"Tasse
più basse e trasparenti. Rivoluzione in dieci mosse", così titolava "La
Repubblica" di giovedì 30 agosto l'intervento di Veltroni sulla questione
fiscale. Al di là dell'iperbole giornalistica, si tratta di un documento a bassa
intensità tecnica che tenta di spiegare una politica non sempre divulgata e
sostenuta con la dovuta chiarezza da Governo e maggioranza. Molte omissioni, e
non pochi ammiccamenti, ma si può discuterne.
Con la richiesta di tributi "trasparenti" ci si pone su una strada di coraggioso
illuminismo, visto che per lunga tradizione internazionale i prelievi più facili
da applicare sono quelli opachi, ovvero quelli che i contribuenti pagano senza
accorgersene. Ma veniamo ai contenuti specifici del decalogo. Al numero uno
compare la promessa di riduzione della pressione fiscale in misura di due punti
del Pil del 2006, ovvero di circa 29,5 miliardi di euro. Nessuna obiezione di
principio, ma deve essere chiaro che è un obiettivo ambizioso. Per offrire
termini di paragone, si può ricordare che l'anno scorso il fabbisogno del
settore statale è stato pari a 34,6 miliardi e che la spesa per investimenti del
complesso di Regioni, Province e Comuni ha raggiunto i 22,8 miliardi.
Quanto al metodo verso un simile risultato, si prevede che esso sia raggiunto
"nel tempo" (campa cavallo?) e si pone l'ambigua, se non vacua, regola secondo
cui "ogni euro di nuova spesa corrente dovrà essere ricavato da un risparmio".
Riguardo alla spesa, si rende omaggio alle parole d'ordine del momento scrivendo
che i dirigenti pubblici andranno valutati mediante "misurazione dei risultati",
trascurando che questa è pratica che già dovrebbe essere in uso e che "i
risultati" tecnicamente in campi come la sanità e l'assistenza non possono
essere individuati se non a grandi linee. Tra le tante enunciazioni in tema di
spesa pubblica, il riconoscimento dell'importanza segnaletica e quantitativa
dello sfoltimento dei costi della politica non ci sarebbe stato male.
Al punto due, si riserva alla lotta all'evasione un riconoscimento non scontato
(a sentire certi discorsi che circolano al Nord anche in ambienti di
centro-sinistra) e si richiama la necessità di utilizzare i proventi
dell'evasione a vantaggio dei contribuenti onesti. Il Governo sembra orientato
nella medesima direzione, ma vedremo meglio nell'imminente prossima finanziaria.
Lo stesso può essere detto per il contenuto del terzo punto: semplificazione e
regime forfetario per le microimprese.
Al quarto punto, "mai e poi mai ... norme fiscali con effetti retroattivi".
Giusto, se non si sarà mai in situazioni di emergenza (vedi la finanziaria del
1992), e possibile, se la sedimentazione normativa non presentasse grovigli
imprevedibili. E poi attenzione perché il tema non è lontano da quello dei
diritti acquisiti, per esempio in materia previdenziale, che possono essere
interpretati in maniera non univoca.
Il quinto punto tratta della fiscalità della famiglia, con la richiesta, in
particolare, di un'imposta "negativa" tale da assegnare la somma di 2.500 euro
ad ogni figlio (anche di contribuenti incapienti ai fini Irpef). L'idea,
ovviamente, è giusta e opportuna ma essa implica non solo una riduzione di
gettito ma anche un aumento di spesa. Fatti i conti, non sarà che per sorreggere
il nuovo e più equo trattamento fiscale della famiglia venga buono il gettito
aggiuntivo connesso con un'eventuale tassazione delle attività finanziarie al
20%?
Sembra prossimo, già in finanziaria, uno scambio tra vari sussidi e incentivi
all'attività di impresa e imposta societaria (Ires). Al sesto punto del
documento di Veltroni si giudica positivamente tale ipotesi e si precisa anche
la correzione desiderata dell'aliquota Ires: cinque punti. Forse, da subito,
cinque punti in meno sono impossibili da accordare perché porterebbero ad un
mancato gettito più ampio della ventilata riduzione di spesa. Bisogna però
riconoscere che la riduzione dell'aliquota formale dell'Ires è una necessità di
sistema dato l'orientamento al ribasso, dell'aliquota dell'imposta sociatria,
che gli altri paesi stanno intraprendendo. (A destra come a sinistra, per così
dire, la discussione politica sull'aliquota dell'Ires sarebbe facilitata se si
tenesse a mente che essa viene variamente traslata vuoi sui percettori di
profitto, vuoi su salari e stipendi, vuoi sui prezzi dei prodotti.)
Non altrettanto condivisibile sembra essere quanto richiesto al punto sette:
ammortamenti fiscali di favore soprattutto per le attività di ricerca e sviluppo
delle imprese. Già oggi le imprese godono di generosi ammortamenti accelerati,
mentre i veri progetti di ricerca e sviluppo si conducono con ampio ricorso al
fattore umano. Gli stipendi dei ricercatori da un punto di vista economico sono
investimenti ma dal punto di vista fiscale sono spesa corrente, che in quanto
tale viene "spesata" nell'esercizio di erogazione (realizzando così una sorta di
ammortamento totalmente accelerato).
Ugualmente
non si può sostenere la richiesta, contenuta nel punto nove, di deducibilità
dell'Irap dall'Ires. L'Irap è un tributo regionale e, quindi, con esso entrano
in gioco i principi del federalismo fiscale che, per l'appunto, richiedono alle
imposte di un determinato livello di governo di non incidere sulle entrate
fiscali degli altri livelli di governo. Quanto contenuto al punto dieci, ancora
sul federalismo fiscale, non suscita particolare interesse perché fotografa
l'esistente. Appare invece promettente e impegnativo il punto otto, che parla di
restituzione del drenaggio fiscale e di altri possibili accorgimenti per
alleviare la questione salariale.
Riguardo all'aspetto della partecipazione dei lavoratori ai guadagni di
produttività aziendali, forse si potrebbe mettere allo studio l'introduzione di
una normativa, come quella francese, che rende i lavoratori necessariamente
partecipi dei profitti. Sfortunatamente, sebbene si riconosca che il prelievo
sul lavoro sia eccessivo, dal documento di Veltroni non ricaviamo specifiche
indicazioni su come superare il problema della copertura dei pur necessari
sgravi.
Complessivamente, l'intervento del probabile futuro leader del Pd trascura o non
sottolinea a sufficienza che il prelievo fiscale per essere meglio accettato
deve essere giusto, cioè ripartito secondo i canoni della progressività
richiamati dalla Costituzione. Ma è lontano dalla destra, che vorrebbe sempre e
comunque una riduzione della pressione fiscale per "affamare" lo Stato, essendo
una favola che solo dalla riduzione delle aliquote nasce per gli evasori
l'incentivo a pagare. Ancora una volta, a ben vedere, ci accorgiamo che la
politica fiscale non consente ricette a buon mercato.
Franco Osculati - aprileonline
14/09/2007 Archivio I costi della politica italiana
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