19/02/2009 Dopo le dimissioni di Veltroni a rischio l'unità del Pd
L'insofferenza covava da tempo, racconta chi è vicino a
Walter Veltroni, i continui 'sos' contro le polemiche quotidiane, contro chi lo
costringeva alla fatica di Penelope erano la spia di un malessere crescente e
quando il segretario stamattina alle 8.15 è arrivato alla sede del Pd al
Nazareno la decisione era già presa. Prima ne ha parlato con i suoi più stretti
collaboratori, Goffredo Bettini, Dario Franceschini, Walter Verini, Giorgio
Tonini.
Poi, alle 11, il coordinamento: Veltroni parla per primo e
dice che le polemiche continue, i distinguo, l'impossibilità di tenere una linea
stanno affondando il partito. E siccome, ha aggiunto, buona parte dello
stillicidio quotidiano nasce da un'ostilità alla mia guida, alla mia leadership,
c'è chi pensa che i guai del Pd dipendano da me e quindi "penso che sia meglio
farmi da parte, per salvare il progetto del Pd. Mi assumo tutte le
responsabilità, le mie e anche quelle non mie".
L'analisi di Veltroni è stata netta: il Pd ha infilato una serie di risultati
negativi, dopo una ripresa nei sondaggi, dovuti alle discussioni continue: sulla
legge elettorale europea, nonostante le decisioni siano state prese attraverso
passaggi formali in tutti gli organi di partito; e lo stesso, si sarebbe
lamentato il segretario, è accaduto sulla vicenda Englaro e sul testamento
biologico, fino al botta e risposta tra Ignazio Marino e Paola Binetti
sull'ipotesi referendum.
Pierluigi Bersani ha parlato subito dopo il segretario e ha fatto immediatamente
capire che non condivideva la scelta: ha detto che il percorso era segnato,
prevedeva l'assemblea programmatica, le elezioni e poi il congresso in autunno.
Le responsabilità sono condivise dal gruppo dirigente, a cominciare da me, ha
continuato Bersani, aggiungendo di essere pronto a proseguire il suo impegno con
lealtà fino alle elezioni, per poi aprire la campagna congressuale. Contraria è
stata anche Rosy Bindi ("Non puoi lasciare ora, il partito ha bisogno di una
guida") e anche tutti gli altri hanno cercato di convincere il segretario a
ritirare le dimissioni.
Un pressing che non ha avuto effetto, Veltroni ha concesso una pausa al
coordinamento per un ulteriore approfondimento ma, assicurano gli uomini a lui
vicini, la decisione era presa e non è mai stata in discussione. Tanto che la
ripresa dei lavori del vertice Pd è durata poco, una mezz'ora: il tempo per
Veltroni per ripetere che "non ci sono le condizioni per continuare". Poche
parole, poi il segretario ha lasciato la sala riunioni tornando nel suo ufficio
al piano di sotto, insieme a Franceschini e Soro. Al piano di sopra restavano
Bersani, la Finocchiaro, Fassino, a ragionare sul da farsi, statuto alla mano.
E' proprio questa l'immagine di ciò che ora rischia di accadere nel Pd. Linda
Lanzillotta è stata la più esplicita a dare voce al malessere dei rutelliani,
che però riflette bene la situazione: il rischio è che le due 'anime', quella ex
Ds e quella ex Margherita, non trovino un nuovo punto di sintesi. Un problema
che ha chiaro anche Bersani, in questi mesi nettamente spostato su posizioni
social-democratiche, filo Cgil, insomma "stile Ds, anzi... Pds" come lamenta più
di un ex Ppi. E la Lanzillotta, appunto, avverte: "Le dimissioni di Veltroni
sono un fatto assai grave per il futuro del Partito Democratico. Veltroni era
l'unico punto di sintesi possibile per costruire un partito che vuole guardare
al futuro".
Non è un caso che anche Bersani si sia unito al coro di quanti hanno chiesto a
Dario Franceschini di assumere il timone da qui al congresso. L'ipotesi di
assise anticipate, che in linea teorica non è ancora stata formalmente esclusa,
appare complicata da praticare, "anche perché il tesseramento non è completo",
sottolineano alcuni ex diesse critici con Veltroni. L'idea del 'reggente' è
allora quella più indolore, in questo momento, l'unica in grado di evitare una
conta immediata che rischia di riprodurre l'immagine che si è vista al termine
del coordinamento di oggi: gli ex Margherita da una parte e gli ex Ds
dall'altra. Bersani, che probabilmente non sarà l'unico candidato, ha bisogno di
tempo per proporsi come 'sintesi' delle varie anime del partito, una sfida tra
lui e Franceschini rischia di essere pericolosa per la tenuta del partito.
