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30/07/2006 Travaglio - Sofri: Pensieri e Risposte. Contestatori Metodici dell’Indulto (Marco Travaglio, www.unità.it)

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Caro direttore, dopo aver difeso Renato Farina prezzolato dal Sisde e avermi qualificato «squadrista» sul Foglio di Giuliano Ferrara (già celebre per aver definito «omicida» l’Unità), Adriano Sofri ha riempito ieri alcune colonne dell’Unità medesima per insolentire, senza più far nomi, non solo il sottoscritto, ma tutti coloro che, anche sull’Unità, hanno contestato l’estensione dell’indulto ai reati finanziari, fiscali, societari, contro la Pubblica amministrazione, contro la vita e la salute dei lavoratori.

Ci chiama «contestatori metodici dell’indulto» e ci accusa di aver «evocato argomenti falsi» pur di tenere «decine di migliaia di miei simili boccheggianti nelle celle della Repubblica». Ma l’unico argomento falso, qui, è il suo, visto che nessuno ha contestato l’indulto: io stesso, un mese fa, scrissi sull’Unità che per sfollare le carceri, anziché l’amnistia, era preferibile un indulto di uno-due anni per i reati che incidono maggiormente sulla popolazione carceraria, esclusi dunque quelli che non vi incidono per nulla (quelli dei colletti bianchi). Ivi compreso l’omicidio, per il quale lo stesso Sofri è detenuto. Sofri scrive che avremmo dimenticato di dire che «Previti non è in carcere e non ci andrà mai più».

In realtà l’abbiamo scritto mille volte: ma abbiamo aggiunto che è ai domiciliari in virtù di una legge ad personam (la ex Cirielli) e che, con l’indulto ad personam, tornerà a piede libero. Non è forse questa la ragione per cui Forza Italia ricatta l’Unione imponendo l’inclusione della corruzione giudiziaria nei reati da condonare? Ma Sofri, a questo proposito, difende Forza Italia («l’indignazione sul ricatto di Forza Italia in pro di Previti è fuori tempo, e largamente pretestuosa e demagogica») con un triplo salto logico carpiato: secondo lui, la responsabilità delle polemiche sull’indulto non è di chi ha preteso di includervi la corruzione giudiziaria, ma di chi ha chiesto - del tutto ragionevolmente - di escluderla visto che per quel reato in carcere non c’è nessuno.

L’altro giorno ho intervistato l’avvocato Bonetto, che rappresenta 800 vittime dell’Eternit e ha appena visto sfumare la trattativa con i responsabili della multinazionale per i risarcimenti ai morti e ai malati da amianto perché la multinazionale medesima ha avuto la garanzia da Roma che entro l'anno passerà l'amnistia; l’avvocato ha poi osservato che, includendo nell'indulto anche l’omicidio colposo per i morti sul lavoro, si garantirà ai colpevoli una sostanziale impunità, visto che per quel reato è pressochè impossibile arrivare a condanne superiori ai 3 anni. In seguito a quell’intervista, uscita su Repubblica e ripresa dall’Unità, la Cgil ha chiesto di escludere dall’indulto gli omicidi colposi e gli altri reati contro la salute e l’incolumità dei lavoratori (anche per questi, non c’è nessun detenuto). Sofri qualifica queste notizie, assolutamente autentiche, verificate e mai smentite da alcuno, come «falsità assolute e ciniche». Lo invito a informarsi meglio: scoprirà che è tutto vero.

