Le banche hanno deciso di dichiarare
guerra alla ‘costosa’ cartamoneta e di imporre agli italiani l’utilizzo
della moneta ‘elettronica’. Una operazione strategica che mira a convincere
gli italiani della ‘facilità’ e ‘convenienza’ dell’uso di carte di credito e
debito o di Bancomat per poter lucrare sulle commissioni e, nello stesso
tempo, abbassare notevolmente il numero di dipendenti nonché i costi di
assicurazione legati alla gestione del denaro. Una strategia nella quale le
banche sono supportate anche dalla tesi che i concorrenti europei non hanno
gli stessi costi perché nel resto dell’Europa e in molti paesi del mondo le
transazioni sono per lo più fatte con gli strumenti di pagamento
elettronici. E in questa vantaggiosa operazione, purtroppo, gli istituti di
credito hanno trovato l’appoggio della politica, e in particolare di alcuni
esponenti dell’attuale maggioranza, ritenuti vicini alla grande finanza
internazionale e più in generale al mercato bancario.
Secondo quanto scritto nella prefazione di Nerio Nesi al libro ‘Innovare,
competere e produrre’, edito dalla Nomisma, la società di studi fondata nel
1981 dalla Bnl, allora, a spingere per mettere alla presidenza dell’istituto
l’attuale presidente del Consiglio, Romano Prodi, fu proprio l’allora
direttore generale della banca, Francesco Bignardi, sostenuto anche
dall’allora governatore di Bankitalia, Carlo Azelio Ciampi. Già allora,
evidentemente, gli istituti di credito potevano contare sul fatto che il
Professore bolognese avesse un punto di vista non lontano da quello del
mondo bancario.
“Stiamo lanciando adesso una campagna contro il contante, che ha un costo
effettivo enorme per il sistema”, ha dichiarato il direttore generale dell’Abi
nel corso di un seminario a Gubbio, quantificando intorno ai 10 miliardi di
euro il costo complessivo per le banche legato “alla logistica del
contante”.
Secondo i dati dell’Abi in Italia il 90% dei pagamenti avviene in contanti
mentre nella maggior parte degli altri Paesi questa percentuale è
decisamente inferiore, come in Francia dove la quota si aggira intorno al
59%. Un ‘gap’ che le banche intendono a tutti i costi colmare, muovendosi su
diversi fronti con lo scopo di portare ad un “radicale cambiamento
culturale” che implichi il ricorso all’utilizzo delle carte di pagamento
anche per piccoli importi. “Non si capisce perché non si ritenga economico
pagare con la carta somme inferiori ai 50 euro”, ha dichiarato Zadra,
sottolineando che, una volta pagato il contributo annuale, il ricorso a
questo strumento è, a suo giudizio, “gratuito e sicuro”. Nel 99% dei casi,
ha aggiunto poi il direttore centrale Domenico Santececca, in caso di frode
l’uso di questi strumenti garantisce anche la restituzione delle somme.
Per invogliare gli utenti, l’Abi vorrebbe attuare dei meccanismi di
incentivazione, come la raccolta di punti-premio per i clienti privati che
spendono meno di 50 euro, contando sul fatto che, secondo una ricerca
condotta da Eurisko per Cogeban, già sette italiani su dieci possiedono una
carta bancomat e quattro su dieci una carta di credito. L’utilizzo di questi
strumenti, per prelevare dagli sportelli o per pagare acquisti con il
sistema Pagobancomat, è già in crescita anche se, rispetto ai desideri del
mondo bancario, è ancora inferiore alle possibilità offerte. Stando ai
risultati della ricerca, insomma, esistono 27 milioni di carte circolanti,
per un totale di 620 milioni di pagamenti e 610 milioni di prelievi l’anno.
