Caro direttore, dopo aver difeso
Renato Farina prezzolato dal Sisde e avermi qualificato «squadrista» sul
Foglio di Giuliano Ferrara (già celebre per aver definito «omicida»
l’Unità), Adriano Sofri ha riempito ieri alcune colonne dell’Unità medesima
per insolentire, senza più far nomi, non solo il sottoscritto, ma tutti
coloro che, anche sull’Unità, hanno contestato l’estensione dell’indulto ai
reati finanziari, fiscali, societari, contro la Pubblica amministrazione,
contro la vita e la salute dei lavoratori.
Ci chiama «contestatori metodici dell’indulto» e ci accusa di aver «evocato
argomenti falsi» pur di tenere «decine di migliaia di miei simili
boccheggianti nelle celle della Repubblica». Ma l’unico argomento falso,
qui, è il suo, visto che nessuno ha contestato l’indulto: io stesso, un mese
fa, scrissi sull’Unità che per sfollare le carceri, anziché l’amnistia, era
preferibile un indulto di uno-due anni per i reati che incidono maggiormente
sulla popolazione carceraria, esclusi dunque quelli che non vi incidono per
nulla (quelli dei colletti bianchi). Ivi compreso l’omicidio, per il quale
lo stesso Sofri è detenuto. Sofri scrive che avremmo dimenticato di dire che
«Previti non è in carcere e non ci andrà mai più».
In realtà l’abbiamo scritto mille volte: ma abbiamo aggiunto che è ai
domiciliari in virtù di una legge ad personam (la ex Cirielli) e che, con
l’indulto ad personam, tornerà a piede libero. Non è forse questa la ragione
per cui Forza Italia ricatta l’Unione imponendo l’inclusione della
corruzione giudiziaria nei reati da condonare? Ma Sofri, a questo proposito,
difende Forza Italia («l’indignazione sul ricatto di Forza Italia in pro di
Previti è fuori tempo, e largamente pretestuosa e demagogica») con un triplo
salto logico carpiato: secondo lui, la responsabilità delle polemiche
sull’indulto non è di chi ha preteso di includervi la corruzione
giudiziaria, ma di chi ha chiesto - del tutto ragionevolmente - di
escluderla visto che per quel reato in carcere non c’è nessuno.
L’altro giorno ho intervistato l’avvocato Bonetto, che rappresenta 800
vittime dell’Eternit e ha appena visto sfumare la trattativa con i
responsabili della multinazionale per i risarcimenti ai morti e ai malati da
amianto perché la multinazionale medesima ha avuto la garanzia da Roma che
entro l'anno passerà l'amnistia; l’avvocato ha poi osservato che, includendo
nell'indulto anche l’omicidio colposo per i morti sul lavoro, si garantirà
ai colpevoli una sostanziale impunità, visto che per quel reato è pressochè
impossibile arrivare a condanne superiori ai 3 anni. In seguito a quell’intervista,
uscita su Repubblica e ripresa dall’Unità, la Cgil ha chiesto di escludere
dall’indulto gli omicidi colposi e gli altri reati contro la salute e
l’incolumità dei lavoratori (anche per questi, non c’è nessun detenuto).
Sofri qualifica queste notizie, assolutamente autentiche, verificate e mai
smentite da alcuno, come «falsità assolute e ciniche». Lo invito a
informarsi meglio: scoprirà che è tutto vero.
