Comunque vada diventerà ancora più marcato lo scollamento
della classe politica rispetto alla base dei cittadini. Questa sortita di
Turigliatto on. Franco, e Rossi on.Fernando della sinistra radicale che hanno
votato contro il governo rinfocola, meglio di ogni altra, nuove manovre di
palazzo, nuovi linguaggi cifrati. Rafforza e incoraggia la politica politicante,
mentre i problemi reali premono. E le soluzioni languono. Quel che lascia
sconcertati è che la decisione di proseguire l'operazione in Afghanistan oppure
di rimetterla in questione è vissuta come se non avesse nulla a che vedere con
quel che accade realmente in quel paese. Così pure la discussione sulle basi di
Vicenza che non è stata condotta con l'intento di capire l'uso che oggi, nel
2006-2007, Washington fa delle basi costruite in Europa durante la guerra
fredda, ma è diventata subito un affare ideologico interno, un'occasione per
verificare se la sinistra è restata comunista o no, se la destra è la vera
alleata dell’America oppure no. Questo accade perché a destra e a sinistra
abbiamo una classe dirigente restia non solo a “studiare” la politica estera, ma
perfino a coltivare curiosità per il mondo. Siccome le storie degli altri paesi
e l'influenza che esse hanno sullo scenario geopolitico non le vogliono
conoscere quindi non le sanno capire né contrastare. Tutto ciò ha avuto e ha
effetti nefasti: il disastro in Iraq, l'impossibile pace mediorientale,
l'incancrenirsi della missione afghana, il caos somalo sono il risultato di
questa cecità e di questa monotona fissità delle menti e dei dibattiti che hanno
portato alla crisi governativa di mercoledì 21 febbraio.
Molto vi ha influito l’offensiva mediatica che omette, inventa, amplifica a
seconda delle convenienze, delle richieste della committenza, delle attese del
mercato, sicché oggi in Italia si continua a parlare a vanvera di Afghanistan,
come ieri dell’Iraq. Potremo concludere che gran parte di quanto è stato detto e
scritto in Italia da sei anni a questa parte a proposito dei grandi temi della
politica estera, riletto oggi conferma la sentenza del filosofo Harry Frankfurt:
«Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di corbellerie (bullshits)
in circolazione». E’ una conclusione esagerata? Il giudizio lapidario del
filosofo sull’ Italia non calza? Se così è allora perché gli onorevoli
Turigliatto e Rossi non hanno spiegato al popolo di Vicenza cosa accadrebbe se
la Nato abbandonasse oggi l’Afghanistan. E quali rischi proietterebbe su tutto
il Medio Oriente un Afghanistan talibanizzato. Di converso ora la destra prima
di gioire sulle dimissioni di Prodi dovrebbe spiegare cosa ha prodotto
l’invasione dell’Iraq, di cui il Polo è stato un entusiastico sostenitore.
Bene ha fatto il presidente Napoletano, in visita a Bologna, a ribadire che le
manifestazioni di massa e di piazza «per quanto legittime e importanti» non sono
«la forma suprema della partecipazione e il sale della democrazia». Lo ha
sottolineato poco prima del voto al Senato che sanciva la sconfitta del governo.
Napolitano non ha fatto riferimento esplicito alla manifestazione di Vicenza,
tuttavia ha aggiunto che «questo vale per questioni e tensioni di carattere
sociale, come per controversie su temi ardui e cruciali di politica
internazionale e di difesa ». «Qualunque tema», ha ribadito il capo dello Stato,
deve «trovare la sua misura nelle istituzioni elettive». «Se si nega questo
ancoraggio delle istituzioni - ha avvertito - si può scivolare nella suggestione
della violenza come matrice delle decisioni invocate da aggregazioni e
mobilitazioni minoritarie». Su questa suggestione un certo mondo ci naviga non
dico che la fomenti, comunque ci spera.
Di certo l’affermazione di Bertinotti alla vigilia della manifestazione
vicentina, «se potessi sarei con voi» non ha giovato alle “istituzioni
elettive”. Sicuramente ha stimolato nuove illusioni peraltro nefaste perché
politicamente scorrette. Come quella che ho letto da qualche parte in cui si
sostiene che «mai come a Vicenza la lotta per la pace è diventata un motore per
la democrazia». Dimenticando che il pacifismo a Vicenza è ben diverso per
contenuti e per partecipanti da quello del 2002 che riempì le piazze di tutta
Europa e quelle d’Italia in particolare. Allora il pacifismo era mirato contro
la guerra preventiva di Bush in Iraq, aveva un obiettivo concreto e realistico,
sostenuto da un consenso popolare che aveva raggiunto il 90 per cento nei
sondaggi d’opinione europei. Invece -uso le parole di Scalfari- quello di
Vicenza «si ispira al vecchio slogan ideologico “yankees go home”, americani
fuori dalle balle. Possiamo organizzare cento cortei in altrettante città
italiane, ma se quello fosse lo slogan credo che non raccoglierebbe più del 10
per cento dei consensi e forse meno». (Repubblica 18 febbraio 2007).
Si possono condividere o no le coclusioni di Scalfari, ma da qui a sostenere
come ha scritto qualcuno che da «Vicenza dovrà partire la forza che ripulirà il
Paese», mi sembra davvero un insulto al buon senso delle persone. Perché si sa,
primo di scriverlo, che così non potrà mai essere, che comunque non ne
risulterebbe una società felice. La contestazione, anche la più esasperata deve
rimanere dentro il “sistema” senza aspirare a sostituirsi ad esso, deve essere
democratica e quindi a larghissima partecipazione, cioè non dovrebbe essere
promossa da gruppi di specialisti professionali della politica, ma dalle masse
le quali dovrebbero essere individualmente altrettanto coscienti ed edotte. Come
lo era la maggioranza degli individui che è sfilata a Vicenza. Certamente non
hanno marciato con i figli in carrozzella per ribaltare il governo. Come tutti
gli italiani di buon senso si aspettano da un governo democraticamente eletto la
soluzione dei mille e uno problemi che gravano sul Paese. Coraggio.
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