Cifre non certo irrisorie se si considera che, da un parte, la quota
annuale, e dall’altra le commissioni che gravano sugli acquisti tramite
carta di credito. Commissioni che, teoricamente, gravano sul venditore ma
che, automaticamente, vengono scaricati sui prezzi finali all’utente. Nel
caso delle carte di credito, peraltro, non più tardi di 5 mesi fa
l’Antitrust ha multato il consorzio che gestisce il circuito Pagobancomat,
la Cogeban, per non aver ottemperato fin da ottobre 2005 alle condizioni
indicate per il sistema di ‘acquiring’, attuando cioè “un’intesa restrittiva
della concorrenza volta ad escludere il sistema di ‘acquiring’ multibanca”
dal circuito Pagobancomat. Con possibili effetti negativi sulla reale
‘accettabilità’ delle carte nei vari punti vendita ma con effetti positivi
per le banche che avrebbero visto crescere il numero di conti correnti e
delle carte di credito attivate.
Nel caso di alcune carte di credito, poi, lo stesso sistema di
individuazione della percentuale minima di commissione, più volte modificato
negli anni, è spesso pensato in modo da ‘fidelizzare’ il punto vendita che,
per potersi assicurare una commissione inferiore, concentra tutti i suoi
pagamenti su una o due carte, non accettando le altre. Ovviamente a
svantaggio degli cittadini che sono costretti ad attivare più carte di
credito.
Ci sono poi altre due ragioni che spingono gli istituti di credito in questa
direzione. Il primo è la necessità di entrare nei sistemi di pagamento
europei, realizzando il Sepa (Single Euro Payments Area-Area unica dei
pagamenti in euro), l’area unica dei pagamenti in euro di cui il maggior
utilizzo delle carte di pagamento rappresenta solo un tassello. Il secondo è
quello messo chiaramente in luce dall’Ugl: “Il crescente utilizzo di
‘Bancomat evolutivi’ sarà l’anticamera di una drastica riduzione
occupazionale- ha dichiarato ieri il segretario provinciale dell’Ugl Credito
di Roma, Massimo Bernetti. Per l’esponente dell’Ugl, “l’obbligo di operare
solo attraverso conti correnti con una ‘bancarizzazione legislativa’ dei
professionisti e lavoratori autonomi in genere” rappresenta una
accelerazione del “progetto avviato dalle banche, come Unicredit e Banca
delle Marche, per la collocazione dei Atm evoluti, capaci di effettuare la
maggiore parte delle operazioni, comunemente effettuate allo sportello” da
operatori che, così, saranno ridotti al minimo, minimizzando i costi della
manodopera e massimizzando il profitto.
Una strategia che, peraltro, vede la politica colpevolmente alleata alle
banche: “il perverso progetto bancario di contenere i costi della sicurezza
e del personale addetto alle casse - ha sottolineato Bernetti nel silenzio
di altri sindacati - sembra aver trovato un inaspettato sostegno nella
decisione politica di imporre l’uso univoco di mezzi di pagamento
elettronici, nel tentativo di combattere l’evasione”. “Abbiamo chiesto al
governo di diffondere il più possibile nei suoi uffici l’uso del Pos”, ha
infatti ammesso lo stesso Zadra.
La cosa, d’altronde, non può sorprendere: non più tardi di una settimana fa,
facendo le sue dichiarazioni di voto in Senato sulla Finanziaria, il
senatore di Noci (Fi) ha fatto un triste quadro della situazione: “Nel
degrado complessivo della vita politica italiana e quindi anche del tipo di
approccio che il centro-sinistra ha con la politica e con l’interesse del
Paese, tale schieramento si è trasformato in portatore e promotore degli
interessi del grande capitale finanziario, cioè delle banche. Basti pensare,
per esempio, che quando si è deciso chi scegliere come premier, i grandi
banchieri italiani, da Bazoli a Profumo, hanno versato l’obolo (il primo
stando in fila e poi, successivamente, ne hanno versati altri) per imporre
Prodi alla guida del Paese”. E Prodi, che ha definito “portaborse dei
banchieri”, “si è mostrato quanto mai disponibile”. Basti pensare ad alcuni
recenti eventi del risiko bancario.
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