Continuano a tenere banco i possibili interventi sul sistema pensionistico
italiano. Ancora una volta, l'approccio e' quello sbagliato: sia politicamente
che sul piano piu' strettamente tecnico. Buona parte delle responsabilita' sono
da addebitarsi al sindacato che continua con un atteggiamento profondamente
conservatore a difesa, in primo luogo, della sua struttura.
Il sistema pensionistico italiano ha bisogno di una forte operazione-verita'.
I lavoratori che pagano i contribuiti ed i pensionati che riscuotono le
prestazioni sono troppo spesso vittime di una cattiva informazione. Espressioni
come “i soldi versati per i contributi pensionistici sono buttati via perche' io
non prendero' mai nulla” oppure “ho pagato fior di contributi ed ho una pensione
da fame” sono, solitamente, frutto di una mancata conoscenza dei numeri che sono
in gioco.
La cattiva informazione produce comportamenti controproducenti sia per il
singolo lavoratore (lavoro irregolare) che per il sistema complessivo (corsa al
pensionamento).
La prima cosa che il governo dovrebbe fare, quindi, e' quella di fare una
corretta informazione sui numeri in gioco sia a livello di singolo contribuente,
sia livello di sistema complessivo. Questa “operazione-verita'”, pero', non
verra' mai fatta perche' dovrebbe mettere in luce anche le profonde (e
diffusissime) ingiustizie del sistema.
Una fetta molto elevata degli attuali pensionati percepisce una pensione troppo
alta rispetto ai contributi versati. Questa semplice verita' non viene mai detta
dai sindacati. Il problema non riguarda solo casi vergognosi, come il
“vitalizio” dei deputati, ma e' generale e diffuso.
La riforma del sistema pensionistico dovrebbe basarsi su tre cardini:
1 - Liberta'. Ciascuno deve avere il diritto di andare in pensione quando vuole
ricevendo una pensione matematicamente collegata ai contributi pensionistici
versati (in base a calcoli attuariali che includano i fattori anagrafici e
demografici) a patto che la pensione risultante sia superiore all'assegno
sociale.
2 - Semplicita'. La normativa previdenziale, come quella fiscale, e' un dedalo
infinito di norme volutamente complesse nel quale il semplice lavoratore non
puo' districarsi se non con l'aiuto di un sindacato o di un professionista.
Basandosi sul principio di liberta' e' possibile (e necessario) sfoltire la
normativa attuale e permettere a ciascun lavoratore di conoscere i propri
diritti pensionistici senza affidarsi alla mamma-sindacato.
3 - Giustizia. E' indispensabile scindere le prestazioni assistenziali da quelle
previdenziali effettive coperte dai contributi. Le prime devono essere garantite
con la fiscalita' generale e non con i contribuiti previdenziali. E' necessario
sfatare il mito dell'intoccabilita' dei diritti acquisiti. Se tali diritti sono
profondamente ingiusti, in primo luogo devono essere pagati con la fiscalita'
generale e non devono gravare il sistema pensionistico pubblico. Di anno in
anno, si verifichi poi in finanziaria se ci sono i soldi necessari per far
fronte a queste uscite o se non sia piu' giusto destinare parte di tali risorse
alle prestazioni assistenziali.
Siamo convinti che se la riforma del sistema previdenziale pubblico venisse
affrontata con questi criteri: verita', liberta', semplicita' e giustizia, cosi'
come sopra sintetizzati, non solo l'equilibrio finanziario del sistema potrebbe
essere agevolmente raggiunto in tempi rapidi, ma tutto questo potrebbe essere
fatto con il consenso, non certo dei sindacati, ma dei lavoratori.
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