Se si informasse prima di distribuire insulti di qua e di là, scoprirebbe pure che quello che lui chiama spregiativamente «popolo dei fax» è composto da tante persone oneste e incensurate, che non hanno mai ammazzato, né frodato, né truffato, né corrotto nessuno e sognano un Paese dove gli onesti vengono premiati e i disonesti puniti. E non sono affatto disposte ad accettare l’impunità per quelli che Sofri sminuisce al rango di «marionette della tragicommedia dell’arte italiana: i Previti, i Moggi, i furbi del quartierino» e che invece la gente normale considera autori di gravissimi illeciti da sanzionare severamente e senza sconti. Questa gente onesta ha vissuto come una violenza inaudita il quinquennio del regime berlusconiano, con le sue indecenze, le sue leggi ad personam e le sue epurazioni bulgare, contro le quali non si ricordano interventi di Sofri. Questa gente onesta ha usato a ragion veduta la parola «regime», insieme all’Unità, a Montanelli, a Eco, a Sartori, a Cordero, a Flores e a tanti altri: non perché fosse caduta nell’«equivoco dell’eroismo antiberlusconista» e si fosse associata al «ritornello del berlusconismo come regime», ma perché la pensava esattamente agli antipodi di Sofri, convinto che «non occorreva coraggio per opporsi al centrodestra, non pendevano la galera o l’esilio o le bastonate sui dissidenti». Ne occorreva eccome, di coraggio, visto che chi non si allineava veniva licenziato dal premier direttamente dalla Bulgaria e poi massacrato per anni a reti unificate. Sofri, bontà sua, riconosce che essere cacciati dalla Rai «è una vergogna». Ma poi non trova di meglio che sbeffeggiare Michele Santoro perché «replicava canticchiando Bella ciao: ma non per salire in montagna, o per sbarcare a Ustica o Ventotene - piuttosto, per andare al Parlamento europeo, o da Celentano». Come se Santoro fosse andato al Parlamento europeo o da Celentano per sfizio, o per mettersi in mostra, e non - molto semplicemente - perché per cinque anni è stato impedito a lui e ai suoi collaboratori di lavorare in tutte le tv del Paese dal padrone d’Italia (che è anche l’editore di Sofri sul Foglio e su Panorama, dove Sofri si è spesso prodotto in coraggiosissime difese di Berlusconi, Mangano e Dell’Utri). E come se, nella lista nera, non fossero compresi molti altri giornalisti e artisti, da Enzo Biagi a Daniele Luttazzi, da Massimo Fini a Oliviero Beha, che non sono neppure andati a Strasburgo o a Rockpolitik e che continuano a non lavorare in virtù di quel veto.

Veramente coraggioso anche l’attacco di Sofri a Piero Ricca, trascinato in tribunale per un’innocua contestazione allo stesso padrone d’Italia e più volte malmenato e trascinato in questura solo per la sua presenza nei luoghi dov’era atteso il padrone d'Italia. Davvero molto elegante, infine, la sua denuncia contro quei «giornalisti di matrice varia, dall’estrema destra all’estrema sinistra» che hanno osato «pubblicare volumi di denuncia strenua delle malefatte e delle pagliacciate di Berlusconi, senza pagare alcun prezzo che non fosse un gran successo editoriale e di pubblico, soldi e fama». Non lo sfiora neppure l’idea che qualcuno pubblichi libri semplicemente per informare i lettori e che i lettori li acquistino semplicemente per essere informati (il fatto che poi quest'opera di informazione comporti, per chi la fa, una gragnuola di querele penali e cause civili da centinaia di miliardi ad opera dello stesso padrone d’Italia ed editore di Sofri, è un effetto collaterale del tutto secondario).
Comprendo che, chiudendo la sua articolessa, Sofri non si dia pace del fatto che nei primi anni ‘90 «Di Pietro era l’eroe popolare del Paese (è successo anche questo)». Sì, è vero, è successo anche questo. È successo che molti italiani, nel 1992-’93, si felicitassero perché finalmente la scritta «La legge è uguale per tutti» che campeggiava nei tribunali si traducesse finalmente in pratica grazie a Di Pietro, Borrelli, D’Ambrosio, Davigo, Colombo, Greco, Boccassini, Ielo e a tanti altri magistrati italiani: che, insomma, i ladri di Stato venissero finalmente trattati come gli altri. È noto che Sofri - per comprensibili motivi personali e per le sue vecchie amicizie craxiane - abbia con la magistratura milanese un rapporto, diciamo così, problematico. Ma dovrà farsene una ragione: il padrone d’Italia nonchè suo editore a Panorama e al Foglio, nonostante gli sforzi, non è ancora riuscito a spegnere in molti italiani l’idea che chi sbaglia deve pagare e che la legge è uguale per tutti

Marco Travaglio
Fonte: www.unita.it
28.07.06
Visto su: http://www.biraghi.org/

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