Proposta di legge dell'on. Donatella Poretti, della Rosa nel Pugno
Riportiamo il testo della relazione che presenta la proposta di legge, il
cui articolato puo' essere consultato a questo indirizzo:
01/09/2006 Modifiche e Aggiornamenti alla Legge 184/1983 in Tema di Adozioni Onorevoli deputati!
La presente proposta di legge e' elaborata in collaborazione con l'Aduc...
MODIFICHE E AGGIORNAMENTI ALLA LEGGE 184/1983 IN TEMA DI ADOZIONI
Onorevoli deputati!
La presente proposta di legge e' elaborata in collaborazione con l'Aduc
(associazione per i diritti degli utenti e consumatori).
L’art. 6 della legge 184/1983 indica i requisiti necessari per adottare un
minore. Il primo di essi si identifica nell’esistenza di una coppia
matrimoniale e nella stabilità della stessa.
Il legislatore, anche con le modifiche del 2001, volendo continuare a
realizzare, con l’adozione, il modello di rapporto naturale che pone il
minore in relazione con un padre e con una madre, a sua volta uniti tra loro
da un vincolo forte e chiaramente identificabile, ha ritenuto indispensabile
la presenza di una coppia unita in matrimonio.
Questo indirizzo va contro l’orientamento, oggetto in passato di ampio
dibattito e recepito da convenzioni internazionali, secondo cui l’adozione
dovrebbe essere consentita anche ai singoli. Il riferimento, in particolare,
riguarda l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, resa
esecutiva in Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357, che prevedeva
l’illimitata possibilità della persona singola di adottare un minore.
L’argomento fu oggetto di una celebre causa, promossa dall’attrice Dalila Di
Lazzaro, che si svolse in più fasi, con intervento della Corte
Costituzionale e decisione finale, negativa per l’istante, della Corte di
Cassazione (21 luglio 1995, n. 7950).
In occasione della riforma del 2001, la discussione, in sede parlamentare,
piuttosto che il diritto dei singoli, ha avuto ad oggetto la possibilità di
adozione per le coppie di fatto.
La tesi secondo cui le più ampie garanzie per il minore adottando sono
fornite da una coppia che abbia assunto pienamente gli obblighi e le
responsabilità familiari, contraendo matrimoni, è risultata ancora
prevalente.
Si è detto che la coppia matrimoniale è quella che fornisce le maggiori
garanzie di stabilità e che la Costituzione, affermando che la famiglia è
una società naturale fondata sul matrimonio, continua ad indicare una netta
preferenza per tale modello, con la conseguenza che esso deve essere
preferito anche in sede di adozione, dovendo essere perseguito, nell’ambito
di tale istituto, il fine di dare al minore privo di assistenza morale e
materiale la sistemazione migliore possibile. A nostro avviso, occorre tener
presenti due obiettivi, entrambi riconducibili all’interesse del minore. Da
un lato è necessario ampliare la platea dei possibili adottanti, specie in
relazione ai minori di età superiore a sei anni o afflitti da handicap,
dall’altro è opportuno por fine ai pregiudizi ed alle categorie astratte.
Se il Tribunale deve vagliare i requisiti di coloro i quali si propongono
come adottanti e, secondo la previsione dell’art. 22 comma 5, deve scegliere
quanti appaiono maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del
minore, non sembra opportuno porre ostacoli pregiudiziali sulla via di tale
indagine.
L’esame da svolgere in concreto costituisce la migliore garanzia ed ogni
prerequisito è potenzialmente idoneo a diminuire la capacità di realizzare
al meglio l’interesse del minore. Può esservi un singolo in grado di dare al
minore un apporto affettivo ed educativo maggiore di quello che può
normalmente fornire una coppia.
Ciò che si sostiene è che, se si reputa che i tribunali abbiano la
competenza per individuare, nel caso concreto, l’interesse del minore, è
opportuno lasciare che compiano la propria attività senza l’imposizione di
pregiudiziali ideologiche, quale quella secondo cui il doppio riferimento
paterno e materno è, ad imitazione della natura, non solo la soluzione
migliore, ma l’unica possibile, tanto da affermare che è meglio una “non
adozione”, cioè lasciare il minore in istituto o presso una comunità e
comunque non garantirgli i diritti ed il senso definitivo di identità che
l’adozione comporta, piuttosto che consentire che il rapporto adottivo sia
costruito con un singolo.
La Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 18 marzo 2006, n.
6078, nel rigettare la richiesta di adozione di una madre romena, avente la
doppia cittadinanza, nei confronti di una bambina già da lei adottata
secondo la legge di quel Paese, ha affermato che il legislatore:
“ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze,
tipizzate dalla legge o rimesse di volta in volta al prudente apprezzamento
del giudice, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione da
parte di una singola persona, anche qualificandola con gli effetti
dell’adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più conveniente
per l’interesse del minore”.
