E così il Festival ha scoperto l'impegno, come gli
intellettuali «engageè» anni '50, i Sartre, i Camus, i Pasolini. Amore non fa
più rima con fiore. Vi si canta la disoccupazione, la malattia mentale, la lotta
alla mafia. Il Manifesto e quella vecchia lenza di Sandro Curzi, un dì
stalinista della più bell'acqua vanno in brodo di giuggiole, vedono in Baudo il
leader di una sorta di «sinistra vocale». E l'ex Pippo nazionalpopolare, che si
dichiara «uomo di sinistra»(ma non è sempre stato un democristiano doc che anche
perché tale ha fatto carriera?) si prende tremendamente sul serio e parla di
deficit della classe politica cui pensa evidentemente d'esser pronto a
sostituirsi. E aggiunge: «Le canzoni raccontano il Paese meglio di qualunque
altra cosa».
Certo costoro sono anche abili nell'inventarsi ogni anno qualcosa per
costringere anche chi non ne avrebbe alcuna voglia a parlare di questa nullità,
di questo vuoto spinto, di questo concentrato di banalità e di volgarità che è
il Festival di Sanremo e il suo ancor più squallido «dopo Festival» dove
volteggia ed evoluisce un Piero Chiambretti che a cinquant'anni suonati crede di
poter fare ancora il «Pierino la peste» come quando ne aveva venti. Se c'è
qualcosa di particolarmente irritante è la banalizzazione e la
strumentalizzazione di problemi seri.
Dice Johnny Dorelli: «Le canzoni non risolvono. Ma arrivano diritto al cuore
delle persone». Già, ma come? La gente che si commuove, si estasia, applaude
perché un certo Simone Cristicchi canta la liberazione dai pregiudizi sui malati
di mente (ma non ci aveva già pensato Basaglia più di un quarto di secolo fa?) è
la stessa gente, che poi è quella dell'«aiutino», che quando un matto, liberato
o piuttosto lasciato allo sbando o sul groppone della famiglia, uccide i vecchi
genitori o affoga un bambino, è la prima a gridare allo scandalo.
Pippo Baudo leader dell'impegno e «uomo di grande cultura» come lo definisce
quell'altra testa pensante di Al Bano? Il fatto è che chi fa Televisione
confonde la potenza del mezzo con la propria. E il pubblico ci casca. Così
guitti che conducono programmi indegni del peggior avanspettacolo o giochi da
asilo, quelli che, ai tempi, il pomeriggio di Natale si affidavano al cugino un
po' scemo e goliardia perché tenesse buoni i bambini, diventano opinion makers.
E sono oggi la nuova, e vera, classe dirigente del Paese. Per rendersene conto
basta sfogliare il recente «Catalogo dei viventi», pubblicato da Marsilio, che
raccoglie i cinquemila italiani considerati «notevoli» in ogni campo.
I personaggi della Tv, si tratti pure di Luisa Corna, una che confonde il
docente di estetica Stefano Zecchi con un estetista (e allo stesso Chiambretti
sono dedicate pagine e pagine), fan parte del leone non solo a spese di attori
di cinema (quella gallina urlante di Simona Ventura ha dichiarato,
protervamente: «Un minuto di Tv vale un anno di cinema»), di teatro, di grandi
ballerini, di musicisti veri, ma anche di cinema, di teatro, di grandi
ballerini, di musicisti veri, ma anche degli imprenditori e degli stessi
politici, per non parlar degli uomini di cultura, dei romanzieri, dei letterati,
degli intellettuali, dei filosofi (Severino o Sgambaro o Veca vi hanno poche
righe) relegati nel ghetto dell'insignificanza.
E costoro non si accontentano più di autodefinirsi e di essere definiti
«artisti» (come Mozart o Dalì o Rimbaud), pretendono di dettare, oltre al
costume, le categorie sociali, politiche, etiche. Sanremo è la nuova capitale
d'Italia. Povera Italia. E povera Sanremo.
Massimo Fini
gazzettino.quinordest.it
Archivio Sanremo
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