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21/09/2006 Thainlandia, il Berluschino Defenestrato (Mazzetta, http://www.altrenotizie.org)

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    Con un colpo di stato non troppo a sorpresa, il generale Sonthi Boonyaratglin ha preso ieri il potere in Thailandia, defenestrando il primo ministro Thaksin.
    Approfittando dell'assenza del premier, impegnato in una Assemblea dell'ONU, i militari hanno preso il potere e destituito il governo in carica. Il generale Sonthi ha comunicato che i militari manterranno il potere per non più di due settimane, affidando in seguito il governo ad un'amministrazione civile incaricata di condurre il paese fino a nuove elezioni, previste per l'anno prossimo.
    Il golpe, portato a termine senza violenze e senza incontrare alcuna resistenza, ha visto i vertici dell'esercito e della polizia intervenire in nome del "bene della Thailandia" al fine di rimuovere il discusso Thaksin dopo mesi di melina istituzionale. Thaksin, salito al potere grazie ad uno stile fortemente populista, è stato spesso paragonato a Silvio Berlusconi, perché come il magnate italiano è salito al potere potendo contare sul controllo dei media dei quali è proprietario.

    Autore di una politica di impronta selvaggiamente liberista, è riuscito per anni a mantenere il potere contando sulla base fornita dall'elettorato contadino, prima impoverito dall'introduzione delle misure liberiste e poi blandito con misure populiste, che hanno reso Thaksin, nell'immaginario delle popolazioni rurali, un politico che ha a cuore le loro istanze; questo nonostante il fatto che sia stato egli stesso il principale artefice dell'impoverimento contadino

    Thaksin fino all'anno scorso era riuscito a mantenere questa strana alchimia, ma alla fine ha dovuto far fronte alla ribellione e alle proteste delle popolazioni urbane e del potere economico, sempre più in difficoltà ad operare in un quadro economico devastato dalle misure introdotte e dai favoritismi che Thaksin riservava alle sue aziende e a persone del suo entourage.
    Dopo vibranti proteste quest'anno si sono svolte elezioni anticipate ne paese, elezioni disertate dall'opposizione che lamentava brogli ed in seguito invalidate dagli stessi organi costituzionali. Thaksin è così rimasto al potere, rifiutando di abbandonare la carica di primo ministro fino a nuove elezioni, questo nonostante l'evidente sfiducia e nonostante la non troppo velata opposizione dello stesso monarca tailandese.

    Questo fino a ieri, quando i militari hanno deciso di passare ai fatti e defenestrare il premier.
    I golpisti si sono detti fedeli alla monarchia e decisi ad affidare al re il compito di presiedere l'organismo di governo provvisorio, quello che sembra il loro intervento pare essere stato apprezzato nei grandi centri urbani, mentre la monarchia non ha ancora diffuso alcuna dichiarazione. Questo non significa altro, per il momento, che la monarchia non può riconoscersi come motore del golpe, e lo stesso Sonthi ha categoricamente escluso che il monarca abbia partecipato al sovvertimento istituzionale, pur dichiarando fedeltà allo stesso re.

    Il re thailandese è un monarca in carica da oltre 60 anni e in Thailandia è decisamente venerato come uomo e come pilastro istituzionale, capace di garantire una transizione morbida dal periodo delle giunte militari alla democrazia, capace inoltre di gestire i gravi squilibri istituzionali che l'elezione del discusso Thaksin aveva provocato in seno alla giovane democrazia tailandese.

    Thaksin, agli occhi del paese, non deve rispondere solo di alcune malversazioni e di una fallimentare politica economica, ma anche della diffusione di un tasso di violenza non consueto per la Thailandia. Dopo l'11 settembre, infatti, il premier ha abbracciato la "war on terror" di Bush e ha emanato una serie di misure che hanno provocato l'esplosione della rabbia musulmana nel paese. Paese nel quale il "terrorismo" islamico non era certo diffuso, ma ben presto la politica brutalmente repressiva di Thaksin verso la regione meridionale a maggioranza musulmana ha provocato massacri (sparatorie sulla folla, retate e "incidenti" con decine di vittime" che hanno spinto le popolazioni locali all'insorgenza sempre più aspra.

    Anche per questo Thaksin aveva trovato una sempre maggiore ostilità, oltre che nell'opinione pubblica, anche nell'esercito e nelle forze di polizia, per nulla convinta di scelte politiche che sembravano rivolte più all'intercettare la benevolenza di Washington, piuttosto che a risolvere quelle che all'inizio erano modeste tensioni con la regione musulmana e che ora hanno raggiunto l'intensità di una guerriglia continua in grado di provocare oltre 1700 morti.

    A questo si aggiungano le recenti accuse di corruzione e di malversazione (soprattutto per aver venduto il suo impero delle telecomunicazioni esentandosi dal pagamento della tasse, al fine di risolvere il suo personale "conflitto d'interessi" da più parti agitato come impedimento alla sua rielezione) e l'evidente irritazione che Thaksin ha sollevato cercando di restare al potere, nonostante la sua figura fosse ormai compromessa e nonostante i non troppo velati inviti della monarchia a dedicarsi ad altro.

    Il golpe tailandese appare quindi per ora un "golpe bianco", cioè un golpe nato all'interno delle stesse istituzioni per liberarsi di uno scomodo personaggio che con il suo comportamento aveva immobilizzato i meccanismi istituzionali nel paese. Le razioni internazionali, quasi tutte orientate alla "condanna" del golpe, auspicano tutte un veloce ritorno all'amministrazione civile, condizione che sembra soddisfatta dalla recente dichiarazione del generale Sonthi. Nelle prossime settimane la situazione si farà più chiara, ma per il momento non sembra che il golpe tailandese preluda al ritorno delle giunte militari.


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