Oggi alle ore 14.00 Marco Travaglio ha inaugurato la rubrica "passaparola",
il suo appuntamento settimanale col blog.
Riporto di seguito la trascrizione della diretta video.
"Buongiorno a tutti. Iniziamo questo appuntamento settimanale. Sono un po'
inesperto in questa materia e quindi spero che la cosa venga bene, ma verrà
meglio nelle prossime settimane. Io vorrei sfogliare con voi i giornali della
settimana per mostrare quali sono i problemi che affliggono
l'informazione dei quali tutti noi, tutti voi credo, siamo molto
preoccupati. Parto da un caso che mi ha coinvolto ma che, in realtà, non è il
mio caso: si chiama "caso Schifani" anche se molti l'hanno
chiamato "caso Travaglio". Dieci giorni fa sono stato da Fabio Fazio a
raccontare alcune cose già presenti in alcuni libri mai querelati e in alcuni
articoli querelati da Schifani che però ha perso la causa
perché un giudice ha stabilito che tutto quello che aveva scritto di lui
l'Espresso era sostanzialmente vero, non c'era alcuna diffamazione. Quella sera,
come già mi era capitato sette anni fa quando ero andato a presentare un altro
libro nelle stesse identiche condizioni da Daniele Luttazzi, è intervenuta la
prima gallina che fa l'uovo, sempre in questi casi, cioè
l'allora ministro e ora capogruppo del Popolo della Libertà provvisoria
Maurizio Gasparri il quale ha dichiarato che ci sarebbero state delle
conseguenze politiche. Per un attimo mi sono domandato "fanno dimettere Schifani?",
in realtà volevano far dimettere me da non so cosa e far cacciare tutti i capi
possibili e immaginabili della Rai come se io avessi chiesto il permesso o
addirittura avessi ricevuto ordini dai capi della Rai, figuriamoci, per dire
quelle cose. Mi ha molto colpito il fatto che tra i più solerti a intervenire
contro il fatto che avessi raccontato una cosa vera, documentata e già nota, c'è
stato il direttore di Rai3 Paolo Ruffini, già noto per aver
collaborato alla chiusura del programma di Sabina Guzzanti "Raiot" - anche lì
perchè si dicevano troppe cose vere tutte insieme. Ha dichiarato che ho
"gratuitamente offeso la seconda carica dello Stato". Effettivamente era gratis,
perché nessuno mi ha pagato per farlo. In realtà, Ruffini ha un
conflitto di interessi quando parla di Schifani. Forse nessuno, o
pochi, lo sanno ma Paolo Ruffini non è [solo] omonimo dell'ex ministro
democristiano e dell'ex Cardinale di una certa Palermo anni Settanta: è il
figlio del ministro e il nipote del Cardinale. Ma di più: la mamma del direttore
di Rai3 Ruffini è la sorella dell'On. La Loggia che non è
omonimo dell'attuale parlamentare di Forza Italia (che era socio di Schifani e
di Nino Mandalà, poi condannato per mafia, nella famosa società Siculabroker tra
la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta): è proprio
lui! Praticamente, Ruffini è il nipote di La Loggia. Quindi, le storie
della Siculabroker gli basterebbe fare un giro di opinioni in
famiglia per conoscerle.
