Con
un colpo di stato non troppo a sorpresa, il generale
Sonthi Boonyaratglin ha preso ieri il potere in Thailandia,
defenestrando il primo ministro Thaksin.
Approfittando dell'assenza del premier, impegnato in una
Assemblea dell'ONU, i militari hanno preso il potere e
destituito il governo in carica. Il generale Sonthi ha
comunicato che i militari manterranno il potere per non
più di due settimane, affidando in seguito il governo ad
un'amministrazione civile incaricata di condurre il paese
fino a nuove elezioni, previste per l'anno prossimo.
Il golpe, portato a termine senza violenze e senza
incontrare alcuna resistenza, ha visto i vertici
dell'esercito e della polizia intervenire in nome del
"bene della Thailandia" al fine di rimuovere il discusso
Thaksin dopo mesi di melina istituzionale. Thaksin, salito
al potere grazie ad uno stile fortemente populista, è
stato spesso paragonato a Silvio Berlusconi, perché come
il magnate italiano è salito al potere potendo contare sul
controllo dei media dei quali è proprietario.
Autore di una politica di impronta selvaggiamente
liberista, è riuscito per anni a mantenere il potere
contando sulla base fornita dall'elettorato contadino,
prima impoverito dall'introduzione delle misure liberiste
e poi blandito con misure populiste, che hanno reso
Thaksin, nell'immaginario delle popolazioni rurali, un
politico che ha a cuore le loro istanze; questo nonostante
il fatto che sia stato egli stesso il principale artefice
dell'impoverimento contadino
Thaksin fino all'anno scorso era riuscito a mantenere
questa strana alchimia, ma alla fine ha dovuto far fronte
alla ribellione e alle proteste delle popolazioni urbane e
del potere economico, sempre più in difficoltà ad operare
in un quadro economico devastato dalle misure introdotte e
dai favoritismi che Thaksin riservava alle sue aziende e a
persone del suo entourage.
Dopo vibranti proteste quest'anno si sono svolte elezioni
anticipate ne paese, elezioni disertate dall'opposizione
che lamentava brogli ed in seguito invalidate dagli stessi
organi costituzionali. Thaksin è così rimasto al potere,
rifiutando di abbandonare la carica di primo ministro fino
a nuove elezioni, questo nonostante l'evidente sfiducia e
nonostante la non troppo velata opposizione dello stesso
monarca tailandese.
Questo fino a ieri, quando i militari hanno deciso di
passare ai fatti e defenestrare il premier.
I golpisti si sono detti fedeli alla monarchia e decisi ad
affidare al re il compito di presiedere l'organismo di
governo provvisorio, quello che sembra il loro intervento
pare essere stato apprezzato nei grandi centri urbani,
mentre la monarchia non ha ancora diffuso alcuna
dichiarazione. Questo non significa altro, per il momento,
che la monarchia non può riconoscersi come motore del
golpe, e lo stesso Sonthi ha categoricamente escluso che
il monarca abbia partecipato al sovvertimento
istituzionale, pur dichiarando fedeltà allo stesso re.
Il re thailandese è un monarca in carica da oltre 60
anni e in Thailandia è decisamente venerato come uomo e
come pilastro istituzionale, capace di garantire una
transizione morbida dal periodo delle giunte militari alla
democrazia, capace inoltre di gestire i gravi squilibri
istituzionali che l'elezione del discusso Thaksin aveva
provocato in seno alla giovane democrazia tailandese.
Thaksin, agli occhi del paese, non deve rispondere solo
di alcune malversazioni e di una fallimentare politica
economica, ma anche della diffusione di un tasso di
violenza non consueto per la Thailandia. Dopo l'11
settembre, infatti, il premier ha abbracciato la "war on
terror" di Bush e ha emanato una serie di misure che hanno
provocato l'esplosione della rabbia musulmana nel paese.
Paese nel quale il "terrorismo" islamico non era certo
diffuso, ma ben presto la politica brutalmente repressiva
di Thaksin verso la regione meridionale a maggioranza
musulmana ha provocato massacri (sparatorie sulla folla,
retate e "incidenti" con decine di vittime" che hanno
spinto le popolazioni locali all'insorgenza sempre più
aspra.
Anche per questo Thaksin aveva trovato una sempre
maggiore ostilità, oltre che nell'opinione pubblica, anche
nell'esercito e nelle forze di polizia, per nulla convinta
di scelte politiche che sembravano rivolte più
all'intercettare la benevolenza di Washington, piuttosto
che a risolvere quelle che all'inizio erano modeste
tensioni con la regione musulmana e che ora hanno
raggiunto l'intensità di una guerriglia continua in grado
di provocare oltre 1700 morti.
A questo si aggiungano le recenti accuse di corruzione
e di malversazione (soprattutto per aver venduto il suo
impero delle telecomunicazioni esentandosi dal pagamento
della tasse, al fine di risolvere il suo personale
"conflitto d'interessi" da più parti agitato come
impedimento alla sua rielezione) e l'evidente irritazione
che Thaksin ha sollevato cercando di restare al potere,
nonostante la sua figura fosse ormai compromessa e
nonostante i non troppo velati inviti della monarchia a
dedicarsi ad altro.
Il golpe tailandese appare quindi per ora un "golpe
bianco", cioè un golpe nato all'interno delle stesse
istituzioni per liberarsi di uno scomodo personaggio che
con il suo comportamento aveva immobilizzato i meccanismi
istituzionali nel paese. Le razioni internazionali, quasi
tutte orientate alla "condanna" del golpe, auspicano tutte
un veloce ritorno all'amministrazione civile, condizione
che sembra soddisfatta dalla recente dichiarazione del
generale Sonthi. Nelle prossime settimane la situazione si
farà più chiara, ma per il momento non sembra che il golpe
tailandese preluda al ritorno delle giunte militari.
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