Troppi politici e con troppi benefits. Troppi ministri e
troppi ministeri, troppi tribunali e chissà, forse anche troppi giudici, a
cominciare da De Magistris. Troppi parlamentari, troppi comuni troppo piccoli,
troppe spese insomma. La sindrome del “troppismo” innescata da Grillo e dal
libro “La casta” sembra aver preso tutta la politica, che dopo aver cercato di
rigettare le accuse ora pare aver scelto la strada della virtù : tagliare spese
e privilegi, sforbiciare senza nemmeno inforcare gli occhiali. E il bello è che
a farlo stavolta non è Berlusconi, che confondeva spesso e volentieri interessi
personali con bene comune, bensì il governo di sinistra di Prodi e Padoa
Schioppa.
E stavolta a tenere in piedi il dissenso non la piazza, che presa in mezzo fra i
vaffanculo di Grillo e i media più interessati a cavalcare i malumori della
gente piuttosto che a cercare di interpretarli, protesta ormai a 360 gradi
mescolando pericolosamente insieme la sete di democrazia con la rivalsa
personale. Un brodo primordiale da cui potrebbe uscire tutto e il contrario di
tutto, dalle liste civiche dei grillisti alle liste chiaviche al servizio del
capopopolo di turno, e il bello è che nessuno si accorgerebbe della differenza.
A protestare davanti a questo agitar di forbici è restato il sindacato, e
nemmeno tutto il sindacato. Brutto segnale.
Intendiamoci, tagliare si deve e si può, ma DOPO aver ristabilito il giusto
equilibrio fra quella gran fetta del paese ( dentro cui, dice l’Istat, ci stanno
anche 7 milioni di indigenti) che ha stretto e continua a stringere la cinghia
per sopravvivere e il popolo dorato dei giocatori in borsa, dei ricchini dei
quartierini, che girano in Suv e se ne fregano delle multe, delle tasse e dello
Stato. A ben vedere, con l’evasione ancora galoppante lì in mezzo ci vai a
trovare anche gli incapienti a cui il governo vorrebbe riservare gli aiuti dei
tesoretti accumulati.
Così, prima di tagliare tribunali, ospedali, provincie e comuni diamo una vera
definitiva sforbiciata ai veri rami secchi. Tagliamo ad esempio i consigli di
amministrazione delle società che attraverso Sviluppo Italia hanno ricevuto
vagonate di euro per farsi i propri affari a spese del territorio di
riferimento; tagliamo le rendite, quelle vere, lasciando inalterati i bot per i
piccoli risparmiatori e abbassando gli interessi dei conti correnti su cui i
lavoratori dipendenti si fanno versare lo stipendio. Affiniamo il cuneo fiscale
anche dall’altra parte, non solo verso le imprese. Smettiamola con i bonus e le
una tantum per pensionati e bamboccioni troppo cresciuti da mammà, perché non è
con 300 euro l’anno che risolveranno il loro reale disagio. Il vero welfare,
quello sano, solidale e soprattutto duraturo e stabile, lo attui quando
costringi chi ha troppo a dare chi ha troppo poco, stabilendo regole chiare e
trasparenti per questo passaggio. Non si possono mettere ricchini e poveracci
insieme sulla stessa linea di partenza, non è etico e non è nemmeno produttivo.
E poi in questo gioco dei troppi bisogna andarci cauti, perché l’Italia non è
gli States ( dove per altro Bush ha negato l’altro ieri l’assistenza sanitaria a
10 milioni di bambini poveri). Per fare solo un esempio, vedo nascere ovunque
ipermercati da centinaia di negozi, le nuove cattedrali globali di questo
inquietante progresso. Hanno alterato il tessuto economico sociale, svuotando
paesi e periferie dei negozi e negozietti di quartiere, così oggi anche se devi
comprare una testa d’aglio sei costretto a prendere il carrello del
supermercato. Hanno alterato il mercato immobiliare facendo lievitare affitti e
costi degli appartamenti, anche se in zona mancano metro e farmacie. Hanno
influenzato il traffico attorno al punto che nemmeno a ferragosto trovi pace.
Eppure non trovi un politico, nemmeno quelli che parlano di sviluppo
responsabile, che alzi la mano in parlamento per ammonire sui rischi di questa
crescita senza controllo. Tutti pronti a volare alto quando si tratta di
condannare il globalismo indiscriminato, poi disattenti quando si tratta di
dargli un nome preciso. Fra l’altro nella stragrande maggioranza dei casi queste
sfavillanti commerciopoli con cupole dorate, tapirulà e milioni di vetrine pur
accorciando la filiera fra produttore e consumatore non accorciano i prezzi, e
così la forbice fra poveracci e ricchini aumenta. I ricchini poi, manco ci vanno
al supermercato.
Tagliare, tagliare, tagliare. Ma non ancora le rendite da capitale, e per ciò
che riguarda l’Irpef i redditi alti continuano ad essere favoriti. Tagliare, ma
non le spese militari : più di un miliardi di euro che se ne va ( 638 milioni
già erogati) nella commessa degli F35, i caccia americani che dovrebbero essere
pronti fra una decina d’anni. Aerei da guerra, concepiti per attaccare e non per
difendere il nostro territorio. Ognuno di essi già costa più di 50 milioni di
euro, però li si acquista senza battere ciglio e poi si fanno storie con i
sindacati che vogliono i lavoratori usurati in pensione anticipata.
L’Italia dei troppi errori, dei populismi di destra e di sinistra che
mortificano il paese che vorrebbe crescere sì ma tutto insieme, senza padanie,
senza parco buoi degli elettori, senza politici a vita e senza caste. La soglia
dell’indigenza italiana calcolata dall’Istat è oggi paurosamente simile allo
stipendio di un operaio, e superiore di molto alla paga di un qualsiasi giovane
precario. Questo vuol dire che Tommaso Padoa Schioppa – figlio anche lui, guarda
un po’, di Fabio Padoa Schioppa amministratore delegato delle Assicurazioni
Generali, quando ha parlato di bamboccioni forse pensava ai suoi figli, non a
quelli degli operai.
Stefano Olivieri- LibLab
http://www.liblab.it
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