Ci sono due equivoci ricorrenti nell’ennesimo confronto sulla riforma delle
pensioni. Si sostiene che:
i) la riforma delle pensioni serve a ripianare l’attuale deficit di bilancio;
ii) sia meglio apportare comunque qualche ritocco piuttosto che lasciare
tutto com’è.
In verità la riforma delle pensioni serve soprattutto a ridurre il
precariato: è un problema gravissimo per i giovani, molto meno importante per le
casse dello Stato nel 2006-7. E l’esperienza della riforma Maroni-Tremonti ci
indica che un nuovo intervento approssimativo sarebbe esiziale. Se non si ha la
forza politica di completare il passaggio al metodo contributivo, meglio
piuttosto lasciare tutto com’è. Perché i ritocchi costano più dello status quo.
I conti del Civ
In questi giorni, a leggere i giornali e le dichiarazioni di molti leader
politici sembrerebbe che la riforma delle pensioni serva solo per ripianare
l’attuale deficit dell’Inps e migliorare il bilancio dello Stato quest’anno o il
prossimo.
Chi si oppone alla riforma chiama in causa i buoni dati sul gettito fiscale
nel 2006 e tenta ogni artificio contabile per mascherare il deficit dell’Inps.
Ad esempio, il Civ, Comitato di indirizzo e di vigilanza dell’Istituto, in un
suo recente comunicato celebra "lo stato di salute più che soddisfacente dell’Inps",
sostenendo che "i dati parlano chiaro: nei primi quattro mesi dell’anno,
l’avanzo complessivo è cresciuto di 287 milioni di euro". Qualche riga più
sotto, lo stesso comunicato, ammette che i trasferimenti dello Stato (di cui
solo il 7 per cento copre pensioni erogate dall’Istituto per conto dello Stato)
sono nel frattempo aumentati di 2.244 milioni. Come dire, che senza il
contributo statale, il disavanzo sarebbe cresciuto di quasi due miliardi,
raggiungendo la cifra record di 75 miliardi di euro. Il comunicato evita altresì
di menzionare le previsioni dell’Inps per fine anno che parlano di un aumento
della spesa di quasi 4 miliardi a seguito dell’incremento delle liquidazioni
delle pensioni di anzianità dei lavoratori dipendenti. Come può un organismo di
vigilanza celebrare il fatto di aver raggiunto un deficit pari al 5,5 per cento
del Pil? Ci auguriamo che il Civ rientri a pieno titolo nell’elenco degli enti
inutili da abolire che il Governo si è impegnato a stilare.
Le pensioni e il precariato
Ma anche chi sostiene la causa delle riforme si richiama spesso alla
necessità di rispettare i patti sottoscritti con Bruxelles per il bilancio 2007.
In realtà, la riforma serve soprattutto a impedire che un giovane che oggi entra
nel mercato del lavoro finisca, dopo 45 anni di lavoro (otto anni in più in
media di chi va in pensione ora), per ricevere una pensione inferiore al minimo
sociale.
È una questione di equità intergenerazionale e sostenibilità allo stesso
tempo. L’aliquota di equilibrio (il contributo che dovrebbe essere pagato per
azzerare il deficit dell’Inps) è oggi vicina al 45 per cento. Come si può a
chiedere a qualcuno di trasferire quasi il 50 per cento del proprio salario a
chi va in pensione a 57 anni, dopo 35 anni di lavoro, sapendo che lui stesso
percepirà una pensione, in rapporto all’ultimo salario, del 20-30 per cento
inferiore a quella del beneficiario del suo trasferimento?
Il costo dei ritocchi
Le pensioni sono in questi anni diventate una palestra per molti ministri. Le
riforme si fanno per esibire qualche muscolo. Ma si tratta di una materia
delicata. O si fanno le cose bene, o si rischia solo di procurare guai peggiori.
Pensiamo alla riforma Tremonti-Maroni. All’epoca, questo sito aveva
sottolineato il rischio di fughe verso le pensioni di anzianità. I ministri
coinvolti avevano reagito con toni sprezzanti, sostenendo che ciò non sarebbe
avvenuto perché avevano inserito nella loro riforma una "certificazione dei
diritti acquisiti". In verità, questo mostro giuridico (nessun governo potrà mai
impedire a un Parlamento sovrano di legiferare) è riuscito solo a incoraggiare
fughe in massa verso le anzianità. Nel 2006 si sono avute sin qui 203.357
richieste, 70mila in più dell’anno scorso, e si è stabilito un nuovo record: più
del 70 per cento degli aventi diritto ha fatto domanda, mentre in genere non si
va oltre il 50-60 per cento. Questo comporta, nell’immediato, un costo
aggiuntivo di circa 1 miliardo all’anno per le casse dello Stato e, nell’arco di
vita futura di questi "giovani pensionati", un costo attualizzato di circa 23
miliardi per le casse dell’Inps.
Ogni riforma mal congegnata, ne allontana altre. Una riforma graduale delle
prestazioni, come quella che avevamo simulato su questo sito, avrebbe portato in
questi due anni a risparmi di circa lo 0,15 per cento del Pil (circa 2 miliardi
sui tre anni 2004-2006), e, in valore attuale, un risparmio di circa 40
miliardi.
Si dirà che la riforma Maroni-Tremonti doveva portare risparmi soprattutto
dal 2008 in poi. Ma un intervento che in una notte aumenta di tre anni i
requisiti per andare in pensione non è politicamente fattibile e, non a caso, lo
"scalone" è stato derubricato dall’agenda politica. Il governo attuale sembra
intenzionato a introdurre, al suo posto, disincentivi per chi va in pensione
prima dei 60 anni e incentivi dopo. Questo porterebbe a risparmi minimi perché
da un lato si riducono (ben poco) le pensioni dei cinquantanovenni e,
dall’altro, si aumenta la spesa per i pensionati tra i 60 e i 65 anni. Inoltre,
anche questo confronto accentua il rischio di nuove fughe, cui contribuiscono
gli incitamenti dell’ex-ministro dell’Economia a lasciare subito il lavoro prima
di "finire nel tritacarne".
Si sente anche parlare di un trasferimento del Tfr all’Inps. È un’idea
vecchia, quanto perniciosa. Come già discusso su questo sito priverebbe i
giovani dell’opportunità di diversificare i rischi e di costruirsi una
previdenza integrativa con cui compensare la minore generosità del pilastro
pubblico e porterebbe a vantaggi solo nell’immediato per le casse dello Stato.
Abbiamo già chiarito quali sarebbero secondo noi i correttivi da apportare
individuando dieci interventi di immediata applicazione. Tra questi riteniamo
prioritari: l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione per tenere conto
della accresciuta longevità, l’introduzione di riduzioni attuariali per chi va
in pensione prima del raggiungimento dei 65 anni di età (sulla parte retributiva
della prestazione), accompagnata da una accelerazione del sistema contributivo,
lo smobilizzo immediato del Tfr nelle piccole imprese.
Ovviamente, un governo può avere idee diverse dalle nostre in merito e
proposte migliori. Ma la cosa importante è che non faccia una riforma tanto per
mostrare di saper (ri)toccare le pensioni. Qui gladio ferit gladio perit.
Allegati
Comunicato Inps
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