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21/03/2009 Il sussidio "lascia e raddoppia" (Fabio Berton , Matteo Richiardi e Stefano Sacchi, http://www.lavoce)

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Il governo annuncia l'intenzione di raddoppiare l'indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro. Per non lasciare indietro nessuno, dichiarano i ministri. E in particolare i precari, che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così: i collaboratori restano ancora senza tutele mentre raddoppia una misura che riguarderà solo un numero esiguo di lavoratori. D'altra parte, le tante proposte di riforma del sistema restano inascoltate, perché l'esecutivo è convinto che i nostri ammortizzatori funzionino già benissimo.

Problema risolto? Con l'annuncio al termine del Consiglio dei ministri del 13 marzo, dell'intenzione di raddoppiare l'indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro, il governo vuole dare l'idea di non lasciare indietro nessuno, in particolare i “precari”, i lavoratori parasubordinati che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così. Con i collaboratori, il governo sta giocando a un nuovo gioco, “Lascia e raddoppia”: li lascia senza tutele e raddoppia una misura che poco ha a che vedere con i sussidi di disoccupazione, e che riguarderà un numero esiguo di lavoratori.

UN SUSSIDIO PER POCHI

In un nostro precedente articolo abbiamo visto chi sono i potenziali beneficiari della proposta iniziale, quella contenuta nel decreto anticrisi. In sede di conversione del decreto, sono state apportate alcune modifiche, ma nulla non è cambiato su chi potrebbe accedere alla prestazione: i collaboratori a progetto, quindi non i co.co.co della pubblica amministrazione, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell'Inps, con un solo committente.
La principale differenza con la proposta iniziale è che adesso quella che il governo chiama “indennità di reinserimento” viene data “nei casi di fine lavoro”, qualunque cosa questa espressione significhi. Insomma, per avere l'indennità, i co.co.pro con un unico committente devono aver lavorato e guadagnato qualosa ma non troppo nel 2008: il requisito implica che debbano avere guadagnato tra 5mila e 11.516 euro lordi. E soprattutto devono avere lavorato anche nel 2009, per almeno 3.560 euro lordi, prima della “fine lavoro”. L’indennità per quanti potranno accedervi sarà compresa tra 1.000 e 2.300 euro, il 20 per cento della retribuzione del 2008, in media saranno circa 1.600 euro.
Quanti otterranno la prestazione? Oltreché dall’andamento del mercato del lavoro, dipenderà dai criteri di accesso che verranno specificati in un futuro decreto del ministro del Lavoro in base alla definizione di “fine lavoro”. Che succede ad esempio se Gianni, che soddisfa tutti i requisiti, vede scadere il proprio contratto a progetto ad aprile, a maggio resta senza lavoro e stipula un nuovo contratto a progetto a giugno? Ottiene l’indennità o no? Se sì, la ottiene esattamente come e per lo stesso importo di Amanda, il cui contratto scade ad aprile, ma che non trova più lavoro per tutto l’anno? Indipendentemente da tutto ciò, l'aspetto più importante è che potranno comunque avere accesso alla prestazione circa 69mila co.co.pro, su un totale di circa 550mila: il 12,5 per cento. (1) In sostanza, se tutti i co.co.pro oggi occupati in Italia perdessero il lavoro, solo uno su otto potrebbe reclamare la prestazione.
Per essere chiari, questa non è un’indennità di disoccupazione, come hanno invece scritto molti quotidiani: al massimo la si può chiamare un indennizzo alla sotto-occupazione, concessa solamente ad alcuni co.co.pro, e oltretutto in modo a nostro avviso incoerente. Per tornare all’esempio di prima, è possibile che la ottengano Gianni e Amanda, mentre invece ne sarebbe esclusa Sonia, che soddisfa tutti i requisiti, ma il cui contratto da mille euro al mese è scaduto a marzo, e ha quindi guadagnato meno di 3.560 euro. E poi, perché solo i co.co.pro? I contratti di collaborazione scadranno anche nella pubblica amministrazione, si suppone.
Una vera indennità di disoccupazione per tutti i collaboratori coordinati e a progetto, che garantisca il 60 per cento dell’ultima retribuzione per un massimo di 6 mesi e la contribuzione figurativa per le pensioni, modellata sui requisiti attualmente in vigore per le prestazioni di malattia e maternità per questi lavoratori, costerebbe secondo le nostre stime un miliardo di euro all’anno, anziché i 120 milioni che sarebbero necessari per l’indennità di reinserimento nell’improbabile caso in cui tutti i 69mila potenziali beneficiari perdessero il lavoro. Anche così, però, il 40 per cento dei collaboratori coordinati e a progetto non avrebbero accesso all’indennità di disoccupazione, come accade oggi per circa la metà dei lavoratori somministrati, il 40 per cento di quelli a tempo determinato, l’80 per cento degli apprendisti.

