In vent’anni nulla è cambiato sul
fronte delle infezioni ospedaliere: il 6,7% dei ricoverati si ammala oggi come
ieri.
Eppure, per diminuire i rischi, basterebbe già che medici e infermieri si
lavassero più spesso le mani e che gli antibiotici fossero utilizzati con più
cautela.
A rivelarlo è “Inf Nos 2 2002-
2004” , presentato ieri a Roma: si tratta del più grande
studio di prevalenza condotto in materia dopo lo studio multicentrico “Info Nos
1” del 1983.
Realizzata con la consulenza scientifica dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di
Roma e finanziata dalla multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline (che ha
messo a punto una brochure e un software per la raccolta dati), l’indagine ha
coinvolto 300 reparti di medicina, chirurgia e terapia intensiva di 40 ospedali
italiani, per un totale di circa 13.000 pazienti. Che sono stati “fotografati”
in quattro giornate nell’arco dei tre anni considerati.
I risultati sono allarmanti: ogni anno le 450-700 mila infezioni contratte
dai degenti provocano dai 4mila ai 7mila decessi.
Un’ecatombe simile a quella causata dagli incidenti stradali. Con un costo
sociale stimabile intorno ai 100 milioni di euro.
Due le malattie cui i pazienti sono più esposti: polmoniti e infezioni del
tratta urinario. Se queste ultime sono legate al prolungato uso del catetere, la
diffusione della polmonite si spiega con la particolare vulnerabilità dei
degenti, sempre più anziani e fragili. Molto dipende anche dal reparto: si passa
dal 5,5% di infezioni contratte in quelli di medicina al 34,2% delle unità di
terapia intensiva. E più alta è la durata della degenza, maggiore è il rischio
di essere colpiti da virus e batteri.
Preoccupante anche il dato sull’impiego di antibiotici: la terapia risultava
potenzialmente impropria per un quarto dei pazienti cui era stata somministrata
(il 46% del totale). Di contro, ben il 7,2% dei ricoverati affetti da
un’infezione ospedaliera, al momento della rilevazione, non stava assumendo
antibiotici.
“Occorre trovare le armi giuste”, commenta Giuseppe Ippolito, direttore
scientifico dello Spallanzani. A partire da accorgimenti che dovrebbero essere
scontati e non lo sono: “Pericolosissima è la cattiva abitudine dei medici di
lavarsi poco le mani”
Ma gli esperti invocano pure “un investimento organizzativo e tecnico”. Perché
occorre conoscere le aree critiche per ridurre i pericoli.
Un’esigenza urgente, anche alla luce di quanto sostengono i Cdc di Atlanta: il
30% delle infezioni ospedaliere è evitabile. In Italia, significherebbe salvare
ogni anno da 1350 a 2100 vite umane!
Archivio Malasanità
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