L’euro
continua ad apprezzarsi nei confronti del dollaro e quota 1.40 è a un passo.
L’ apprezzamento della valuta europea è sostenuto da fattori ciclici ma
anche da fattori strutturali. L’indebolimento dell’economia Usa e il
concomitante irrobustimento della crescita in Europa sono i più rilevanti
fattori ciclici. Sul piano strutturale il processo di diversificazione delle
riserve di molti paesi emergenti alimenta la domanda della valuta europea a
sfavore della domanda di dollari. Il primo fattore alimenta il secondo ma
quest’ultimo segnala anche il progressivo rafforzamento del ruolo dell’euro
come valuta di denominazione delle transazioni commerciali e, sempre più,
anche di quelle finanziarie. Qualunque ne sia la causa il rafforzamento
dell’euro, nei confronti del dollaro ma anche delle valute asiatiche,
sopratutto yen giapponese e renminbi cinese, pone un serio
problema di competitività per le economie dell’area dell’Euro.
Il ruolo "residuale" della valuta europea Il Presidente Francese Sarkozy ha proposto di affrontare
questo problema chiedendo alla Banca Centrale Europea una politica di
indebolimento del tasso di cambio dell’euro. Ci sono diverse ragioni per
ritenere che si tratta di una richiesta sbagliata o addirittura
controproducente. In primo luogo occorre chiedersi in che modo la Bce
potrebbe mettere in atto una simile politica. Una politica di intervento sui
mercati dei cambi, un acquisto di dollari, avrebbe –come dimostra una
abbondante evidenza empirica- nel migliore dei casi un effetto limitato nel
tempo e nella dimensione, sopratutto se effettuata unilateralmente e in una
fase in cui i comportamenti di mercato vanno nella direzione opposta. Una
politica monetaria più accomodante, in un contesto di crescita elevata
avrebbe sopratutto l’effetto di alimentare aspettative di inflazione,
indebolire il quadro macroeconomico e in ultima analisi la crescita.
Tutto ciò non vuol dire però che non sia possibile o utile definire una
politica per l’euro. Ma per definirla occorre cambiare prospettiva. La
domanda rilevante non è se l’apprezzamento dell’euro danneggia la
competitività europea in questa fase ciclica ma, piuttosto quale ruolo debba
giocare l’area dell’euro nella gestione degli squilibri dei pagamenti
globali e nella ridefinizione della architettura finanziaria internazionale
per favorire gli interessi europei nel medio termine. Ciò che rende oggi
preoccupante la posizione dell’euro nel sistema globale è il fatto che la
valuta europea sta ricoprendo il ruolo di "valuta residuale" sulla quale si
scaricano le conseguenze dell’indebolimento delle valute degli altri
principali paesi. Il dollaro si indebolisce sotto la spinta del deficit
corrente degli Stati Uniti e della minore attrattiva per gli investimenti.
Le valute asiatiche si indeboliscono perché rimangono legate a quella
americana o la seguono da vicino. Si tratta di un quadro in cui prevalgono
scelte unilaterali e mancanza di coordinamento tra gli attori principali.
Tutto ciò non e nell’interesse dell’area dell’euro. Sarebbe nell’interesse
dell’area dell’Euro giungere a un accordo nel quale la Cina accettasse di
abbandonare il suo legame con il dollaro o, quantomeno, di adottare un
peg nei confronti di un basket che comprendesse dollaro ed euro. Sarebbe
nell’interesse dell’euro un rafforzamento della sorveglianza multilaterale
che fosse più efficace nell’accrescere il tasso di risparmio negli Stati
Uniti e l’assorbimento nei paesi ad elevato surplus (compresi i paesi OPEC).
Sarebbe nell’interesse dell’euro rafforzare nei fatti la sorveglianza
multilaterale sui tassi di cambio, anche grazie al nuovo mandato ricevuto di
recente dal Fondo monetario internazionale, per evitare che la svalutazione
del dollaro possa sfuggire al controllo e tradursi in una caduta violenta
della valuta americana.
Meno quote, maggior potere
Questi obiettivi sarebbero raggiungibili più facilmente se il peso
dell’area dell’euro nelle istituzioni internazionali fosse rafforzato.
Paradossalmente ciò richiederebbe una minore e non una maggior quota di
partecipazione nel
FMI e nella Banca Mondiale da parte dei paesi europei. Una singola
rappresentanza dell’Eurozona avrebbe infatti un peso inferiore a quello
cumulato dei paesi membri, ma avrebbe un peso molto maggiore a livello
decisionale perché permetterebbe all’Europa di parlare con una voce sola. La
pluralità di rappresentanti europei invece determina una difficoltà o
addirittura l’impossibilita a parlare con una voce sola senza la quale
rimane difficile influenzare la governance finanziaria globale. Se
ciò non avviene è perché i singoli paesi europei non sono disposti a
rinunciare alla loro piccola, ma alla lunga sempre meno rilevante, fetta di
potere.
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