Nonostante le insistenze della sinistra radicale
sulla necessità di accelerare i tempi del ritiro dall'Iraq, soprattutto
dopo l'ultima tragedia ieri a Nassiriya, con tutta probabilità, il decreto
sul finanziamento del rientro dei soldati italiani dall'Iraq non sarà
all'ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri. Il
provvedimento del governo sul ritiro dall'Iraq, previsto dal programma
dell'Unione, verrebbe discusso dal consiglio dei ministri della settimana
prossima, dopo gli incontri del ministro degli Esteri Massimo D'Alema in
Iraq (domani) e negli Stati Uniti (con Condoleeza Rice, lunedì prossimo) e
dopo i colloqui del ministro della Difesa Arturo Parisi con i suoi
omologhi statunitense, Donald Rumsfeld, e britannico, Des Browne, a
Bruxelles, in occasione del vertice dei ministri della Difesa della Nato
l'8 e il 9 giugno.
Ancora dieci giorni di tempo, dunque, per l'avvio della discussione sul
decreto del ritiro delle truppe dall'Iraq, nella garanzia, rimarcata da
Romano Prodi nell'informativa alla Camera sugli avvenimenti di ieri a
Nassiriya, che la "tabella del rientro non cambia". "Aspettiamo con ansia
il decreto di rientro dei nostri militari", spinge in Aula il responsabile
Esteri del Pdci Jacopo Venier.
"Il ritiro deve essere immediato - sottolinea - potrà essere realizzato
in qualche settimana, un mese al massimo. E nel frattempo deve essere
chiaro che per il governo la missione in Iraq è conclusa". Il Pdci punta a
chiedere che nel decreto venga specificata una data precisa di rientro dei
soldati italiani, indicata in "agosto" tempo fa dal segretario Oliviero
Diliberto.
"Non c'è più altro tempo a disposizione per definire un calendario
certo", dice Paolo Cento dei Verdi. "Il governo deve predisporre in tempi
rapidi e in condizioni di assoluta sicurezza il rientro dei nostri
militari in Italia", sottolinea in Aula il segretario del Prc Franco
Giordano, specificando che l'intenzione non è quella di "abbandonare
l'Iraq", ma di "ricostruire una legittimità internazionale per la pace",
pensando anche a "interventi civili concertati con la comunità
internazionale".
Una futura partecipazione dell'Italia ad una missione civile decisa in
ambito internazionale è scenario indicato anche dallo stesso D'Alema, che
sta muovendo le pedine del governo italiano in modo da curare con la
massima attenzione i rapporti con gli altri paesi, europei e
d'oltreoceano. Al momento, comunque, resta certo il ritiro dei militari
per dare un "segnale politico di discontinuità" con le scelte del governo
precedente.
"Escludo ogni presenza militare perchè è incompatibile con l'impegno
preso con gli elettori", spiega il ministro Parisi, precisando che la
discussione su una eventuale missione civile non è ancora iniziata. Se la
sinistra radicale preme per 'incassare' al più presto un risultato che
comunque ritiene "certo", quello del rientro dall'Iraq, è sull'Afghanistan
che lo scenario appare più paludoso.
Prc, Verdi e Pdci (contrari fin dall'inizio ad 'Enduring Freedom')
insistono per una "ridiscussione" della missione italiana a Kabul,
mettendo in chiaro che nel dibattito con gli alleati la loro posizione
sarà, anche in questo caso, quella del ritiro. Nessun rischio che
sull'argomento possa 'cadere' il neonato governo Prodi, viene
sottolineato, ma l'intenzione della 'sinistra più a sinistra' è di
rivedere la missione a Kabul già nel decreto di rifinanziamento di giugno.
Una richiesta che però non figura nel programma dell'Unione e che
potrebbe quindi scontrarsi con la indisponibilità della parte riformista
della maggioranza a rimettere in discussione i termini della missione in
Afghanistan.
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