i
quali è necessario possedere un diploma, mentre nelle regioni centrali tale
valore scende al 50,4 per cento e raggiunge la percentuale più bassa nel
Mezzogiorno (43,1 per cento).
Per approfondire l'argomento clicca
qui.
|