E quando afferma che io non posso raccontarle in televisione... diciamo che
sta dicendo che non dovrei rinvangare certe storie di famiglia. Della sua
famiglia. Si chiama conflitto di interessi, anche se in questo caso
Berlusconi non c'entra, ma nessuno l'ha fatto notare. Pazienza! Meglio
sapere con chi si ha a che fare, chi parla e chi dirige la rete
progressista della Rai; poi ci sono anche le reti dirette dal
centrodestra. A quel punto cos'è successo? Nessuno ha chiesto a Schifani
conto e ragione di quello che è nei documenti ma, in compenso, hanno
cominciato a chiedere conto a me di una serie di cose che peraltro non ho
mai fatto. Per esempio, l'ottimo giornalista di
"Repubblica" D'Avanzo ha addirittura insinuato in un articolo
mellifluo che io mi fossi fatto pagare le vacanze estive del 2002 o
del 2003 da un signore che è stato poi condannato per mafia e che io non ho
mai visto, né conosciuto, né sentito nominare. Poi, però, ha scritto "chi
potrebbe credere a questa cosa?". Forse è il primo caso di un giornalista
che nella riga sopra scrive una notizia e in quella sotto "ma nessuno ci
crede!". Ma se nessuno ci crede perché la scrivi? Perché non la verifichi?
Perché non fai il tuo mestiere? Pazienza, ma questo ha portato a parlare di
me e delle mie vacanze invece di parlare delle società e delle
consulenze urbanistiche del presidente del Senato. Consulenze
urbanistiche che, guarda caso, sono state commissionate a Schifani dal
comune di Villabate, uno dei comuni più infiltrati dalla
mafia, e proprio da quel Nino Mandalà che proprio
quindici-vent'anni prima sedeva nella stessa società di brokeraggio con
Schifani e La Loggia. Comune che poi è stato sciolto due volte per mafia,
per cui Schifani non ha potuto portare a termine il suo lavoro a proposito
del Piano Regolatore che secondo il presidente del Consiglio Comunale di
Villabate, Francesco Campanella attualmente in carcere e pentito, Schifani e
La Loggia avevano concordato direttamente con il boss. Altra lezione di
D'Avanzo: come fai ad accusare della gente di aver avuto rapporti, anche
d'affari, [con queste persone] prima della loro incriminazione e della loro
condanna? Uno non diventa mafioso il giorno in cui lo condannano per mafia o
lo arrestano. Di solito è mafioso fin dalla più tenera età, è difficile la
vocazione adulta nella mafia. Ti reclutano da giovane. Chi sta a Palermo e
si mette in società con certe persone dovrebbe prima informarsi di chi
siano. Chi accetta consulenze da un comune pesantemente infiltrato dalla
mafia non può dire "non lo sapevo". Prima di lavorare in certi ambienti devi
prendere informazioni, e su Mandalà le informazioni in loco erano piuttosto
copiose. I magistrati, quando arrivano, sono sempre gli ultimi a sapere, un
po' come i cornuti. Negli ambienti politici - lo diceva già Paolo Borsellino
ma anche Giuseppe Aiala nel suo ultimo libro - chi ha certi rapporti lo si
viene a sapere ben prima che la magistratura lo possa mettere nero su
bianco. Altrimenti oggi dovremmo dire che Al Capone non era un
mafioso. Al Capone non è mai stato condannato per mafia ma solo per
evasione fiscale. Dovremmo definire Al Capone il "noto evasore
fiscale italo-americano", secondo il metodo D'Avanzo. Ma andiamo
avanti, non voglio parlare troppo di questo caso ma dei giornali, di come
titolano i loro articoli e di quello che scrivono nei loro articoli.
Naturalmente, la fonte che D'Avanzo indicava, cioè l'avvocato di questo
Aiello che avrebbe detto di avermi pagato le vacanze, ha scritto a D'Avanzo
una letterina su Repubblica in cui diceva "io non posso essere la sua fonte
perché non l'ho mai sentita ne vista". La risposta di D'Avanzo non è stata
"chiedo scusa, mi sono sbagliato, era una balla". Non ce n'è uno che si
prenda la responsabilità di aver detto questa balla. Nessuno lo sa. La
risposta di D'Avanzo sono due righe, uno vera lezione di giornalismo: "Il
ricordo di Michele Aiello - cioè il ricordo che mi aveva pagato le vacanze,
che non è vero - è stato raccolto da fonti vicine all'inchiesta".
