A pochi giorni di distanza dalle elezioni di mid term, il
panorama politico americano è ormai pronto a far fronte
all'ondata sismica che sembrerebbe profilarsi nelle urne
il 7 novembre con la annunciata sconfitta dei
repubblicani. Per la prima volta dal 1994, infatti, almeno
una delle due camere del Congresso, in particolare la
Camera dei Rappresentanti, viene data stabilmente per
riconquistata dai democratici, secondo tutti i sondaggi
disponibili ad oggi. Il vantaggio dei democratici alla
Camera rischia di essere molto più alto di quello
inizialmente previsto ed alcuni istituti parlano
addirittura di possibili 240 seggi per i democratici (la
maggioranza assoluta è 218 seggi). Si tratterebbe in
questo caso di una debacle per i repubblicani,
difficilmente gestibile dal punto di vista politico a due
soli anni dalle prossime elezioni presidenziali;
inevitabilmente, non potrebbe non avere effetti sulle
politiche dell'Amministrazione Bush da ora al 2008.
Un po' diversa è la situazione al Senato, prima di tutto
perchè i seggi in ballo sono solo 33 su 100 e di questi 18
sono democratici uscenti, contro i 15 repubblicani
uscenti. Per conquistare la maggioranza al Senato i
democratici dovrebbero mantenere tutti i seggi attualmente
in loro possesso e strapparne almeno 6 su 15 ai
repubblicani, impresa molto difficile seppure non del
tutto improbabile, stando sempre agli ultimi sondaggi. In
particolare sembra assicurata la conquista dei seggi
senatoriali di Pennsylvania ed Ohio da parte dei
democratici (ai danni di pezzi da novanta del partito
repubblicano come Santorum e De Wine) e, molto
probabilmente, anche del Montana e del Rhode Island.
Gli Stati che sono attualmente in ballo sono quindi
Missouri e Virginia, entrambi Stati in cui i sondaggi
danno un testa a testa fenomenale tra i candidati dei due
principali partiti, mentre in Tennesse ed Arizona, i
candidati repubblicani sono in vantaggio nei sondaggi, ma
il risultato resta ancora incerto. Dovessero i democratici
riuscire a conquistare i seggi senatoriali di due dei
quattro Stati in ballo, allora la maggioranza al Senato
sarebbe matematicamente in mano loro e la disfatta
repubblicana risulterebbe, perciò, completa.
A prescindere dall'effettivo risultato, alcuni dati sono
già possibili da dedurre da queste elezioni di mid term
piuttosto inusuali. In primo luogo, nella storia politica
americana, difficilmente si è assistito ad una battaglia
così “partisan” e dura per elezioni di mid-term, che si
sono di fatto trasformate in una sorta di referendum
politico sui 6 anni di presidenza Bush. Questo ha fatto in
modo che, a differenza delle volte precedenti, fossero più
gli elementi di politica federale ed internazionale - vedi
la guerra in Iraq - a monopolizzare i pensieri e le scelte
degli elettori ed a condizionare, quindi, molto
probabilmente, il risultato delle elezioni a tutto
discapito del partito del presidente. In ogni caso i
repubblicani non si sono dati per sconfitti e soprattutto
in questi giorni (aiutati forse da qualche sorpresa
dell'ultimo minuto?) hanno mandato i propri seguaci ad
andare casa per casa negli Stati decisivi per portare
quante più persone alle urne possibili e ripetere quell'exploit
che permise loro di vincere le elezioni del 2004 negli
Stati decisivi del centro e del sud degli Stati Uniti.
Di sicuro un eventuale nuovo Congresso in mano
democratica, soprattutto se anche il Senato cambierà
maggioranza, renderà, almeno in teoria, molto più
difficile al presidente Bush continuare con le sue
politiche attuali. Un sondaggio pubblicato dal
Washington Post il 2 novembre ha reso noto che ciò
che la gran parte degli americani sperano da un eventuale
Congresso democratico è principalmente il ritiro delle
truppe americane dall'Iraq, nonché il cambio generale
delle politiche di questi ultimi anni che hanno portato a
quello che viene percepito sostanzialmente come un
disastro militare e politico. Se questo avverrà sul serio
è tutto da vedere, ma sta di fatto che le aspettative sono
molto alte e di questo i nuovi padroni del Congresso non
potranno non tenere conto, sebbene le pressioni contrarie
delle lobby delle armi, che già fanno sentire il proprio
peso finanziario e politico, saranno sempre più alte e
sebbene la decisione finale spetti comunque a quel
presidente Bush che, dimezzato o meno che sia, per i
prossimi due anni continuerà a governare la superpotenza
americana.
A meno che il prossimo Congresso democratico non abbia la
forza e l'intenzione di intraprendere un processo di messa
in stato d'accusa contro il presidente Bush, con tutto ciò
che questo potrebbe comportare, cosa temuta dal
consigliere Rove e alcuni ambienti vicini alla Casa
Bianca. Ma tralasciando queste ipotesi che attualmente
sono ancora di fantapolitica, l'unica cosa che possiamo
fare è attendere il risultato di queste elezioni e vedere
cosa davvero prospetterà agli Stati Uniti ed al mondo
intero il terremoto politico in arrivo il prossimo 7
novembre.
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