Si profila all'orizzonte un grande accordo sulla detassazione dello
straordinario e delle componenti variabili del salario. Sarebbero d'accordo
tutti: dalla maggioranza all'opposizione, da Confindustria al sindacato.
Nelle migliori intenzioni dovrebbe servire a rafforzare il decentramento
della contrattazione salariale e un più forte legame dei salari con la
produttività. Ma vi sono grandi rischi di elusione fiscale. Non a caso il
Governo sta predisponendo tanti paletti, complicando ulteriormente il
sistema fiscale. E per decentrare la contrattazione non c'è alcun
bisogno di sgravi fiscali. Meglio sarebbe tagliare le tasse sul lavoro per
tutti e riformare davvero la contrattazione.
Per un paese come l’Italia, che ha una pressione fiscale al 43 per
cento, tagliare le tasse, specialmente quando i tagli
sono finanziati con diminuzione di spesa, fa bene alla produttività.
Questo semplice principio, tuttavia, non significa che qualunque
riduzione fiscale sia appropriata. CONVERGENZE PERICOLOSE
Nei prossimi giorni verrà approvata una riduzione del prelievo
fiscale e contributivo sul lavoro straordinario e
sulle cosiddette parti variabili del salario. L’operazione,
caldeggiata dal neo-ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sembra
trovare l’accordo di tutti, dalla maggioranza all’opposizione, dal
sindacato a Confindustria. È un bene che siano, per una volta, tutti
d’accordo. Ma rischia di trasformarsi in un incentivo a una massiccia
operazione di elusione fiscale, a favore soprattutto
delle imprese del Nord, che verrebbe pagata da tutti gli altri
contribuenti. Vediamo perché.
Una volta introdotto un regime di favore (si parla di una cedolare
secca del 10 per cento) per le componenti variabili del salario, i
datori di lavoro e i dipendenti vorranno trasferire gran parte della
propria contribuzione dalla parte fissa a quella variabile. Oggi per
ogni 100 euro in più destinati al lavoratore medio, circa 30 vanno
alle tasse e altri 30 ai contributi sociali. A questi lavoratori, e ai
loro datori di lavoro, non sembrerà vero di poter accedere a un
prelievo di soli 10 euro per ogni cento di retribuzione. Le asimmetrie
nei due regimi sono troppo forti per non incentivare un massiccio
trasferimento di base imponibile dall’uno all’altro.
Non a caso il Governo sembra ora intenzionato a introdurre una serie
di paletti legati al cumulo massimo di reddito, al limite per
individuo e all’applicabilità del provvedimento al fine delle
addizionali regionali. Si profila un provvedimento da azzeccarbugli,
che complicherà ulteriormente uno dei sistemi fiscali più
ingarbugliati del mondo. Ci piacerebbe sentire il parere del ministro
per la semplificazione legislativa, Calderoli: ha in mente un termine
efficace per definire questa legge?
La giustificazione offerta per questo provvedimento è che dovrebbe
servire a favorire il decentramento della contrattazione
salariale e un più stretto legame fra salario e produttività. È un
obiettivo condivisibile, ma lo strumento è sbagliato. Per rafforzare
il legame fra salario e produttività, e fra salario e condizioni
locali del mercato del lavoro, basta riformare davvero la
contrattazione salariale. Non c’è bisogno di far pagare il
contribuente. Dopo l’accordo raggiunto dai sindacati il Primo Maggio,
è una riforma che può avvenire senza coinvolgere il governo. È giusto
che sia così: gli assetti contrattuali sono materia di confronto fra
le parti sociali. Bene che si tuteli la loro autonomia.
IL DOCUMENTO DEL SINDACATO
Dopo una gestazione quasi decennale è finalmente arrivata la
proposta sindacale sulla
riforma del sistema contrattuale. Vuole rimediare a patologie del
nostro
sistema contrattuale diventate ormai insostenibili. La parte più
innovativa del documento è l’accordo sulla rappresentanza. Rafforzerà
la democrazia nel sindacato e lo spingerà a radicarsi di più sui posti
di lavoro anziché trasformarsi in organizzazione partitica e con
grande burocrazia centrale. Nel documento vi sono anche importanti
aperture al decentramento della contrattazione. Ma si invoca
l’intervento di sgravi fiscali per legare il salario alla produttività
e si propone di introdurre un nuovo livello di contrattazione – la
contrattazione territoriale – in aggiunta agli attuali due livelli
esistenti (nazionale e impresa per impresa), col rischio di
appesantire ulteriormente assetti contrattuali che hanno ampiamente
mostrato di funzionare con una insostenibile lentezza, lasciando
milioni di lavoratori con contratti scaduti. Ma procediamo per gradi.
