La solidarietà a Cuffaro da parte dei nostri dipendenti è
oceanica. Oggi a lui domani a me? La solidarietà diventa automatica, un riflesso
di Pavlov. Un istinto di sopravvivenza. Le toghe sono sempre rosse.
O di sangue, o perchè emettono le sentenze. E' un mondo, quello della politica,
in cui solo chi è ricattabile è al sicuro. Non è pericoloso per
gli altri. Non può denunciare. Il politico ricattabile è tenuto all'omertà.
Il problema non è Cuffaro in sè, non è nè il primo nè l'ultimo a essere
condannato. E' grave il silenzio delle istituzioni, che stanno abdicando al loro
ruolo di garanti della giustizia e dell'ordine sociale. Se uno
che ha preso cinque anni può continuare a fare il presidente di Regione, tutto
diventa lecito.
Antonio Di Pietro mi ha inviato una lettera con cui ha chiesto
a Romano Prodi di far dimettere Cuffaro in quanto la legge lo
prevede e il Presidente del Consiglio può farla applicare. Prodi lo faccia, se
esce di scena sarà almeno ricordato per un atto di giustizia.
"Al Presidente del Consiglio dei Ministri On.le Prof. Romano PRODI
Come Ti è noto, il 18 gennaio scorso il Tribunale di Palermo ha pronunciato
sentenza di condanna per favoreggiamento e rivelazione
di segreto nei confronti del Presidente della Regione siciliana.
I fatti addebitati al Presidente Cuffaro ed accertati dal Tribunale con la
sentenza di primo grado, emergono nella loro estrema gravità, non solo per come
attestato dalla pesante pena irrogata (cinque anni di reclusione e
interdizione perpetua dai pubblici uffici), ma soprattutto in quanto si
tratta di comportamenti di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio su
indagini riguardanti affiliati mafiosi. Al riguardo mi preme sottolineare due
considerazioni.
In primo luogo, la condivisione sulle modalità per intervenire sulla vicenda,
facendo puntuale applicazione di quanto già l’ordinamento vigente impone.
Infatti, al riguardo, l’articolo 15, comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n.
55, prevede la sospensione di diritto, anche in caso di
condanna non definitiva...
Come è noto, il percorso istituzionale prevede che il Presidente del Consiglio
dei Ministri, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro
dell’interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione.
Tale esito discende, per fatti di gravità acclarati, dall’esigenza di
garantire la tutela dell’interesse pubblico, leso dalla permanenza in
carica e dallo svolgimento delle relative funzioni istituzionali da un soggetto
rispetto al quale è stato accertato il venir meno di un requisito essenziale per
continuare a ricoprire un ufficio pubblico elettivo. Ma, soprattutto, mi preme
mettere in evidenza una seconda considerazione.
Come Ministro della Repubblica, e soprattutto come cittadino, sono sconcertato
dalla reazione che ha caratterizzato il comportamento del Presidente della
Regione Sicilia rispetto alla sentenza che lo ha condannato e che, a chiunque
abbia dignità e rispetto verso le istituzioni, avrebbe dovuto suggerire soltanto
di prendere la decisione di dimettersi...
Ritengo che il Governo non possa rimanere inerte rispetto alla vicenda in
questione e che sia indispensabile l’adozione di misure concrete, in conformità
a quanto previsto dall’ordinamento, volte ad assicurare il primato della legge
ed il pieno rispetto del principio di legalità, restituendo, in tal modo,
credibilità ed autorevolezza alle istituzioni dello Stato...
Si tratta di un adempimento doveroso, per il rispetto che tutti
dobbiamo alle istituzioni e alla legge. Ma, ancora prima, per il debito morale
che ancora dobbiamo saldare con le tante, troppe vittime della mafia e con i
loro congiunti...
Mai come in questa vicenda l’esigenza di fare, e far presto, costituisce la
doverosa forma di adempimento della legge che deve distinguere una classe
dirigente degna di questo appellativo da una solo ipocrita e meschina.
Sono convinto che non sei sordo a queste esigenze, e in maniera condivisa
sapremo esprimerne la risposta più convinta e degna del rispetto che si deve a
chi ha preferito sacrificarsi alla mafia, più che rivelarle
segreti d’ufficio." Antonio Di Pietro
23/01/2008 Leggi la lettera di licenziamento
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