Nella giornata di martedì scorso è uscita, inattesa e a mezzo stampa, la
bozza più recente della finanziaria in divenire, a tre giorni precisi dal
Venerdì (nero?) in cui verrà infine varata: il che ha scatenato ire a destra e a
manca. Tagli, rigore, ancora tagli per Istruzione, enti locali, previdenza
sociale. Quasi tutte le segreterie dell’Unione si sono dette allarmate e, per
motivi opposti, la stessa reazione è venuta dalla Casa delle libertà. Su tutti
poi ha svettato lo scudo unico e trino della ritrovata unità dei sindacati
confederali, che hanno subito minacciato lo sciopero generale, mentre il
sindacato di base con Bernocchi (Cobas) ha persino dato il via allo sciopero
della fame.
Pare che il walzer dei tagli, direttore d’orchestra Padoa Schioppa, suoni
ormai come una melodia stridula per le orecchie di molti. Va però detto che la
stessa bozza è stata successivamente sconfessata come inattendibile dal ministro
Fioroni e da una nota del ministero del Tesoro, mentre Prodi ha dichiarato di
stare lavorando per raggiungere il massimo del consenso intorno alla prossima
finanziaria. Ma perché è uscita questa bozza, e così approfondita, allora? Per
bruciare una finanziaria di questo segno politico o per tastare il terreno delle
parti sociali?
Come che sia, l’abolizione dell’Inps, e la scelta di unificare gli istituti
previdenziali ha provocato il niet del ministro del lavoro Cesare Damiano, i
tagli agli enti locali hanno allarmato Leonardo Domenici, presidente dell’Anci
(Associazione Nazionale Comuni d’Italia), ma soprattutto è il mondo intero della
scuola in subbuglio. Si parla di riduzione del numero di insegnanti (ivi
compresi quelli di sostegno), di riduzione del numero di classi e dimezzamento
degli scatti d’anzianità. La Flc Cgil insorge: “Macelleria sociale”, mentre la
Cisl scuola sta sulle note del “neanche il peggior governo di destra”. Su tutto
regna la confusione più assoluta, e la situazione non è proprio ottima, mancando
ormai pochi giorni alla data fatidica in cui una finanziaria, quale che sia,
dovrà pur essere varata.
Di certo ormai c’è che la sinistra radicale ha definitivamente ceduto non
solo sulla proposta di spalmare il debito su due anni, ma anche sulla stessa -
fino ad ora contesa - entità della manovra, che sarà, è ormai chiaro, sui 30
miliardi. Resta da stabilire quanti di questi miliardi verranno dai tagli alla
spesa pubblica. Così il ministro della solidarietà sociale Ferrero, in quota Prc,
constatato che ormai la linea decisa è quella più rigorosa possibile, chiede che
tale rigore “lo paghino quelli che non lo hanno mai pagato in questi anni”, con
evidente riferimento al blocco sociale favorito dalla legislatura berlusconiana.
Quindi, propone Ferrero, “aliquote al 45% per i redditi annuali superiori ai
70.000 euro”.
Il centro-destra, dal canto suo, si domanda retoricamente dove verranno presi
questi soldi e si risponde: con una stangata fiscale per gli italiani. Ed ecco
pronti i “girotondi” di destra in tutte le migliori piazze, fino ad ora da loro
detestate. Sono i caroselli tricolore di An e alleati, salvo la solita Udc che
anche qui si smarca dal resto dell’opposizione.
Se sulla politica estera dell’Unione la Cdl non ha potuto mettere in crisi
l’esecutivo, è allora sulla politica economica che si concentreranno tutti gli
attacchi. La “sinistra delle tasse”, e Visco il vampiro del fisco, sono
certamente slogan dalla forte ricaduta su quella metà di italiani che non ha
accordato il proprio consenso al centro-sinistra nelle passate elezioni.
Tuttavia, e questo è un serio problema, l’esecutivo sta alienandosi le
simpatie persino del suo elettorato, qualora riconfermasse la logica dei tagli
alla spesa sociale. Vale per i Ds, da cui la Cgil si sta allontanando sempre
più, non essendo più disposta a fare da sindacato-cinghia di trasmissione in un
contesto così impopolare per i suoi stessi iscritti, e vale per una sinistra
radicale che sulla riuscita del secondo governo Prodi ha investito tutta se
stessa, a costo di svolte e strappi. A questo punto sono in molti a domandarsi
quante riforme porti davvero in grembo questo riformismo moderato, base
ideologica del futuro Partito Democratico, per come si è delineato fino ad ora.
Possibile che una politica economica venga pensata soltanto attorno al
problema, pur evidente, del deficit pubblico? Possibile che a fronte di tagli
che sarebbero compresi se fatti ai settori più burocratici e parassitari del
sistema, non corrispondano altrettanti investimenti a settori da cui dipenderà
il futuro della nazione in termini di produzione della ricchezza? D’altronde era
questa la logica propugnata da Prodi nel salottino di Bruno Vespa, davanti a
nani e ballerine che lo intervistavano, quando gli si domandava quale sarebbe
stata la sua futura linea politica in caso di vittoria alle elezioni. E, per
ultimo, era davvero necessario darsi un ministro dell’Economia come Padoa
Schioppa, figura eminente del mondo dell’accademia, che pare essere stato
direttamente pescato dall’organigramma del fu governo Crispi, così tecnico, così
banchiere, e dedito solo a “far cassa” nei tempi più stretti possibili?
Siamo così passati dalla politica aziendalista e creativa del governo
Berlusconi, a quella ragionieristica dell’attuale esecutivo. Il passo è stato
davvero breve, mentre a mancare, ormai da molti anni, sono le gambe della
politica, intesa nella sua migliore accezione, cioè di visione d’insieme del
futuro di un Paese. E poi azione. Non é per questo che eleggiamo e paghiamo i
nostri politici?
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29/09/2006 Varata la Finanziaria da 33,4 mld
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