(1) Il petrolio è e resta una risorsa scarsa.
Come spiegatoci da Harold
Hotelling nel 1931 (Cfr. "The Economics of Exhaustible Resources"
in Journal of Political Economy), il prezzo di una risorsa esauribile è
destinato ad aumentare costantemente nel tempo in funzione della sua
crescente scarsità. Questo fatto non è certo di difficile comprensione.
Ovviamente non sappiamo quando esattamente le riserve di petrolio si
esauriranno, non sappiamo nemmeno quanto ampie esattamente siano, tra
accertate e presunte, e su questo punto il dibattito tra pessimisti e
ottimisti s’infiamma in tutte le occasioni come in quella attuale. Il
punto che va rilevato, tuttavia, e che a nostro modesto parere non è
stato ripetuto abbastanza, è che nel medio-lungo periodo il prezzo del
petrolio è destinato ad aumentare. Naturalmente, quanto appena detto non
implica che l’oro nero, toccati i 50 dollari a barile, non possa
scendere. Ciò è possibile, anzi probabile.
(2) Ciò che conta è il prezzo reale del
petrolio,
il suo prezzo rapportato al livello generale dei prezzi del paese
che lo consuma. Troppo spesso si fanno comparazioni con le quotazioni in
dollari di un barile di greggio a prezzi correnti. I livelli di prezzo
raggiunti durante il primo shock petrolifero del 1973-74, fatti i debiti
calcoli, equivalgono ad un prezzo oggi di circa 80 dollari, ben lontano
dunque dalle quotazioni attuali. Ancora più elevato in termini reali era
stato il prezzo del greggio durante la seconda crisi petrolifera, quella
della guerra Iran-Iraq del 1979-81. Quindi i prezzi attuali non sono
affatto senza precedenti, come scritto da alcuni.
(3) L’impatto degli aumenti del prezzo del petrolio
su inflazione e crescita economica,
si potrebbe riassumere nel seguente adagio: l’aumento del
prezzo del petrolio fa molto male all’economia, la discesa del prezzo fa
bene, ma non molto. Su questo si leggono in questi giorni molti numeri in
libertà sull’impatto. Ad esempio, il sottosegretario all’Economia Gianluigi
Magri ha parlato di una riduzione del Pil dello 0,3%, mentre il suo
collega, Giuseppe
Vegas ha posto l'accento, sulla base presumiamo, delle stesse
informazioni possedute da Magri, che i pericoli per la crescita sarebbero
minimi. Quel che conta rilevare è che sembra esserci un’asimmetria
negli effetti che variazioni del prezzo del greggio hanno sul PIL.
Diversi studi, nella maggior parte riguardanti gli Stati Uniti, ma anche
altri paesi, Italia inclusa, documentano che l’impatto negativo (sul
reddito) di un aumento di prezzo del petrolio è quantitativamente più
consistente dell’impatto positivo di un’analoga riduzione di prezzo.
Questa è una nota non piacevole ma importante per comprendere meglio i
meccanismi che legano le grandezze economiche in questione e soprattutto
per informare nel miglior modo le politiche a riguardo. Un altro
importante caso di (ampiamente) documentata asimmetria è quella che
contrappone il prezzo del greggio a quello dei carburanti, a cominciare
dalla benzina. Di questo aspetto i giornali si sono regolarmente occupati.
(4) La relazione negativa tra crescita economica e
prezzo del petrolio
(basso prezzo del greggio = elevata crescita, prezzo elevato =
crescita ridotta) è destinata a perdurare. Ciò avverrà fino a quando le
modalità di produzione e consumo saranno basate sull’impiego dei
combustibili fossili, petrolio in primis, che li rende beni necessari.
L’affrancamento dello sviluppo economico dal petrolio si avrà solo con
il risparmio energetico e soprattutto con la diversificazione verso fonti
energetiche alternative. Ma quel momento oggi appare ancora molto lontano.
(5) L’ambiente e la crescita del prezzo del
greggio.
In termini di minori emissioni di gas serra quali il CO2
il primo shock petrolifero ha fatto più di tutti gli altri provvedimenti
e comportamenti "virtuosi" che si sono susseguiti da allora.
L’aumento del prezzo del petrolio svolge lo stesso ruolo di una tassa
ambientale che ha lo scopo di contenere le emissioni dannose. Allora forse
l’altra faccia della medaglia di questi aumenti di prezzo sarà una
reazione favorevole all’ambiente: forse è una magra consolazione ma è
un aspetto da non dimenticare. Qui confessiamo di avere sentimenti misti
di fronte alla notizia che la Cina, così vorace d’energia in questi
tempi, diminuirà la sua domanda di greggio: la Cina ha, infatti, deciso
di costruire nuove centrali elettriche per una produzione pari a quella
dell’intera Gran Bretagna, ma saranno centrali a carbone, che non è
petrolio ma è notoriamente il più inquinante delle fonti fossili.
(6) Perché ridurre le imposte?
Allo stesso modo della tassa, pagare di più il petrolio fa sì
che chi inquina percepisca il costo della sua attività (ne "internalizzi"
il costo). In questa cornice va valutata la proposta di intervenire sulle
accise per mantenere il prezzo dell’energia, e dei carburanti in
particolare, allo stesso livello antecedente l’aumento. In realtà, nel
settore dei trasporti il maggiore prezzo del carburante serve a far pagare
l’inquinamento ed il congestionamento del traffico proprio ai
responsabili di tali effetti. Ancorché al margine, l’aumento del prezzo
di benzina e gasolio dovrebbe contribuire a spostare sul traffico
ferroviario parte dello scambio delle merci e ad adottare modalità più
efficienti di trasporto delle persone abolendo, ad esempio, i viaggi meno
necessari. E ciò con buona pace delle associazioni dei consumatori.
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