"Fonti vicine all'inchiesta". Tenete presenti queste parole, sono tutte
espressioni nuove, neologismi che vengono fuori per l'occasione. "Fonti
vicine all'inchiesta". Non si sa chi l'ha detto, sentito, riferito. "Fonti
vicine all'inchiesta". Fonti purissime... Il Riformista:
"Travaglio si discolpa su Repubblica: 'Ho pagato io quella vacanza'". Il
titolo è già interessante: "si discolpa". Ma di che? Io non mi discolpo di
niente, non ho fatto niente! Ho raccontato le mie vacanze proprio perché non
ho niente da nascondere, mentre a dieci giorni da "Che tempo che fa" l'unico
che non ha ancora spiegato è il presidente del Senato. Anche perché
spontaneamente non lo farà mai. Ci vorrebbe un giornalista che gli mettesse
un microfono sotto il naso e gli facesse la domanda sulla Siculabroker, sul
comune di Villabate e sulle sue consulenze. Ma purtroppo non è accaduto.
L'unico che gli ha messo sotto il naso il microfono è stato un giornalista
del TG1 che, sdraiato carponi, gli ha chiesto: "Presidente, come agevolare
il dialogo tra destra e sinistra?". Il presidente, naturalmente, ha risposto
che il dialogo è importante. Meglio del dialogo che ha visto in questi
giorni: è stato baciato da Anna Finocchiaro con grande trasporto. Non se lo
poteva immaginare. Seconda domanda: "Anna Finocchiaro l'ha difesa, è
contento?" Fine dell'intervista. Nessuna domanda. Che risponda lui a domande
che nessuno gli fa sarebbe abbastanza impensabile, infatti questo è l'unico
Paese in cui uno che ha avuto certi rapporti e ha certi particolari
biografici può diventare, di fatto, il vicepresidente della Repubblica in
quanto seconda carica dello Stato. En passant cito Il Giornale, che invece
di parlare di Schifani parla di me in un articolo pieno di balle. A un certo
punto c'è scritto che io avrei una rubrica settimanale su Repubblica Torino,
ed è vero, in cui rispondo alle lettere "con il vezzo di un autoritratto
firmato dal disegnatore Mannelli". Ma come faccio ad avere un autoritratto
firmato da un disegnatore che non sono io? Quello si chiama ritratto,
l'autoritratto è quello che mi faccio io! Non si sa più nemmeno che parole
usare, in certi casi. Si usano parole completamente fasulle. A questo punto
che succede? Le nebbie si diradano, si viene a scoprire che anche la storia
delle mie vacanze è una balla, nessuno chiede scusa - anzi si scrive "fonti
vicine all'inchiesta" - e partono tutte le procedure legali per cercare di
tappare la bocca o a chi ha ospitato o a chi ha raccontato questi fatti.
Partono le solite authority, i soliti consigli di
amministrazioni, le solite commissioni parlamentari di vigilanza. Tutti
organismi politici dove ci sono dentro D'Alema, Fassino, Berlusconi, Fini,
Mastella, travestiti tramite i loro emissari, che aprono pratiche,
minacciano sanzioni, annunciano codici. Addirittura denunciano violazioni
che nessuno ha mai commesso perché i codici li conoscono soltanto loro e le
regole le conoscono soltanto loro. Io personalmente una regola conosco:
verificare se una cosa è vera, accertarmi se sia interessante. Se è vera ed
interessante, dirla. L'unica regola che conosco è che non bisogna violare il
codice penale. Qualcuno ritiene che l'abbia violato? Lo dimostri in
Tribunale. Qualcuno ritiene di avere qualcosa da rispondere? Risponda. Non
ho sentito nessuna risposta, solo tante parole al vento. Segnatevi anche
questa: contraddittorio. Fabio Fazio è l'intervistatore, io
l'intervistato. La cosa accade tutti i sabati e le domeniche sera, si chiama
intervista. Prevede che uno faccia le domande e l'altro dia le risposte. In
questo caso hanno detto che ci voleva il contraddittorio, una terza persona
- non so, la Finocchiaro o Schifani sotto la poltrona - che sbuca fuori per
dire di starmi zitto o che sto raccontando balle. Ma questo non è mai
avvenuto in nessuna intervista! Tra l'altro al presidente del Senato non
mancano i mezzi, basta che faccia un gesto e si ritrova tutte le telecamere
ai suoi piedi pronte a riferire qualunque sospiro esca dalla sua bocca.
