Se in Libia sono molto preoccupati per il ritomo al governo
di Calderoli, in Italia va tutto bene. Digerita tra le ovazioni l'ascesa alla
seconda carica dello Stato di Renato Schifani, reduce da un'allegra vacanza con
Totò Cuffaro a Capri, ci si prepara serenamente alla lista dei ministri del
Berlusconi III.
Per un pelo, non s'è fatto in tempo a nominare il prof. Marcelletti ministro
della Salute: l'hanno arrestato prima. Era andata meglio al prof. Sirchia, prima
ministro, poi condannato. La categoria indagati sarà comunque degnamente
rappresentata. A parte il premier, imputato in 4 processi, ci sarà Raffaele
Fitto: la Procura di Bari ha chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione,
una stecca di 500 mila euro targata Angelucci. Dunque ieri, ricevendo una
scolaresca e mettendola in guardia dai pericoli del comunismo, il Cainano ha
comunicato ai pargoli che l'imputato Fitto sarà ministro degli Affari regionali:
infatti i pm lo accusano proprio di affari regionali (quelli nelle cliniche
convenzionate dalla Puglia). Un messaggio educativo.
Maroni, condannato per aver picchiato alcuni poliziotti, azzannando il polpaccio
a uno di essi, sarà ministro dell'Interno. E Matteoli, rinviato a giudizio per
favoreggiamento, avrà le Infrastrutture: infatti gl'indagati che avrebbe
favoreggiato erano molto attivi negli abusi edilizi all'Elba. Per la stessa
logica meritocratica, Stefania Craxi sarà sottosegretario agli Esteri al posto
del fratello Bobo: entrambi esperti di esteri, Hammamet e dintorni. Resta
vacante la Giustizia. Si era parlato di Pera, poi frettolosamente rimesso in
naftalina; di Giulia Bongiomo, che ha preferito dedicarsi al delitto di Perugia,
meno compromettente del governo Berlusconi; e di Claudio Scajola, avvantaggiato
dall'aver trascorso, negli anni 80, ben tre mesi in galera (poi fu assolto). In
fatto di edilizia carceraria avrebbe garantito una competenza superiore a quella
del grossista di pesce nominato consulente da Castelli. Non se n'è fatto nulla.
Poteva andar bene Elio Vito, per via del cugino Alfredo, pregiudicato per
corruzione. Niente, andrà ai Rapporti col Parlamento. Resta Angiolino Alfano,
che ha il merito di arrivare dalla Sicilia. Sottosegretario alla Giustizia
dovrebbe essere l'avv. Giuseppe Consolo, An, condannato in primo grado e poi
assolto per aver copiato monografie altrui. A proposito di via Arenula, circola
una leggenda: quella secondo cui i ministri della Giustizia sarebbero
perseguitati dai giudici. Parola di Mastella, il quale, uscito dal Parlamento,
dispensa pareri da vecchia gloria, come Bergomi e Altafini. «I miei guai - giura
- sono iniziati dal giorno in cui ho giurato». In realtà, quel giorno,
iniziarono i guai del governo Prodi e degl'italiani perbene.
Mastella lamenta che alcuni pm indagassero su di lui senza dirgli niente («può
essere mai che un ministro non sappia nulla di quel che sta per capitare a lui e
alla sua famiglia?»: ecco, dovevano avvertirlo in anticipo dei futuri arresti,
magari per aiutare gl'indagati a inquinare le prove). A suo dire, «il ministero
della Giustizia è una maledizione», come dimostrerebbero i guai capitati «ai
miei predecessori, da Martelli a Castelli», perché «i magistrati hanno il
desiderio di tenerti sotto controllo, insomma di condizionarti».
In realtà i guai di Martelli non dipesero dal fatto che fosse Guardasigilli, ma
dal fatto che prendesse le tangenti dalla Ferruzzi (Enimont), da Gelli e da
Calvi (Conto Protezione). I guai di Castelli, dalle consulenze regalate ai
grossisti di pesce. I guai di Mastella, dai suoi rapporti con faccendieri alla
Saladino e Bisignani e dai clientelismi in Ceppalonia. Nel frattempo furono
ministri della Giustizia Flick, Fassino e Diliberto, senza alcun guaio: non
violavano la legge. Ebbero guai, ma non con la giustizia, Conso, Biondi e
Mancuso. Il primo perché firmò il decreto sulla depenalizzazione del
finanziamento illecito dei partiti e Scalfaro lo boccò perché incostituzionale.
Il secondo perché abolì le manette per i ladri di Stato e i suoi alleati Bossi e
Fini lo scaricarono. Il terzo perché perseguitava il pool di Milano e la sua
maggioranza (centrosinistra più Lega) lo cacciò.
Nella Prima Repubblica furono Guardasigilli personaggi come Vassalli e
Martinazzoli: mai avuto guai. Forse perché non commettevano reati. Una razza
fortunatamente estinta.
di Marco Travaglio - da L'Unità del 07/05/2008
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