IL SISTEMA “MIGLIORE” DEL MONDO

La posizione del governo è chiara: non concedere diritti “automatici” ai disoccupati, ma eventualmente solo benefici su base negoziale. La giustificazione starebbe nel fatto che la negoziazione dovrebbe disincentivare l'espulsione di forza lavoro. In realtà, questo non farà che privilegiare ulteriormente i lavoratori più forti, quelli a tempo indeterminato delle grandi imprese, più rappresentati. Con buona pace degli altri, che sono anche quelli più a rischio.
La necessità, soprattutto in un periodo di crisi, di estendere su base certa i diritti al sostegno del reddito a tutti i lavoratori è invece sostenuta a gran voce da molti commentatori. Tito Boeri e Pietro Garibaldi hanno stimato in 15,5 miliardi il costo di un sussidio unico per tutti i disoccupati, una cifra non lontana dai 18 miliardi da noi indicati in un precedente articolo.

In alternativa, abbiamo proposto di adottare un sistema di sostegno al reddito di tipo europeo, articolato su tre livelli, oltre alle integrazioni salariali che potrebbero restare su base volontaria: un sussidio di disoccupazione con requisiti contributivi, quindi non per tutti i disoccupati; un sussidio di disoccupazione senza requisiti contributivi ma sottoposto alla prova dei mezzi, quindi per tutti i disoccupati, purché in effettivo stato di bisogno; un livello minimo di assistenza rivolto a tutti i cittadini e non solamente ai lavoratori, purché in stato di necessità: il reddito minimo di inserimento, auspicato, tra gli altri, anche da Boeri e Garibaldi. Secondo le nostre stime, tutto il pacchetto costerebbe 15,5 miliardi di euro all’anno e sarebbe relativamente facile da finanziare. Altre proposte vengono dai lavori della commissione Carniti presso il Cnel, e prevedono anch’esse l’introduzione del reddito minimo di inserimento. (2)
Eppure, tutte queste proposte ignorano una strabiliante scoperta: quello che fino a un mese fa era unanimemente considerato come uno dei peggiori sistemi di sostegno al reddito in caso di disoccupazione in Europa, come nella fiaba del brutto anatroccolo è oggi diventato uno splendido cigno. Di più: “gli ammortizzatori sociali funzionano proprio in quanto segmentati e diversificati”, dice il ministro Brunetta: è un buon sistema, perché “a suo modo” dà qualcosa a tutti. (3) Tout est au mieux? Sfortunatamente per i Pangloss de noantri, questa non è una rappresentazione accurata della realtà: il nostro è un sistema che dà tanto a qualcuno, qualcosa a molti, e un bel niente a tanti altri ancora. In quale stagno si sta specchiando il cigno?

 

(1) Il dato sul totale dei co.co.pro è di fonte Whip e relativo all’anno 2004, ma la rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat ci dice che da allora a oggi il numero di collaboratori è rimasto sostanzialmente invariato. In quell’anno i collaboratori coordinati e continuativi che non svolgevano altri lavori, escludendo dal computo altri contribuenti della gestione separata quali gli associati in partecipazione e i soci di cooperativa, ammontavano a circa un milione di individui. Di questi, utilizzando i dati Isfol Plus 2005 stimiamo che il 55,5 per cento (pari a circa 550mila) siano a progetto.
(2) B. Anastasia, M. Mancini e U. Trivellato, “Il sostegno al reddito dei disoccupati: note sullo stato dell’arte”, in Trivellato (a cura di), Regolazione, welfare e politiche attive del lavoro, www.portalecnel.it
(3) Il Corriere della Sera, sabato 7 marzo 2009.

 


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