Il settimanale The Economist ha recentemente dedicato la sua storia di
copertina al tema dell’invecchiamento, ben sintetizzando in uno degli
approfondimenti – dal titolo "Turning boomers into boomerangs" – qual è
il nocciolo della questione: le popolose generazioni del baby boom
cominceranno presto ad andare in pensione, e c’è il rischio che il mercato del
lavoro si svuoti. (1)
Il fenomeno metterà a dura prova la sostenibilità dei sistemi pensionistici e
sanitari, poiché il rapporto tra le persone in età attiva, che li
finanziano, e le persone più anziane, che ne sono tra le principali
beneficiarie, si sbilancerà fortemente verso le seconde. Ma anche il sistema
produttivo dovrà vedersela con un’offerta di manodopera ridotta e sempre più
sbilanciata verso lavoratori anziani. (2)
Le ragioni dell’ottimismo
In questo quadro, l’Italia ha la palma di "pecora
nera" d’Europa. In primo luogo, il processo di invecchiamento in corso è tra i
più rapidi tra i paesi sviluppati. Il tasso di dipendenza demografica –
il rapporto fra gli over 65 e le persone fra i 16 e i 64 anni – era del
28 per cento nel 2000 (contro una media europea del 18 per cento) e si prevede
che superi il 60 per cento entro il 2050.
A peggiorare le cose, in Italia pochi lavorano: meno di una donna su due e solo
un anziano (tra i 55 e i 64 anni) su tre. Come mostra la figura 1 solo Malta ha
un tasso di occupazione femminile minore dell’Italia, e il nostro paese risulta
molto lontano dal raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il
2010 (70 per cento occupazione totale, 60 per cento per le donne, 50 per cento
per i lavoratori anziani). L’Ocse prevede che per l’Italia il tasso di
dipendenza economica (rapporto tra popolazione inattiva e gli attivi) salga
nei prossimi due decenni da poco sotto il 100 per cento al 120 per cento (figura
2), per arrivare a quasi il 130 per cento entro il 2050. È molto istruttivo il
confronto tra Italia e Giappone: in questo paese infatti il processo di
invecchiamento è ancora più marcato che da noi, ma le proiezioni sulla
dipendenza economica rimangono sotto la media Ocse.
Eppure, ci sono ragioni per non essere così pessimisti. L’Economist fa
numerosi esempi di settori e imprese dove il problema dell’invecchiamento della
forza lavoro è stato affrontato con successo, e cita alcuni studi che mettono in
dubbio che ci sarà veramente una severa contrazione dell’offerta di lavoro. Ora,
nonostante sull’Italia l’opinione espressa sia meno generosa ("For Italy,
which has one of the lowest fertility rates in Europe and one of the lowest
average retirement ages, the demographic cliff is a precipice looming at its
feet"), anche da noi la situazione potrebbe essere meno critica di quello
che la maggior parte degli analisti si aspetta.
Il punto è che ci sono motivi di ritenere che la partecipazione al lavoro in
Italia sia così bassa per ragioni storiche contingenti, che hanno portato
negli ultimi decenni a un calo contemporaneo della partecipazione al lavoro dei
giovani e di quella degli uomini over 50, senza che questo sia stato
bilanciato dall’aumento (che pur c’è stato) nella partecipazione delle donne. I
giovani italiani di oggi partecipano meno che in passato perché (fortunatamente)
è aumentata la partecipazione scolastica. Gli anziani partecipano poco in parte
per il motivo opposto: molti non sono andati a scuola quando erano giovani,
hanno cominciato a lavorare presto, uscendo quindi presto dal mercato del
lavoro, anche in virtù di un sistema pensionistico particolarmente favorevole.
Inoltre, l’aumento nella partecipazione delle donne è limitato alle nuove
generazioni: molte donne che erano giovani 20-30-40 anni fa si sono dedicate
alla famiglia e si portano dietro ancora oggi la scelta iniziale di stare fuori
dal mercato del lavoro.
Estrapolare al futuro dati cross section, come fanno quasi tutte le
previsioni disponibili, impedisce quindi di tenere conto dei cambiamenti
socio-culturali e normativi.
In un modello sviluppato al Laboratorio Revelli su commessa del ministero del
Lavoro viene affrontato esattamente questo tema, prendendo in considerazione
oltre al cambiamento demografico (i) il trend verso una maggiore
scolarizzazione, (ii) il trend verso una maggiore partecipazione delle donne al
mercato del lavoro, e (iii) il cambiamento della normativa pensionistica che ha
spostato in avanti i requisiti per l’accesso alla pensione. (3)
Per poter gestire in modo coerente le carriere individuali, il modello è
stato costruito con una microsimulazione, in cui un campione di individui
rappresentativi della popolazione italiana viene fatto evolvere su base
individuale: ogni individuo cresce, va a scuola, cerca lavoro, accumula
anzianità e sceglie di andare in pensione secondo la normativa pensionistica
così come è stata riformata negli ultimi 15 anni, il tutto sulla base di
comportamenti specifici di coorte. I risultati del modello mostrano in effetti
un quadro più ottimistico: fino al 2020 sia il tasso di dipendenza economica
(figura 3) che la consistenza della forza lavoro (figura 4) dovrebbero restare
sui livelli attuali. Solo a partire dal 2020, quando la generazione dei
baby boomers comincerà ad andare in pensione, la situazione inizierà
seriamente a deteriorarsi, per giungere al 2050 a un punto comunque meno critico
di quello predetto dall’Ocse: 10 punti in meno nel tasso di dipendenza e circa 3
milioni in più di lavoratori.
Abbiamo quindi non più di quindici anni di tempo per fare fronte alla bomba
demografica, tenendo però conto che le cose non si aggiusteranno da sole: i
trend che spingono verso una maggiore partecipazione infatti non consentiranno
di raggiungere gli obiettivi di Lisbona (figura 5). Solo il tasso di occupazione
degli anziani, pesantemente influenzato dai cambiamenti normativi che imporranno
di lavorare più a lungo, riuscirà a raggiungere il target con un ritardo non
troppo severo (nel 2017 invece che nel 2010).
(1) The Economist, 18-24 febbraio 2006, p. 54.
(2) Cfr.
Commissione europea – Economic Policy Commettee, Working Group on Ageing,
Ocse (2004), Ageing and Employment Policies, vari paesi, e Ilo (2000),
Ageing of the Labour Force in OECD Countries: Economic and Social Consequences,
Employment Paper 2000/2.
(3) Cfr. R. Leombruni, M. Richiardi (2006), LABORsim: An
Agent-Based Microsimulation of Labour Supply. An application to Italy, "Computational
Economics".
Figura 1: Tassi di occupazione in Europa (fonte: Eurostat,
QLFD)
(a) Tasso di occupazione totale
(b) Tasso di occupazione femminile
(c) Tasso di occupazione degli anziani
Figura 2: Tassi di dipendenza demografici e economici nei paesi
OCSE
Fonte: Ocse (2004), Ageing and Employment Policies. Italy
Figura 3: Tasso di dipendenza economica, previsioni LABORsim
Figura 4: Consistenza della forza lavoro, previsioni LABORsim
Figura 5: Tassi di occupazione, previsioni LABORsim
(a) Tasso di occupazione, uomini, donne e totale
(b) Tasso di occupazione, lavoratori anziani
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