È da tempo che i rapporti tra i centristi dell'UDC e Silvio Berlusconi
si sono logorati. Già nell'ultimo periodo della passata legislatura erano emerse
tensioni tra l'allora Segretario Marco Follini e l'ex-Premier. L'UDC, nel
tentativo di salvarsi dal prevedibile esito negativo delle imminenti elezioni
politiche, chiedeva a gran voce discontinuità nell'azione di governo. Inoltre,
il fatto che Casini potesse essere uno scomodo concorrente alla leadership
berlusconiana, non poteva far altro che acuire i contrasti in una Casa della
libertà che, priva di qualsiasi strategia di lungo respiro, implodeva in un
fumoso vortice di polemiche. La sconfitta alle elezioni e la perdurante egemonia
di Berlusconi (dato che di successione alla guida della CDL non si parla
ancora come di un evento all'ordine del giorno) non ha certo consentito di
appianare le divergenze tra il Cavaliere e il partito di Casini, Cesa e Follini.
Anzi, da qualche giorno si è passati allo scontro aperto.
Marco Follini considera ormai conclusa la propria esperienza nel Centrodestra.
L'UDC faccia come crede, ma, qualora decida di restare all'interno della
CDL, potrà farlo senza il contributo del suo ex-Segretario. Anche Casini,
che di solito ha assunto toni più pacati nel manifestare la propria insofferenza
nei confronti della fallimentare leadership di Berlusconi, non usa più mezzi
termini, afferma di non voler morire berlusconiano e lascia intravedere un
percorso politico alternativo per sé e il suo partito. Casini si mostra
ugualmente deciso nel contestare il capo di Forza Italia che,
contrariamente a quanto aveva lasciato intendere fino a qualche giorno fa, ha
affermato di non voler votare a favore della missione italiana in Libano. A
questo punto, per l'ex-presidente della Camera, il problema della CDL
"non è un problema di persone, ma di sostanza" (la Repubblica, 10
settembre 2006).
La reazione nei confronti degli alleati riottosi non si è fatta attendere ed
è stata scomposta e confusa. Berlusconi, in occasione di un incontro promosso a
Gubbio da Forza Italia, ha dimostrato di non aver intenzione di passare
la mano (evidentemente, come ha affermato in un intervento in occasione del
recente Meeting di Comunione e Liberazione, è ancora convinto di essere
insostituibile) e ha cercato di ristabilire l'ordine nelle file di
un'opposizione ormai allo sbando e nella quale si rafforza sempre più l'intesa
tra la Lega e Forza Italia. Il già menzionato rifiuto di votare
per la missione in Libano la dice lunga sul senso dello Stato di Berlusconi, a
dispetto di tutti quelli che quotidianamente predicano il dialogo tra i due
schieramenti. Alla luce di queste considerazioni, sembra difficile dar torto a
Eugenio Scalari, che scrive: "L'incredibile non è quello che dice. L'incredibile
è che quest'uomo, questa barzelletta vivente, è stato per due volte presidente
del Consiglio e ci ha governato per un'intera legislatura" (la Repubblica,
10 settembre 2006). Si stenta anche a credere, aggiungiamo noi, che non fossero
in pochi coloro che da sinistra guardavano a Berlusconi come a un affidabile
interlocutore per le riforme istituzionali.
Se volgiamo lo sguardo nel campo dell'Unione si osservano altre
tensioni, acuite dalla discussione sulla manovra finanziaria. Il lessico
politico delle ultime settimane si arricchisce di altri due vocaboli, i
'rigoristi' e gli 'spalmatori'. I primi sono favorevoli a una manovra dura e
rigorosa che non escluda tagli sostanziosi alla spesa sociale. I secondi invece
chiedono maggiori tutele per la spesa pubblica e si spingono fino a proporre di
posporre il raggiungimento degli obiettivi di risanamento finanziario che il
Governo intende conseguire. Prodi sta cercando di mediare tra le parti e ha
assicurato che la politica economica del Governo sarà sensibile alle istanze dei
ceti meno abbienti. Eppure, lo scontro tra Fassino e Diliberto a proposito della
riforma del settore pensionistico (che, secondo il Segretario del PdCI
non rientrerebbe nel programma dell'Unione) sembra far prevedere
ulteriori polemiche a proposito di provvedimenti impopolari che difficilmente
potrebbero essere accettati dai Sindacati e dai partiti della Sinistra radicale.
A complicare la situazione della maggioranza si aggiunge l'uscita dall'Unione di
De Gregorio, il senatore dell'Italia dei Valori al centro delle cronache
politiche quando venne eletto alla Presidenza della Commissione Difesa grazie ai
voti della CDL. De Gregorio pare lontano dall'ipotesi di mettere in grave
difficoltà la tenuta della maggioranza al Senato passando nel Centrodestra (che
per lui sarebbe un ritorno, avendo già militato per lungo tempo nel partito di
Berlusconi) e ha dichiarato di voler lavorare all'ambizioso progetto di creare
le condizioni per la formazione di un ampio schieramento centrista che lavori
per le larghe intese nell'interesse del Paese. Come si sa, a un progetto del
genere non sono estranei Follini e non pochi dei centristi riottosi ancora
rimasti nella CDL. Torna a riproporsi la questione delle larghe intese e
della crisi del bipolarismo. Non è da escludere che la finanziaria possa offrire
l'occasione per eventuali allargamenti della maggioranza, le cui conseguenze
politiche produrrebbero conseguenze davvero devastanti.
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