Perfino quando annuncia una lotta solenne e feroce alla mafia, che verrebbe
anche meglio se uno non fosse socio dei mafiosi, ma non si può avere tutto
dalla vita. La cosa che più mi ha fatto piacere è che questa manovra per
screditare chi racconta i fatti non è andata a buon fine: chi riesce a
conquistarsi una credibilità col proprio lavoro, con la propria serietà,
alla fine ottiene quei famosi riconoscimenti dal basso di cui parlava Enzo
Biagi, che sono incompatibili con i riconoscimenti dall'alto. Si deve
scegliere: se li vuoi dal basso non li avrai dall'alto, e viceversa. Quindi,
svanita la manovra, mi rimangono alcuni messaggi che mi sono appuntato. Uno
viene da un mio amico che lavora alla Rai a Londra il quale mi ricordava
che, a differenza che nella sua azienda, in Inghilterra quando un
giornalista del servizio pubblico, la BBC, viene attaccato succede
esattamente il contrario di quanto accade in Italia. Nel 2004 alcuni
giornalisti della BBC fecero emergere il dossier Irak, cioè il dossier di
bugie organizzate dal governo Blair d'intesa col governo Bush per mentire ai
popoli occidentali, raccontare le balle delle armi di distruzione di massa
mai trovate e dei rapporti tra Bin Laden e Saddam Hussein che non esistono.
Quando andò in onda questo scoop il governo attaccò questi giornalisti.
Bene, il presidente e il direttore generale della BBC, servizio pubblico
radiotelevisivo pagato con i soldi degli inglesi, anziché prendersela con i
giornalisti che li avevano messi in difficoltà con i loro scoop sul governo,
si dimisero per difendere i loro cronisti. Da noi avete visto cos'hanno
fatto i vertici della Rai, hanno detto che io avevo fatto qualcosa di
inqualificabile, evidentemente perché non sono abituati a sentir raccontare
la verità mentre quando vedono uno scendiletto che mette il microfono sotto
il naso del presidente Schifani per chiedergli come agevolare il dialogo...
beh quello gli piace, gli sembra un'intervista vera. Lì non chiedono il
contraddittorio e neanche le domande! E' una questione di abitudine. Quando
parlano di BBC, se la guardassero almeno un paio di secondi al giorno per
capire così un servizio pubblico radiotelevisivo. Altra cosa che mi ha fatto
piacere è che molti mi hanno mandato delle citazioni, delle frasi, degli
articoli e persino dei detti. Vorrei concludere con un detto catalano che
una studentessa di Barcellona in Italia per una borsa di studio mi ha
mandato, insieme a uno di Paul Valéry che già conoscevo. Il detto di Paul
Valéry è: "c'è un solo modo per vedere realizzati i propri sogni:
svegliarsi". C'è un altro detto di Paul Valéry: "se non riesci a demolire il
ragionamento, cerca almeno di demolire il ragionatore". La
stessa cosa avviene quando non riesci a demolire i fatti, che hanno una loro
forza intrinseca, cerca almeno di demolire chi li ha raccontati. Infine, il
detto catalano, che questa ragazza mi ha segnalato dicendomi che non le
viene in mente niente di più preciso per descrivere la situazione che sta
vivendo in Italia, la qual cosa la sgomenta parecchio. E con questa vi
lascio: "ci pisciano addosso e ci dicono che sta piovendo". Ciao, a lunedì
prossimo."
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