In data 20 aprile 2006, gli organi di stampa hanno dato atto di un
intervento del cardinale Martini. In particolare, il Corriere della Sera
l’ha così riportato:
Single e adozioni. Semaforo verde per i single in campo di
adozioni: in mancanza di una famiglia "composta da un uomo e una donna che
abbiano saggezza e maturità", anche "altre persone, al limite anche i
single, potrebbero dar di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei
perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è
la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina.
Lo scopo è di assicurare al massimo le condizioni favorevoli concretamente
possibili. Perciò quando è data la possibilità di scegliere occorre
scegliere il meglio".
In pratica, la nostra legge, dovendo adeguarsi alla Convenzione di
Strasburgo e ad altre convenzioni internazionali, dopo averle ratificate e
rese esecutive in Italia, ha adottato questo stratagemma: l’adozione dei
single è da noi consentita, ma nelle limitate forme dell’adozione in casi
particolari, di cui agli artt. 44 e seguenti.
Ma tali previsioni, se pur storicamente hanno il pregio di aver costituito
un primo passo nell’ampliamento delle categorie degli adottanti, devono
esser superate integralmente per dar spazio all’equiparazione integrale e
non discriminatoria delle coppie coniugate rispetto ad un single, o del
minore sano piuttosto che di quello handicappato. Il permanere di queste
distinzioni, infatti, non ha ad oggi alcun motivo di essere, e costituirebbe
una diabolica adozione “di serie B”, per questo non ulteriormente
accettabile nell’interesse del minore. Si tratta, infatti, dell’adozione
possibile per minori colpiti da handicap o comunque minori difficili, che
nessuno vuole.
Per costoro è stata proposta un’adozione non dignitosa, diversa da quella
ordinaria e, addirittura, revocabile!
Costituisce un atto di civiltà abolire tale tipo di adozione e, se si
ritiene che i single possano dare il loro contributo, adottando anche i casi
difficili, consentire ad essi di farlo in modo chiaro e pieno, con
un’adozione non diversa da quella applicabile alle coppie “normali” ed ai
bambini “normali”.
Dunque, la nostra proposta abroga (art. 18) definitivamente ogni distinzione
fra adozione di minore sano piuttosto che di un minore affetto da handicap,
estende la possibilita’ di adozione per le persone singole, cosi’ come anche
per le coppie di fatto che convivono stabilmente e continuativamente da
almeno tre anni, e che fanno parte del medesimo nucleo familiare. Quest’ultima
previsione (art. 2) si rende del resto agevole con la precedente riforma che
ha consentito alle coppie intenzionate all’adozione (che si trovano nella
condizione appena descritta) di sposarsi anche poco prima delle pratiche.
Cosi’ facendo il legislatore ci consente oggi di intervenire con la nostra
proposta a giochi gia’ fatti, dal momento che e’ gia’ pienamente
riconosciuta la validita’ legale dello status di coppia di fatto. Non
riteniamo che ci siano ragioni per pretendere, nella medesima situazione, a
parita’ degli impegni assunti, la celebrazione del matrimonio come
presupposto giuridico necessario all’adozione.
La nostra proposta tenta anche di snellire i tempi del procedimento di
adozione, dimezzando (art. 5, 10) i termini previsti per il compimento delle
indagini sulla idoneita’ adottiva e l’eventuale sua proroga, cosi’ come
alcuni tempi di trasmissione delle relazioni degli assistenti sociali al
Tribunale per i Minorenni. All’art. 7, si propone la modifica da sessanta a
trenta giorni per la fissazione delle udienze di discussione degli eventuali
appelli e ricorsi per Cassazione.
Una ulteriore modifica e’ proposta all’articolo 9, laddove si consente
all’adottato divenuto maggiorenne di prendere visione degli incartamenti
relativi alla sua famiglia d’origine, salvi gli effetti del diniego di
autorizzazione da parte del genitore biologico. Attualmente, infatti e’
consentito solo al maggiore di anni 25.
Infine, si propone di abrogare l’iniqua e incostituzionale differenza fra
uomo e donna di trasmettere il proprio cognome al figlio adottivo. E’
previsto infatti, all’articolo 20, in caso di adozione disposta nei
confronti di una coppia, indipendentemente dal fatto che sia unita in
matrimonio o meno, che la stessa, di comune accordo, dichiari al Tribunale
per i Minorenni ovvero all’Ufficiale di Stato Civile quale dei due cognomi
intende trasmettere all’adottato, ovvero se intenda trasmetterli entrambi e
in quale ordine. In caso di disaccordo fra i genitori adottivi, l’adottante
acquista il cognome di entrambi in ordine alfabetico.
I restanti articoli della proposta mirano solo ad adeguare il corpo della
normativa gia’ esistente alla scelta di estensione dell’adozione per i
single e per le coppie di fatto, prevista all’articolo 2.
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