18/02/2009 Cicchitto: Walter Veltroni lascia per le troppe contraddizioni
all'interno del Pd
Walter Veltroni lascia la guida del Pd per le troppe
contraddizioni all'interno del partito. Lo sostiene il presidente dei deputati
del Pdl, Fabrizio Cicchitto. "E' esplosa una crisi profonda nel Pd - osserva -
perchè in esso nè è stata trovata una sintesi tra le sue due tradizioni
politico-culturali, quella degli ex comunisti e quella degli ex democristiani di
sinistra, e nè la leadership di Veltroni è stata capace di sviluppare un'azione
per portare a compimento il progetto originario fondato su un modello bipolare e
tendenzialmente bipartitico, realizzando, invece, un cartello elettorale con i
Radicali e con l'IdV di Di Pietro. La moltiplicazione di tutte queste
contraddizioni si è riflessa sulla leadership di Veltroni e da qui - conclude
Cicchitto - sono scaturite le sue dimissioni".
17/02/2009 Dopo sedici mesi Veltroni lascia la guida del Pd
Walter Veltroni ha lasciato la guida del Partito democratico,
dopo sedici mesi al timone della formazione politica erede dell'esperienza
ulivista, che poco meno di due anni fa era stata battezzata come la novità più
rilevante nel panorama politico italiano. Un addio ai vertici del Pd che ha
avuto come causa scatenante la secca sconfitta patita dal candidato del
centrosinistra alla presidenza della Regione Sardegna, Renato Soru .
Cinquantaquattro anni, sposato, due figlie, Veltroni si
avvicina alla politica nel 1976, quando a 21 anni, viene eletto consigliere
comunale di Roma nelle liste del Pci, mantenendo questa carica fino al 1981. Nel
1987 diviene per la prima volta deputato. Un anno dopo entra nel Comitato
centrale del Pci, ed è tra quanti sono favorevoli alla svolta della Bolognina di
Achille Occhetto e alla nascita del Partito democratico della sinistra.
Nel 1992 viene scelto come direttore de L'Unità, lo storico quotidiano fondato
da Antonio Gramsci ed acquistato qualche mese fa proprio da Renato Soru. Due
anni dopo la base del partito lo candida a segretario nazionale, ma Veltroni
viene sconfitto da Massimo D'Alema per 249 voti a 173.
Nel 1996 Romano Prodi lo chiama a condividere la leadership de l'Ulivo e, dopo
la vittoria della coalizione del centrosinistra, diventa vicepresidente del
Consiglio e ministro dei Beni Culturali e ambientali con l'incarico per lo
spettacolo e lo sport.
Nel 1998, dopo la caduta del governo Prodi, torna a concentrarsi sul partito,
nel quale intanto sono confluite formazioni di varia ispirazione, laiche e
cattoliche (Sinistra repubblicana, Cristiano-sociali, Comunisti unitari,
Laburisti), e che compie un ulteriore passo in avanti trasformandosi in Ds,
Democratici di sinistra.
Nel 2001 venne scelto dal centrosinistra come candidato a sindaco di Roma in
risposta alla Casa delle libertà che aveva indicato Antonio Tajani di Forza
italia. Veltroni diventa primo cittadino della Capitale ottenendo il 53% dei
consensi. Cinque anni dopo viene riconfermato sindaco della Capitale con il
61,45% dei voti, miglior risultato nella storia delle elezioni comunali di Roma
con l'elezione diretta del sindaco, con cui batte il candidato della Cdl Gianni
Alemanno.
Dal maggio 2007 Veltroni entra a far parte del Comitato nazionale per il Pd che
conta 45 componenti e riunisce i leader delle diverse anime del partito.
Veltroni viene candidato alla guida della nuova formazione politica, sostenuto
da larga parte della Quercia e da ampi settori della Margherita, e affiancato,
in ticket, da Dario Franceschini, presidente dei deputati dell'Ulivo.
Veltroni presenta la sua candidatura alle primarie del partito il 27 giugno in
un discorso al 'Lingottò di Torino. Il Partito democratico nasce ufficialmente
il 14 ottobre dello stesso anno e Veltroni è eletto segretario con il 75% dei
voti. Nell'aprile dello scorso anno il primo, impegnativo, banco di prova: le
elezioni politiche, che però consegnano la vittoria a Silvio Berlusconi e al Pdl.
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