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22/02/2007 Un paese normale (Giovanni Gnazzi, http://www.altrenotizie.org)

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Questo non è un Paese normale. Se nel terzo millennio, Andreotti e un trotkista riescono a mettere in crisi il governo di un membro del G8, è chiaro che non siamo di fronte ad un paese normale. La sconfitta del Governo e della maggioranza sulla mozione sulla politica estera, se da un lato, costituzionalmente, non obbliga a nessuna dimissione dell’Esecutivo, dall’altro è ovvio che apre una crisi politica serissima: non si tratta di un voto negativo su un singolo provvedimento, bensì di un voto straordinariamente importante, dal momento che si trattava di valutare la politica estera, non una bubbola qualunque. E’ una sconfitta che ha molti padri ed una sola madre. Questa è una legge elettorale pazzesca, una “porcata”, com’è stata definita dal suo stesso autore in un raro momento di sobrietà di giudizio, concepita dal Polo con il preciso obiettivo di rendere instabile la maggioranza che l’avrebbe cacciato, così da ridurre la sconfitta ad ingovernabilità di tipo libanese. I padri, invece, sono variamente allocati nella sinistra cosiddetta “radicale” che, euforica per uno sbarramento elettorale ridicolo, ha candidato tutti e tutto, scegliendo in coerenza con la legge elettorale la via della competizione intestina voto per voto. Oliviero Diliberto ha scelto di candidare Fernando Rossi e Fausto Bertinotti ha scelto di candidare la pattuglia dei Turigliatto and &. I motivi sono da ricercarsi negli assetti interni di Pdci e Prc, destinati solo a rafforzare i centri di comando dei rispettivi segretari.

Lo stesso dibattito sulla politica estera, così come aveva chiesto D’Alema, avrebbe potuto aver luogo prima e non dopo Vicenza. Sarebbe stato tutto molto diverso. E lo stesso Prodi, che in beata solitudine da Sofia ha scelto di dire “si” all’ampliamento della base di Vicenza, seguito a poche ore da Parisi che, in altrettanta solitudine ha detto “si” al proseguimento della presenza in Afghanistan, hanno incanalato la discussione sulla politica estera in un binario morto. Binario dal quale la sinistra non è stata in grado di uscire, risultando incapace ad aprire una trattativa complessiva con il resto della coalizione. Comunque, oggi il voto d’aula dice che la maggioranza del Senato non condivide le linee di politica estera del Governo.

Ma forse, il problema non è solo la politica estera. Perché l’irresponsabilità politica di Rossi e Turigliatto, non è stata decisiva numericamente. Anche un loro voto positivo non avrebbe evitato la crisi, dal momento che la loro partecipazione avrebbe portato il quorum necessario a 161 voti, quindi impossibile da raggiungere senza il voto dei senatori a vita. Il punto, dunque, è capire perché il senatore Andreotti e Pininfarina, decidano di votare contro il governo.

Se non ci si vuole nascondere dietro ad un dito, bisogna ricordare a quali interessi rispondono i due senatori. Pininfarina è uomo di fiducia assoluta degli Stati Uniti, dagli anni ’60 ad oggi; Andreotti è uomo al servizio delle gerarchie ecclesiastiche, dagli anni ’40 ad oggi. E se non ci si vuole coprire dietro una rappresentazione farsesca della vicenda, non si può dare credito alle dichiarazioni del “divino Giulio” quando afferma: “Non credevo che il governo cadesse”. Nel merito, poi, non è certo sulla politica estera che Andreotti avrebbe potuto obiettare, dal momento che la linea scelta da D’Alema -amicizia con gli Usa ma indipendenza d’azione; collocazione stabile ma attenzione rivolta agli interessi nazionali - ripercorre molti dei sentieri di quella politica che proprio Andreotti ha aperto durante i suoi governi nella Prima Repubblica. E ancora: perché Andreotti – duro critico della politica estera berlusconiana – afferma di sentirsi indispettito dalla rivendicata “discontinuità” di questo governo?

Il nodo della questione è dunque qui. Andreotti e Pininfarina hanno scelto, deliberatamente, di mettere in minoranza il governo. Perché? Perché da un lato sono “particolarmente sensibili” agli interessi di Vaticano e Stati Uniti, cioè i due poteri critici nei confronti dell’operato del Governo. E, nel caso di Andreotti, far salire sul Colle Prodi con le dimissioni in tasca significa, essenzialmente, impedire il voto sui Dico, vero e proprio spettro d’Oltretevere. Il governo viene messo in minoranza proprio per evitare che si arrivi al ddl sulle coppie di fatto; disegno di legge che, dopo lo smarcamento di settori rilevanti del mondo cattolico, segna l’arretramento della coercizione vaticana sui cattolici e prefigura la conversione in legge di diritti che la gerarchia ecclesiastica vede come un attentato al suo potere d’influenza e d’interdizione, al suo condizionamento verso governi, parlamenti, società.

Detto questo, non si può comunque tacere che la caduta del Governo vede pesanti responsabilità anche nei due senatori “dissidenti”, che non potevano non cogliere la portata della manovra e quindi del voto e delle sue conseguenze politiche. L’allargamento della maggioranza sposta verso destra l’asse dell’eventuale governo. Non ci sono “equilibri più avanzati”, tanto meno soluzioni “in avanti” della crisi. Napolitano ha dato il via alle consultazioni, dalle quali emergerà che Prodi –ammesso che sia lui il candidato finale alla ricerca di una maggioranza – dovrà necessariamente incassare l’appoggio dell’Udc o, per lo meno, di Follini. Un appoggio che non sarà gratuito e disinteressato. Risulterà invece un ulteriore passo avanti verso l’assetto moderato del sistema politico e metterà, inevitabilmente, la sinistra di fronte al silenzio-assenso, davanti allo spettro di elezioni che verrebbero perse o, in alternativa, a governi istituzionali che dovranno preparare la riforma elettorale per portare il paese al voto e sancire, così, la sconfitta del centro sinistra con qualche mese di ritardo. Un quadro, insomma, che vedrà la fine politica della sinistra capace di governare e condizionare il fronte moderato, che esce vincente e che mette proprio la sinistra stessa in un angolo.
Proprio quello dal quale i “dissidenti” ed i gruppi dirigenti che li hanno espressi, ritenevano di poterla sottrarre.

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