Vediamo prima perché è importante decentrare la contrattazione e poi
come farlo anche in assenza di sgravi fiscali e di un nuovo livello di
contrattazione.
PERCHÉ SERVE DECENTRARE LA CONTRATTAZIONE
Molte fonti statistiche convergono nel dimostrare che c’è una
crescente eterogeneità nella performance delle
imprese in Italia. Alcune raggiungono livelli di efficienza molto
forti, riuscendo a competere con successo in mercati altamente
concorrenziali. Altre imprese, invece, faticano a raggiungere livelli
di efficienza. Oggi la struttura salariale italiana è largamente
basata su scatti automatici legati all’anzianità che,
oltre a penalizzare i giovani e a incentivare il prepensionamento dei
lavoratori più anziani, finiscono per “sottopagare” i lavoratori delle
imprese più dinamiche e per spingere verso il lavoro sommerso quelle
meno efficienti. Inoltre, la contrattazione centralizzata ha impedito
in questi anni lo spostamento di forza lavoro da imprese a bassa
produttività a imprese a più alta produttività e gli investimenti nel
Mezzogiorno.
I dati (finalmente!) resi pubblici dall’Istat sul costo della vita per
macro aree ci permettono di valutare meglio i paradossi della
contrattazione centralizzata in un paese eterogeneo come l’Italia. I
salari più alti (a parità di potere d’acquisto)
vengono oggi offerti in due regioni, la Campania e il Molise, che
vantano il primato negativo dei tassi di occupazione più bassi della
penisola: attorno al 35 per cento nel primo caso e di poco superiore
al 40 per cento nel secondo. La Campania è anche la regione italiana,
dopo la Sicilia, con il tasso di disoccupazione più elevato.
COME COPRIRE LE PICCOLE IMPRESE
Il decentramento della contrattazione dovrebbe favorire un
adeguamento dei salari sia alla produttività che al costo della vita
locale, rimediando ai paradossi della contrattazione centralizzata. Ma
il problema è che il tessuto produttivo italiano è principalmente
composto da piccole imprese, in cui oggi non è presente alcuna
organizzazione sindacale e dove, dunque, è difficile che si possa
svolgere alcuna contrattazione. Decentrando la contrattazione si
rischia così di lasciare i lavoratori delle piccole imprese senza
contratto.
Per risolvere il problema, il documento approvato dai sindacati
prevede il rilancio della contrattazione territoriale. Ma non c’è
alcun bisogno di aggiungere un terzo livello negoziale per coprire i
lavoratori delle piccole imprese e per legare il salario alla
produttività. Basta stabilire a livello nazionale settore per
settore, una regola che leghi il salario all’andamento della
produttività aziendale, da applicare ex-post alle imprese in cui
durante il periodo coperto dal contratto nazionale non sia stato
possibile sottoscrivere un contratto di secondo livello. Ad esempio,
nelle imprese industriali, la regola potrebbe consistere
nell’aumentare i salari in proporzione del 50 per cento
dell’incremento del reddito lordo operativo pro-capite (al netto
dell’inflazione). Ovviamente l’aumento varierà da impresa a impresa e
finirà per premiare i lavoratori in virtù degli incrementi di
produttività aziendali.
BENE TENERE DISTINTI I DUE RUOLI
L’inciucio che si profila all’orizzonte sugli sgravi fiscali è un
esempio di una concezione sbagliata del rapporto fra governo e parti
sociali. Bene che le parti si accordino sulle regole
fondamentali del modello di relazioni industriali. Queste
regole, devono trovare fondamento e validità indipendentemente da
eventuali incentivi fiscali. Se l’unica ragion d’essere del nuovo
accordo fosse uno sgravio fiscale, significherebbe che in realtà di
nuovo non vi è quasi nulla. Al contempo se il governo (magari col
sostegno dell’opposizione) vuole ridurre il prelievo sul lavoro, bene
che tenga conto di tutti i contribuenti, non solo di
chi potrà beneficiare di quella che si annuncia come una gigantesca
operazione di collusione fra Confindustria e sindacati nel far pagare
le tasse agli altri contribuenti.
20/05/2008 L' Irpef senza gli straordinari ...La detassazione degli straordinari modifica in modo significativo la fisionomia del più importante tributo italiano. Perciò, non bisogna solo capire se gli obiettivi siano giusti, ma anche se lo strumento individuato sia il più corretto. L'agevolazione fiscale persegue finalità che si prestano a non poche obiezioni, dà risultati iniqui...
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