Se si informasse prima di distribuire insulti di qua e di là, scoprirebbe
pure che quello che lui chiama spregiativamente «popolo dei fax» è composto
da tante persone oneste e incensurate, che non hanno mai ammazzato, né
frodato, né truffato, né corrotto nessuno e sognano un Paese dove gli onesti
vengono premiati e i disonesti puniti. E non sono affatto disposte ad
accettare l’impunità per quelli che Sofri sminuisce al rango di «marionette
della tragicommedia dell’arte italiana: i Previti, i Moggi, i furbi del
quartierino» e che invece la gente normale considera autori di gravissimi
illeciti da sanzionare severamente e senza sconti. Questa gente onesta ha
vissuto come una violenza inaudita il quinquennio del regime berlusconiano,
con le sue indecenze, le sue leggi ad personam e le sue epurazioni bulgare,
contro le quali non si ricordano interventi di Sofri. Questa gente onesta ha
usato a ragion veduta la parola «regime», insieme all’Unità, a Montanelli, a
Eco, a Sartori, a Cordero, a Flores e a tanti altri: non perché fosse caduta
nell’«equivoco dell’eroismo antiberlusconista» e si fosse associata al
«ritornello del berlusconismo come regime», ma perché la pensava esattamente
agli antipodi di Sofri, convinto che «non occorreva coraggio per opporsi al
centrodestra, non pendevano la galera o l’esilio o le bastonate sui
dissidenti». Ne occorreva eccome, di coraggio, visto che chi non si
allineava veniva licenziato dal premier direttamente dalla Bulgaria e poi
massacrato per anni a reti unificate. Sofri, bontà sua, riconosce che essere
cacciati dalla Rai «è una vergogna». Ma poi non trova di meglio che
sbeffeggiare Michele Santoro perché «replicava canticchiando Bella ciao: ma
non per salire in montagna, o per sbarcare a Ustica o Ventotene - piuttosto,
per andare al Parlamento europeo, o da Celentano». Come se Santoro fosse
andato al Parlamento europeo o da Celentano per sfizio, o per mettersi in
mostra, e non - molto semplicemente - perché per cinque anni è stato
impedito a lui e ai suoi collaboratori di lavorare in tutte le tv del Paese
dal padrone d’Italia (che è anche l’editore di Sofri sul Foglio e su
Panorama, dove Sofri si è spesso prodotto in coraggiosissime difese di
Berlusconi, Mangano e Dell’Utri). E come se, nella lista nera, non fossero
compresi molti altri giornalisti e artisti, da Enzo Biagi a Daniele Luttazzi,
da Massimo Fini a Oliviero Beha, che non sono neppure andati a Strasburgo o
a Rockpolitik e che continuano a non lavorare in virtù di quel veto.
Veramente coraggioso anche l’attacco di Sofri a Piero Ricca, trascinato in
tribunale per un’innocua contestazione allo stesso padrone d’Italia e più
volte malmenato e trascinato in questura solo per la sua presenza nei luoghi
dov’era atteso il padrone d'Italia. Davvero molto elegante, infine, la sua
denuncia contro quei «giornalisti di matrice varia, dall’estrema destra
all’estrema sinistra» che hanno osato «pubblicare volumi di denuncia strenua
delle malefatte e delle pagliacciate di Berlusconi, senza pagare alcun
prezzo che non fosse un gran successo editoriale e di pubblico, soldi e
fama». Non lo sfiora neppure l’idea che qualcuno pubblichi libri
semplicemente per informare i lettori e che i lettori li acquistino
semplicemente per essere informati (il fatto che poi quest'opera di
informazione comporti, per chi la fa, una gragnuola di querele penali e
cause civili da centinaia di miliardi ad opera dello stesso padrone d’Italia
ed editore di Sofri, è un effetto collaterale del tutto secondario).
Comprendo che, chiudendo la sua articolessa, Sofri non si dia pace del fatto
che nei primi anni ‘90 «Di Pietro era l’eroe popolare del Paese (è successo
anche questo)». Sì, è vero, è successo anche questo. È successo che molti
italiani, nel 1992-’93, si felicitassero perché finalmente la scritta «La
legge è uguale per tutti» che campeggiava nei tribunali si traducesse
finalmente in pratica grazie a Di Pietro, Borrelli, D’Ambrosio, Davigo,
Colombo, Greco, Boccassini, Ielo e a tanti altri magistrati italiani: che,
insomma, i ladri di Stato venissero finalmente trattati come gli altri. È
noto che Sofri - per comprensibili motivi personali e per le sue vecchie
amicizie craxiane - abbia con la magistratura milanese un rapporto, diciamo
così, problematico. Ma dovrà farsene una ragione: il padrone d’Italia nonchè
suo editore a Panorama e al Foglio, nonostante gli sforzi, non è ancora
riuscito a spegnere in molti italiani l’idea che chi sbaglia deve pagare e
che la legge è uguale per tutti
Marco Travaglio
Fonte: www.unita.it
28.07.06
Visto su:
http://www.biraghi.org/
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