L'unica
conclusione che si può trarre dalle voci e dalle indiscrezioni sul «nuovo
partito» di destra è che Silvio Berlusconi ancora una volta, come sempre, fa
affidamento solo su se stesso. È probabile che lo scoop della «Stampa» abbia
scompaginato un po' i suoi piani, ma di certo il leader della Casa delle Libertà
ha in animo qualcosa. Un colpo di scena, un gioco mediatico, un espediente
politico per rubare la ribalta a Prodi e Veltroni. In realtà ci sono almeno tre
buone ragioni per spiegare la spinta verso il «nuovo partito » o quello che
potrà essere.
In primo luogo c'è l'avvento del Partito democratico. Per quanto si tratti
ancora di una nebulosa poco definita, Berlusconi sente l'urgenza di rispondere
con un'iniziativa speculare. Sa che in ottobre l'attenzione sarà tutta per le
«primarie» del centro-sinistra e la successiva nascita del nuovo soggetto
«riformista». È necessario replicare allargando il consenso intorno al
centro-destra, recuperando il sostegno dei delusi (l'esercito
dell'anti-politica...), gettando un ponte verso le generazioni più giovani.
In secondo luogo Berlusconi non crede (o meglio: non crede più) alla prospettiva
di un «partito unico» negoziato con Fini e Casini. Per vari motivi, il suo
rapporto con gli alleati si è deteriorato. Negoziare con loro significa scendere
a patti, fare concessioni. E in qualche misura mettersi in discussione come «dominus»
incontrastato del centrodestra. Sia Fini sia Casini vogliono garanzie sulla
successione, desiderano almeno intravedere un percorso compatibile con le loro
ambizioni. Il leader invece, da autentico monarca assoluto, tende a scavalcare
gli alleati e a stabilire un rapporto carismatico con il popolo. Magari
attraverso i Circoli della Libertà. Ma non è detto: anche per altre vie. Purché
sia chiaro che il punto di riferimento resta lui, oggi e domani.
Sotto questo aspetto, la tentazione di creare un inedito movimento, inizialmente
a latere di Forza Italia, costituisce un gesto di insofferenza nei confronti
degli alleati. È chiaro che il leader vuole occupare tutti gli spazi dell'area
moderata, maggioritaria nel Paese. Ma vuol farlo alle sue condizioni, senza
delegare la rappresentanza del «centro» a Casini e senza pagare un pedaggio
politico ad Alleanza Nazionale. Ne deriva allora – ecco il terzo punto – che
Berlusconi ancora una volta punta su se stesso. Ritiene di avere la popolarità
necessaria a reinventarsi sul piano elettorale, tredici anni dopo la discesa in
campo del '94. Cosa si deve pensare di questa immensa autostima, unita alla
sottovalutazione degli alleati?
I sondaggi, a quel che se ne sa, invitano alla cautela. Sia An sia l'Udc, per
non parlare della Lega, restano essenziali per conquistare la maggioranza. E
nemmeno Berlusconi può ignorare la forza dei numeri. Però è anche vero che il
referendum elettorale è alle porte. Se passasse, la contesa diverrebbe molto più
che bipolare: quasi bipartitica. Il Partito Democratico veltronian-prodiano
contro Forza Italia, oppure un inedito agglomerato di centro-destra.
Un Berlusconi in grado di stringere un solido patto con Bossi potrebbe tentare
la sfida. Ecco perché sarebbe indispensabile presentarsi con una novità, un
colpo a effetto in grado di far sognare, soprattutto al Nord,l'opinione
moderata, diffidente verso gli eccessi fiscali e le regole «romane». Certo,
siamo d'estate: la stagione dei sogni e delle velleità. Ma una nuova stagione
politica è alle porte.
E non è strano che anche Berlusconi si prepari.
Stefano Folli - Il Sole24ore
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